"Un capitano, c'è solo un capitano". Per quasi trent'anni la vita di Francesco Totti è stata legata a due colori, giallo e rosso, quelli della AS Roma, società di calcio della Capitale in cui si è fatto le ossa prima nella giovanile (dal 1989 al 1993) e poi nella prima squadra. È rarissimo vedere nella scheda di un giocatore un solo club accanto al suo nome. E ancora più raro è che questo giocatore sia nato e cresciuto nella città di quella squadra: ci sono Michael Jordan ai Chicago Bulls, Maradona al Napoli, atleti che sono diventati il simbolo di una città, ma solo Francesco Totti è diventato un tutt'uno non soltanto con il suo club, ma con l'urbe stessa. In Mi chiamo Francesco Totti Alex Infascelli ha cercato di svelare il mistero di questo legame viscerale e fortissimo, mettendosi a sedere con il calciatore la sera prima della sua ultima partita, il 17 luglio 2017.
Dopo l'anteprima alla 15esima Festa del Cinema di Roma e il passaggio in sala (un'uscita evento, voluta da Vision Distribution, dal 19 al 21 ottobre), Mi chiamo Francesco Totti è disponibile on demand dal 29 ottobre sulle principali piattaforme di streaming tra cui Infinity e, contrariamente a quello che possano pensare i tifosi di diversa fede calcistica, non è semplicemente la biografia del giocatore più significativo della AS Roma, né un suo santino, ma un racconto che cerca di portare alla luce sentimenti, passioni e difetti di un'intera città. La mitologia di Francesco Totti si fonde con quella di Roma.
Lo stesso regista Alex Infascelli ha avuto questa sensazione. Nel visionare vecchi filmati privati della famiglia Totti e le riprese delle partite di una lunga carriera, è come se si fosse seduto davanti a Roma, dove anche lui è nato: "Parlare con Roma è come mettersi a sedere con la propria madre una sera e dire: adesso tu mi devi parlare di quello che non mi hai mai detto per proteggermi. Mi devi dire chi sono io, da dove vengo io prima di me. Mi devi dire come sarà il mio futuro secondo te. Questo è quello che io e Francesco facciamo insieme" ci ha detto alla Festa del Cinema di Roma. E in effetti è proprio così.
Francesco Totti e Roma: un legame indissolubile
Chi tifa per un'altra squadra non capisce perché i romani quando si fa il nome di Francesco Totti diventino completamente irrazionali: er Capitano, er Pupone, l'ottavo re di Roma è in grado di far tirare fuori anche al più freddo dei cittadini della Capitale l'amore e l'orgoglio per la propria città. Certamente perché è stato un grandissimo campione, riconoscibile in tutto il mondo (dal Giappone all'India, ogni volta che all'estero si dice "vengo da Roma" una delle prime parole che si sentono in risposta subito dopo è Totti, provare per credere). Certamente perché piace ai tifosi così come a chi non segue il calcio (per anni la massa ha seguito sui giornali di gossip la sua relazione con Ilary Blasi, capo saldo dello stereotipo "calciatore e velina"). Certamente perché, nonostante abbia avuto più volte la possibilità di andare in altre squadre, che lo avrebbero pagato di più e con cui avrebbe vinto molto di più (su tutte il Real Madrid, che gli offrì 12 miliardi l'anno, per giocare insieme a David Beckham e Zinédine Zidane), non ha mai voluto allontanarsi dal luogo in cui è nato e cresciuto (nel documentario lo dice: "Ma 'ndo vado via da Roma? È impensabile, è impossibile. Mammamia quanto è bella Roma!").
Mi chiamo Francesco Totti, la recensione: È il nostro The Last Dance
Il suo grande fascino però, quasi inconscio, deriva dal fatto che incarna tutte le qualità, positive e negative, di Roma. In Francesco Totti c'è la serenità e la sicurezza di chi ha sempre saputo cosa fare: fin da quando, giovanissimo, a 12 anni era già un campione (riguardando i filmati insieme ad Alex Infascelli è lui stesso ad accorgersi che allora giocava esattamente come avrebbe fatto da professionista). Già sapeva che sarebbe entrato nella Roma (anche perché se fosse stato preso dalla Lazio in famiglia gli avrebbero tolto il saluto) ed era pronto a sacrificare tutto per quel dono. Come Noodles in C'era una volta in America, il sabato sera andava a letto presto. Un bicchiere di latte e poi a dormire, per arrivare fresco sul campo il giorno dopo. Una calma che si è portato dietro in tutti i campi della sua vita, come quando, vedendo la futura compagna Ilary Blasi in tv, pensò subito che quella era la donna della sua vita e che l'avrebbe sposata. E ancora una volta è andata proprio così.
Alex Infascelli su Mi chiamo Francesco Totti: "Parlare con Totti è come parlare con Roma"
È lo stesso Infascelli ad averci spiegato questa cosa incredibile, facendo un discorso degno del Drugo di Arancia meccanica: "Un conto è sapere, un conto è sentire. Quello che Francesco ha vissuto non è un sapere, è un sentire, ed è la cosa che l'ha salvato secondo me. Perché il sapere è infingardo, il sapere ti fotte. Il sentire è sempre nel qui e ora, il sapere è una roba che può essere accumulata. Il tuo sapere può essere qualcosa che non ti corrisponde più, perché proviene da un'esperienza passata, di un concetto, di una didattica. E invece il sentire è sempre presente. Sempre contemporaneo al momento in cui avviene. Quindi Francesco per tutta la sua vita ha sentito quello che doveva fare, non ha seguito una nozione. In questo è stato un essere umano originalissimo: il sentire ha fatto sì che si eliminasse come ego, perché, per quanto riguarda il calcio, ha sentito di aver ricevuto un dono e quindi non era il padrone di questo dono, doveva semplicemente assecondare quello che gli veniva detto da Dio, dall'alto, dal destino. Ha avuto la capacità di ascoltare i messaggi invisibili che tutti noi riceviamo ma che molto spesso disattendiamo."
Francesco Totti: un mito dalla vita normale
Se consideriamo l'uomo, Francesco Totti ha avuto una vita piuttosto normale dal punto di vista personale: una famiglia unita e affettuosa, una carriera importante, poi un matrimonio duraturo e tre figli. Niente eccessi. Per un periodo è stato anche additato come ignorante e incapace di parlare in pubblico (fatto che ha intelligentemente cavalcato con il famoso libro sulle barzellette e in spot televisivi). E invece, come dice nel film, era solo timido, riservato. A parlare spesso è stata infatti la moglie, Ilary Blasi, vera e propria roccia, con cui si è sempre confrontato e che gli ha dato consigli per tutta la vita. Anche di questo non avevamo capito niente.
Perché, proprio come Roma, sotto i sampietrini sconnessi, i mezzi che non funzionano, la sporcizia e l'incuria, batte in realtà un cuore dal ritmo lento, inarrestabile, che sta lì, immutabile da migliaia di anni. Ha i suoi lati negativi, certo, come la "permalosità" del campione, di cui parla apertamente anche lui (gli sputi, gli insulti sul campo non sono tra i suoi momenti più felici), ma quelli positivi li superano e vanno a costruire la mitologia di chi sa chi è da millenni ed è in grado di affrontare ogni situazione perché nel sangue ha la risposta e il gesto pronti. Non è indolenza, non è voglia di non fare niente: è il frutto di millenni passati accogliendo tutti senza mai dimenticare la propria provenienza, uniti sotto l'ombra del Colosseo e delle centinaia di chiese in marmo bianco che rendono Roma piena di luce. Anche quando è nel suo momento più buio.
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"Sono diventato un monumento" dice nel film: ma non soltanto perché è continuamente fermato e fotografato. Perché in lui un'intera città si è rispecchiata, come se lo avesse toccato alla nascita, scegliendolo come simbolo: ed ecco perché, quando Francesco Totti ha giocato la sua ultima partita, tutta Roma era in silenzio quel giorno. E invece è esplosa per una settimana quando ha vinto lo scudetto nel 2001. Per capire Roma bisogna guardar giocare Francesco Totti: nel suo "cucchiaio" c'è la Storia.