Fin dai suoi esordi Michael Bay si è sempre contraddistinto per dei risultati abbastanza costanti: i suoi migliori film vantano un grande grande successo di pubblico, apprezzamento per gli effetti speciali, la colonna sonora curata, magari anche la sua regia e fotografia, ma suscitano grosse perplessità circa la trama, la profondità ed uno stile che ancora oggi molti pensano abbia peggiorato il film d'azione hollywoodiani. Bay spesso è stato accusato di aver contribuito ad appiattire i film per il grande pubblico, di averli resi schiavi di un'estetica che ne ha fagocitato capacità di stupire, varietà e, infine, ha portato a "infettare" anche altri generi. Ma davvero il regista nato a Los Angeles è questo terribile mostro cinematografico dozzinale e superficiale? Davvero i suoi film sono cinema pop-corn nemico del buongusto?
No. La verità è che Michael Bay è un regista di enorme talento, capace di portare ad una svolta importante il cinema d'azione, così come i disaster movies, la fantascienza e i film d'avventura, ma anche capace di spaziare nei war movies e nei thriller, dimostrandosi capace di creare atmosfere coinvolgenti, iter narrativi con personaggi magari non molto complessi è vero, ma ben strutturati. Certo non tutte le critiche sono campate in aria, in particolar modo quella che lo vuole profeta di messaggi commerciali, materialisti, di essere il responsabile del revival di un certo cinema molto machista, patriottico, muscolare e ottuso. Ma Bay è stato anche capace di creare un'interessante contaminazione stilistica tra il cinema ed il mondo dei videoclip, rendendo il movimento di nuovo protagonista assieme ad un ritmo e una ricerca dell'epicità tramite il rallenty che non ha eguali. E di certo diversi delle sue opere erano qualcosa di più di grandi giocattoloni pieni di CGI o duraccioni, ecco quindi quelli che per noi sono i 5 migliori film di Michael Bay.
5. Bad Boys
Esordio col botto quello del nostro Michael che, nel 1995, decide per il suo primo lungometraggio di creare una buddy cop commedy, con protagonisti due poliziotti di colore della sexy e assolata Miami, alle prese con narco-trafficanti, belle donne, auto veloci e proiettili ancora più veloci.
Bad Boys ha come protagonisti due detective sui generis interpretati da due giovani attori emergenti, che sul piccolo schermo avevano fatto faville ma a cui nessuno dava una chance per pellicole cinematografiche che andassero oltre la commedia o in ruoli di contorno: Will Smith e Martin Lawrence.
Michael Bay convinse Jerry Bruckheimer e Don Simpson a dargli 20 milioni di dollari, con i quali mise a segno uno dei debutti più folgoranti della storia di Hollywood, con ben 140 milioni di dollari di incasso, lanciando le carriere dei due attori afroamericani, che portarono avanti il "testimone" in precedenza impugnato da saghe come Beverly Hills Cop - Un piedipiatti a Beverly Hills e Arma letale.
Tuttavia la carta vincente fu sicuramente la regia di Bay, che per la prima volta mostrò al mondo il suo stile dinamico ed accattivante, nel quale riversò tutto quello che la sua lunga esperienza nei videoclip gli aveva insegnato: il montaggio frenetico, il senso del movimento, l'amore per i primi piani e il rallenty come strumento perfetto per la coreografia.
Oggi ben pochi ci fanno caso, ma Bay distrusse il concetto di buddy cop movie canonico, mettendo due poliziotti afro-americani e non un bianco e un nero (quasi sempre "condannato" a fare il giullare) come protagonisti, e per quanto l'azione ed il ritmo adrenalinico non lasciassero molto spazio alla profondità o ai dialoghi, era facile capire che i due erano sostanzialmente due simpatici svitati, due mattatori votati al bene. Esplosioni, sparatorie, inseguimenti mozzafiato, battute umoristiche... pochi si accorsero che ciò che Bay stava facendo era in realtà qualcosa di molto articolato. In quei 119 minuti infatti, il regista di Los Angeles, creò qualcosa che riprendeva gli elementi del cinema di Stanley Tong, Ringo Lam, John Woo, di tutti quei registi che avevano fatto di Hong Kong il fulcro di un rinnovamento estetico e tematico del genere action, hard-boiled e appunto della bud commedy. Tutto ciò venne mischiato al videoclip, a quei microfilm della MTV Generation che avevano sancito un nuovo modo di fare immagini, di connettere movimento e musica, dando modo alla fotografia di seguire nuove strade e rendendo il montaggio qualcosa di molto più importante e imprevedibile di ciò che era stato fino a quel momento.
4. The Rock
Sicuramente la nostra lista non può che comprendere The Rock, uscito nel 1996, che conferma l'abilità di Michael Bay nel creare film action originali, accattivanti e divertenti. Questo film fu molto importante perché dimostrò che Bay sapeva tenere in pugno anche cast numerosi e con star di primo livello, visto che The Rock aveva come protagonisti Nicolas Cage e Sean Connery, contrapposti ad un gruppo di rivoluzionari capeggiati da un Ed Harris in stato di grazia, Brigadiere Generale deciso a distruggere la popolazione di San Francisco con un'arma di distruzione di massa a base di gas nervino. Il resto del cast comprendeva John Spencer, William Forsythe, David Morse, Michael Biehn, John McGinley e Claire Forlani.
Ciò che fece Michael Bay fu decostruire il vecchio cliché che vedeva il solito gruppo di terroristi o mercenari stranieri attaccare l'America, per la vendetta di un super-cattivo vile e spregevole, o per mettere a segno un colpo sensazionale. Delta Force, Trappola di cristallo, 58 minuti per morire, Navy Seals e tanti altri action questo lo avevano già mostrato, ma nessuno aveva osato far vedere dei marines capaci di minacciare un'intera città, se si fa eccezione per i disertori di _ Die Hard 2_. Bay però non si fermò a questo, mandò a salvare il mondo una coppia insolita, formata da un agente FBI integerrimo e un ex ufficiale della SAS cinico e disincantato, unico ad essere riuscito ad evadere da quell'Alcatraz dove il Generale ribelle ed i suoi uomini si erano rifugiati, pronti a sommergere di gas nervino Frisco. Loro sarebbero riusciti dove persino le squadre speciali fallivano rovinosamente.
Abbiamo quindi un anti-eroe al comando di un gruppo di uomini pericolosi, decisi, in cui solo poco alla volta emergono personalità veramente negative in toto, affamate di denaro e senza scrupoli, sadici e violenti.
Nella realtà, tutto l'iter era un omaggio al concetto di onore, di amicizia virile, di lealtà, un piccolo e testosteronico (ma non troppo) viaggio dentro il mondo militare e la cultura che lo alberga.
Bay fu capace di creare sequenze memorabili, riprese poi da moltissimi altri film, videogiochi, romanzi persino, dal raid iniziale al massacro nelle docce, con sparatorie e scene di lotta originali e dirette in modo egregio.
Alla fin fine però, ciò che piacque al pubblico fu soprattutto il fatto che Bay creò un film dove l'humor non esisteva, dove la morte e la mancanza di speranza erano sempre dietro l'angolo.
Anche qui confermò quindi la sua abilità nel raccogliere dal punto di vista visivo e tecnico la lezione del grande John Woo e di fonderla con l'estetica pop.
3. Armageddon
Anno interessante il 1998 per la fantascienza, visto che il pubblico mondiale dovette scegliere tra due film che avevano grossomodo la stessa tematica: quella della distruzione del pianeta Terra per mezzo di un asteroide di proporzioni gigantesche. Deep Impact e Armageddon erano molto diversi, il primo era un film dal ritmo più lento, che cercava la verosimiglianza, dove l'umanità appariva assolutamente inerme, divisa, e forse fu questo a decretare paradossalmente il successo del film di Michael Bay, che decise di fare sostanzialmente il contrario di ciò che Deep Impact aveva creato. Era la fine degli ani 90, l'epoca d'oro dell'occidente e soprattutto degli Stati Uniti, l'URSS era un lontano ricordo, sembrava che nulla potesse fermare il progresso e l'avanzare dello stile di vita pop e leggero, il futuro appariva radioso. Di lì a qualche anno purtroppo, tutto sarebbe cambiato. Ma Armageddon, ancora oggi è il perfetto simbolo di quella confidenza, quella sicurezza, quell'ottimismo dell'America di Bill Clinton e dei millennians che aspettavano colmi di fiducia l'anno 2000 e si sentivano capaci di ogni impresa, anche di distruggere un asteroide colossale lanciato a tutta velocità contro la Terra. Armageddon ancora oggi da alcuni punti di vista può essere considerato il film più riuscito di Bay, che ad una trama per nulla scontata o banale aggiunge personaggi esagerati, simpaticissimi, strizzando l'occhio in modo assolutamente perfetto a Quella sporca dozzina di Robert Aldrich.
Bruce Willis fu scelto per il ruolo da protagonista, che ne sancì ancora di più lo status di star del periodo, ma (come quasi sempre nei film di Micheal Bay) il resto del cast non fu da meno: Ben Affleck, Liv Tyler, Will Patton, Steve Buscemi, Owen Wilson e tanti altri. 140 milioni di dollari, una colonna sonora tra le più spettacolari mai fatte, sia per le musiche di Trevor Rabin che per l'incredibile numero di rock-star presenti, dagli Aereosmith con la loro mitica I Don't Wanna Miss a Thing, a Jon Bon Jovi, Journey e Patty Smith, in più una sceneggiatura creata da ben 9 diversi scrittori. Senza parlare degli effetti speciali gargantueschi, della campagna promozionale, del merchandising...
Se volete capire dov'è nato il gigantismo dei moderni blockbusters (compresi i cinecomics della Marvel) beh... è a questa epica, fracassona e patriottica avventura che dovete guardare.
Un film che riportava in auge l'America muscolare, sexy, glam metal e glam rock degli anni 80 ed inizio 90, con il suo ottimismo e la sostanziale inesistenza di ogni altro paese in un iter narrativo dove solo l'America poteva salvare il mondo.
Se la critica sottolineò tutto questo (Roger Ebert lo considerò il suo film più odiato di sempre) e condannò l'assalto agli occhi ed orecchie dello spettatore, si perse però il fatto che Michael Bay avesse dato prova di saper creare un ritmo perfetto, di aver diretto molto bene anche le scene meno adrenaliniche, di aver omaggiato le opere d Jules Verne e Arthur C. Clarke, riuscendo a dare il giusto peso e carattere ad ogni personaggio, regalando grandi emozioni.
La sua fu una prova di regia sontuosa e dinamica, creò sequenze che ancora oggi sono considerate tra le migliori mai viste del genere disaster-movie e, che piaccia o meno, in diversi momenti fu epico.
Con più di mezzo miliardi di dollari, Armageddon fu il più grande incasso dell'anno e sancì il decollo del regista californiano nel firmamento di Hollywood.
2. Transformers
Anno 2007, un terremoto investe i cinema di tutto il mondo, incassando 38 milioni di dollari in meno di 28 ore, lasciando abbondantemente dietro in pochissimo tempo colossi del calibro di Ocean's Thirteen e I fantastici Quattro e Silver Surfer. Michael Bay ha liberato la sua nuova creatura e che creatura: Transformers. Per chi è parte della generazione degli anni '70 e '80, il nome evoca un franchise capace di dominare il mondo dei giocattoli e di dare il via ad una serie a fumetti, a cartoni animati e chi più ne ha più ne metta, diventando un oggetto di vero e proprio culto. I giganteschi robot, capaci di assumere le sembianze dei più disparati mezzi di trasporto e veicoli, presero letteralmente vita grazie a Bay, che accettò l'offerta di Steven Spielberg di creare un film che unisse sia elementi "adolescenziali" (un ragazzo e la sua macchina)che i più "bellicosi" propri di un altro franchise di grande successo: G.I. Joe. Il tono scelto da Bay fu molto più "maturo" e drammatico di ciò che Spielberg aveva in mente inizialmente, molto più connesso alla dimensione del disaster movie e del complottismo, strizzando l'occhio alla letteratura fanta-horrore e anche a come lo stesso Spielberg aveva rivoluzionato nei suoi film il concetto di interazione tra uomini ed alieni.
Come nel più classico dei suoi film, anche qui a Bay va dato il merito di aver lanciato degli emergenti, a partire dai due protagonisti: Shia LaBeouf e Megan Fox. Non possiamo poi dimenticarci dell'incredibile lavoro svolto da nomi ben più noti come Jon Voight, Kevin Dunn e soprattutto John Turturro, che con il suo Agente Seymour Simmons si ritagliò un altro piccolo ruolo diventato cult. Ma ciò che ancora oggi sorprende, è il fatto che il film sia ricordato non solo e non tanto per gli straordinari effetti speciali, le scene d'azione di straordinaria caratura o per il montaggio ancora una volta a dir poco esplosivo, ma per aver saputo cucire assieme un film con personaggi accattivanti e con una stratificazione non da nulla per un blockbuster.
Transformers infatti, aveva in sé elementi classici del teen-movie, con il ragazzo intelligente ma "sfigato" che si innamorava della più bella della scuola, nel mezzo di un momento della sua vita complicato, con genitori premurosi ma un pò stralunati, una vita sociale meschina ed il desiderio di essere accettato dai coetanei. La prima auto, il primo amore, i primi pensieri sul suo futuro...
Il mondo di quegli anni era scosso dal ricordo degli attentati dell'11 settembre, dalle guerre in Medio Oriente, esorcizzate dall'offrire al pubblico una realtà in cui il nemico era qualcosa di esterno, quasi di sovrannaturale.
Ma fu il raggiungere finalmente una dimensione epica la vera vittoria di Bay, una vittoria ottenuta grazie alla fantasia della sceneggiatura, al crescendo del ritmo, al senso del meraviglioso che traspariva da un Optimus Prime di cui molte delle sue caratteristiche erano connesse alla mitologia sia greca che cristiana.
La struttura dell'iter narrativo era un perfetto crescendo, che dal micro poi arrivava al macro, ci guidava pian piano dentro un mondo fantasioso, adrenalinico ma anche spaventoso. Altro elemento interessante, la retorica a stelle e strisce fu molto inferiore al solito, sostituita da uno humor spumeggiante, puntale, mai eccessivo, che ben si confaceva a personaggi non più solo eroi muscolosi e pieni di testosterone. Sicuramente tra i blockbuster, il più riuscito per Michael Bay. E se non sta in cima alla classifica, è perché li troviamo il suo film più rischioso, raffinato ed anche incompreso.
1. 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi
l'11 settembre 2012 a Benghazi, in occasione dell'anniversario degli attacchi del 2001, centinaia di membri di Ansar al-Sharia (formazione terroristica armata gihadista e takfirista, connessa strettamente ad Al-Qaeda) attaccarono di sorpresa il compound dove si trovava l'Ambasciatore Americano Chris Stevens (deceduto durante l'assalto), arrivato in Libia per cercare di tenere assieme le relazioni diplomatiche tra gli Stati Uniti e ciò che rimaneva dell'ex Regno di Gheddafi. La sua sicurezza era garantita solo da poche guardie del corpo, in una struttura carente, con un teorico sostegno da parte della Brigata alleata islamista 17 Febbraio, che però si dileguò in men che non si dica di fronte agli attaccanti. I soli a prestare soccorso all'ambasciatore ed al personale furono dei contractors della GRS, reclutati per proteggere un avamposto della CIA a poca distanza dalla residenza dell'ambasciatore.
Nonostante la contrarietà del Capo-Sezione, privi di ogni appoggio aereo o logistico, i contractors (meno di venti e quasi tutti ex Delta-Force o Marines) fecero il possibile per aiutare il personale diplomatico e resistettero per ore ai ripetuti assalti da parte dei miliziani, enormemente superiori per numero. Per tutta la durata della crisi, la CIA e l'Esercito degli Stati Uniti non prestarono che un tardivo soccorso agli assediati, dando prova di incredibile negligenza e approssimazione. Alla fine rimasero uccisi l'Ambasciatore, due dei contractors e un agente della sicurezza del compound, oltre ad un altissimo numero di civili e miliziani delle svariate fazioni in lotta nella città.
Perché 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi è il miglior film di Michael Bay? Perché il regista californiano seppe raccontare quelle ore drammatiche in modo sublime, seppe rendersi più distaccato e meno presente, abbracciare una neutralità che solo nel finale mostrò qualche piccola crepa. Niente trionfalismi, nessuna retorica, solo il racconto cupo e reale di uomini che per quanto armati fino ai denti, più che eroi erano uomini spaventati, terrorizzati dalla morte, ma decisi ad aiutarsi, ad aiutare un compatriota in pericolo, a fare ciò che era giusto. Come quasi sempre nei film di Bay, anche qui il cast più che da star, era formato da ottimi attori e caratteristi, a partire da James Badge Dale e John Krasinki, per passare poi a Pablo Schreiber, Toby Stephens e tanti altri.
La fotografia di Dion Beebe ed il montaggio da manuale del nostro Pietro Scalia, permisero a Bay di creare forse la più efficace ricostruzione di un conflitto a fuoco cittadino dai tempi di Salvate il soldato Ryan e Black Hawk Down, di connettersi ad una dimensione dove il bene ed il male non erano di casa, quanto piuttosto la paura, la sopravvivenza, il combattimento, il coraggio come capacità di resistere alle avversità, la dimensione umana dell'ora e dell'adesso.
Il nemico? Pericoloso, temerario, caotico eppure simile a questi eroi per caso: come loro ha paura della morte ma ne accetta la compagnia, come loro è pronto a battersi fino allo stremo, a viso aperto.
L'epica è relegata in un angolo, in un finale forse inevitabile, ma dove emerge ancora una volta la volontà da parte di Michael Bay di parlare di uomini, non di eroi, persi tra macerie, bombe, cadaveri di compagni e promesse che non potranno essere mantenute.
La guerra diventa qualcosa di assolutamente fuori controllo, un mostro imbizzarrito che si nutre di carne umana e non guarda in faccia a nessuno, non esiste tattica, non esiste strategia, non esiste responsabilità.
Un war movie intenso, intelligente, umile nel suo concentrarsi su un micro-cosmo e solo su quello, senza ambire a dare lezioni morali o altro.
Speriamo solo che non resti un caso isolato, che Bay abbia ancora il coraggio di rischiare come fece con questo film, robusto, maturo che incassò davvero poco (64 milioni) ma che dice tanto sul talento e le possibilità che questo regista atipico e per certi versi misterioso.