Se nasci negli Stati Uniti d'America e ti chiami Michael Jordan, è molto probabile che qualcuno si aspetti qualcosa da te. Un nome pesante, un rimando inevitabile ad un mito sportivo, un'etichetta che ti fa scomparire in un attimo all'ombra di un campione assoluto. E allora, soprattutto se da bambino ti piace giocare a basket, non resta che sforzarti ancora più degli altri per ribadire chi sei. Per iniziare a definirti, inserisci una sola lettera tra il tuo nome e il tuo cognome, con quella "B" che non è un declassamento verso serie minori, ma l'abbreviazione di "bakari" che in lingua shahili (parlata nell'Africa centro-meridionale) significa "nobile promessa". Ecco che la vita di Michael B. Jordan diventa ancora di più un questione di aspettative, una serie di attese messe addosso ad un ragazzo dallo sguardo mai davvero duro, mai severo sino in fondo, perché incapace di nascondere una luce di bontà che ne ha poi caratterizzato molti personaggi.
Così, sul grande schermo quella faccia eternamente provata dalla ruvidezza dei ghetti diventa una corazza, un'armatura non inscalfibile, ammorbidita da uno sguardo leale. Nonostante la tv e il cinema lo abbiano spesso portato tra lo spaccio di droga, il disagio delle periferie americane, la disoccupazione disperata, tante zone d'ombra da cui uscire a fatica o venire risucchiati. In molti casi la valvola di sfogo ha fatto rima con "sport", quasi un'involontaria costante nella sua filmografia; quasi a ribadirgli il destino a cui sembra segnato con quel nome. Quello che resta è un attore promettente, forte perché capace di essere fragile, consacrato dal ruolo di figlio putativo di Rocky in Creed - Nato per combattere e paragonato persino a Denzel Washington. Ma forse, tra icone dei Chicago Bulls e star del pugilato, il ragazzo è po' stanco di paragoni.
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Dentro e fuori dal ghetto
Da bambino, di solito, i Looney Toones li guardi in televisione. Un giorno, invece, pare abbiano bussato alla porta di casa Jordan con un bel regalo in mano. Voci di corridoio raccontano che a 10 anni il piccolo Jordan abbia ricevuto per sbaglio un assegno di 40mila dollari per la sua parte in Space Jam. Non sappiamo se lo scambio di persona sia una voce autentica, ma è certo che un corridoio lo condurrà poi verso la recitazione, a piccoli passi, come la sua passione per il tip-tap gli ha insegnato. Dopo aver studiato nel New Jersey, Michael esordisce in televisione con Cosby e I Soprano, per poi approdare al cinema nell'affollato cast di Black & White, al fianco di Jared Leto, Ben Stiller, Robert Downey Jr. e della protetica figura di Mike Tyson. Il primo ruolo degno di questo nome arriva nel 2001 con il piccolo ma sincero Hardball, sport drama capitanato da Keanu Reeves. Qui interpreta il giovane Jamal, uno dei tanti ragazzini delle periferie marce di Chicago, afflitte da bande rivali e sparatorie. L'unica salvezza è un campo da baseball dove imparare a convivere con gli altri, lontani dai ghetti senza legge, dentro un microcosmo a parte fatto di regole da rispettare.
Jordan si muove con disinvoltura tra strade balorde e delinquenza, tutto merito di Newmark, città dove è cresciuto da quando aveva 2 anni, da lui definita "una delle peggiori del Paese". Salvato soltanto dalla solidità familiare, Michael è consapevole di essere sfuggito per un pelo a una pessima vita e presta questa sua grande naturalezza (e fortuna) al giovane Walter dello splendido The Wire, nei panni di uno spacciatore che decide di uscire dal giro della droga. La sua fine amara non libera l'attore dal dover rivivere più in là tragici epiloghi, ma in mezzo a tanta amarezza ci sarà spazio per risollevarsi dalla cruda realtà e immaginare qualcos'altro. Arriva il tempo di elevarsi dal ghetto e di guardare tutti dall'alto.
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Da grandi poteri
Con l'esempio del carismatico Idris Elba (suo punto di riferimento) a segnargli la via, il curriculum televisivo di Jordan si riempie (Cold Case - Delitti irrisolti, Bones, Lie to Me, Senza Traccia) e con Friday Night Lights il giovane attore ritorna su campo di gioco. Questa volta si parla di football e di una serie dove ricorre una frase che sembra scritta apposta per lui: "Occhi limpidi e cuore puro, non possono perdere". E infatti le prime, grandi soddisfazioni arrivano su un rettangolo a forma di grande schermo. È il 2012 e Josh Trank gli affibbia ancora una volta il ruolo di atleta in un film coraggioso e innovativo. In Chronicle, un finto documentario sugli umori impazziti dell'adolescenza, Jordan prova sulla sua pelle il dilemma etico dei superpoteri, senza un nemico da combattere o un mondo da salvare; semplicemente gestendo la responsabilità di un potere che sconvolge la quotidianità di tre ragazzi. La parte di Steve lo avvicina pian piano al mondo dei cinecomic, sfiorato per ben due volte, sia come villain che come spalla eroica. Provinato prima nei panni di Falcon in Captain America: The Winter Soldier e poi per quelli di Harry Osborne in The Amazing Spider-Man 2: Il Potere di Electro, Michael riabbraccia Trank nel franchise più sfortunato legato ai fumetti Marvel.
Fantastic 4 - I Fantastici Quattro, cinecomic falcidiato da polemiche e critiche già mesi prima della sua uscita, è stato un flop annunciato. Nonostante un cast potenzialmente talentuoso (Miles Teller e Kate Mara facevano ben sperare), la sua Torcia Umana non brilla come il suo impegno avrebbe meritato, smuovendo giornali, web e social soprattutto con sterili polemiche sul suo colore della pelle, per molti inaccettabile su Johnny Storm. Il buon Michael ha incassato il colpo, non senza una buona dose di amarezza, e ha risposto invitando i troll da tastiera "a togliere la testa dal computer e vivere tra le persone", semmai apprezzando la diversità come valore e non come leva razzista. D'altronde la benedizione suprema e definitiva per interpretare l'infiammabile eroe l'aveva avuta da un certo Stan Lee. E allora sotto con nuove battaglie, perché se diventi Adonis Creed, i nomi pesanti tornano ad essere familiari, e a te non resta che combatterli ancora una volta.
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Adonis: figlio di Apollo
Prima di salire sul ring e di correre sulla mitica scalinata di Filadelfia, facciamo un piccolo passo indietro, perché nella carriera di Michael B. Jordan c'è un felice incontro che sancisce la nascita di una coppia assai interessante. Nel 2013 il 27enne regista esordiente Ryan Coogler rispolvera una tristissima pagina della recente storia americana e decide di girarla assieme al nostro. Storia vera dell'omicidio insensato del giovane Oscar Grant, ammazzato dalla polizia californiana nel Capodanno del 2009, Prossima fermata: Fruitvale Station è un'amara intrusione in una giornata e nella breve vita di un 22enne. Coogler si serve di un Jordan incredibilmente maturo per disseminare lungo un gran bel film una serie di tristi presagi (scelte, incontri, casualità) che esaltano la forza di un fato beffardo. Quasi invisibile in Italia, la pellicola conquista il Sundance e il Festival di Cannes dove vince il Premio Avenir. È forse l'anticamera di un sodalizio che ricorda da lontano le prime collaborazioni tra Spike Lee e Denzel Washington; un parallelismo impegnativo e tutto da dimostrare, che ci fa tornare nel circolo vizioso dei paragoni. Ed è ancora di confronti inevitabili che si parla nel bellissimo Creed, spin-off della lunga saga dedicata a Rocky Balboa, fortemente voluto dallo stesso Coogler che ha più volte insistito nel convincere Sylvester Stallone a togliere i guantoni dal chiodo.
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Il risultato è un film incentrato su Adonis Creed, figlio del leggendario Apollo, star del pugilato e storico avversario dello Stallone Italiano. Nasce così un'opera impregnata di sudore e di rabbia, che cerca una doppia indipendenza: dal mito cinematografico a cui si ispira e dall'opprimente vincolo genetico di un protagonista in conflitto con se stesso. Nonostante metta in mostra un fisico scolpito, Jordan invita gli occhi del pubblico a salire dagli addominali verso il suo volto, verso quello sguardo che si specchia nella figura paterna di Stallone e dentro cui si gioca il match decisivo. Il giovane Jordan impara ad accettarsi e cerca di convincere tutti dell'onestà di quella "B" nel suo nome. Al di là del basket, della boxe e dei fumetti. Per una volta si parla solo di lui e del cinema. E la "promessa" sembra più che mantenuta.
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