Ma cosa accadrà se un giorno, dalle profondità della terra, questa gente si rivolterà contro di te?
Tra i film che hanno contribuito a ridefinire non solo l'iconografia del cinema ma un intero immaginario culturale, esercitando un'influenza che trascende l'epoca e il paese di appartenenza, Metropolis occupa un posto di massimo rilievo. La sua cupa bellezza visionaria, il suo potere immaginifico e la capacità di esprimere lo Zeitgeist dell'Europa a cavallo fra le due guerre mondiali hanno permesso al kolossal di Fritz Lang di sopravvivere a un drastico tonfo commerciale e di scrivere un capitolo imprescindibile negli annali della settima arte: Metropolis è il film che probabilmente più di qualunque altro ha 'inventato' il genere della fantascienza sul grande schermo, imponendosi come un inevitabile modello di confronto per decine di opere successive.
La pellicola di Fritz Lang veniva proiettata per la prima volta al pubblico esattamente novant'anni fa, il 10 gennaio 1927, all'Ufa-Palast am Zoo di Berlino: un debutto trionfale che sarebbe stato però il preludio di un'esistenza travagliata, fra i pesantissimi tagli imposti dalla Paramount e dalla MGM per la distribuzione internazionale (da centocinquanta minuti a poco meno di due ore), un budget faraonico (cinque milioni di marchi) che rischiò di ridurre in bancarotta la compagnia di produzione UFA, destinata di lì a breve a diventare uno strumento della propaganda nazista, e circa mezz'ora di film che sarebbe andata perduta per otto decenni, fino al suo miracoloso ritrovamento nel 2008 a Buenos Aires. E per celebrare il novantesimo anniversario di questa autentica pietra miliare, in procinto di rivivere sul piccolo schermo in una nuova miniserie a firma di Sam Esmail (il creatore di Mr. Robot), ripercorriamo dunque la storia, le caratteristiche e i motivi di fascino di quello che, senza timori di iperbole, può e deve essere definito come uno dei più importanti film di tutti i tempi.
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Cronache del sottosuolo
Nel 1925, quando sceglie di imbarcarsi nel progetto più ambizioso della sua intera carriera, Fritz Lang ha appena trentaquattro anni ed ha già alle spalle una produzione sterminata, culminata nella prima metà degli anni Venti in una coppia di dittici, Il dottor Mabuse e la saga de I Nibelunghi, destinati a far scuola. Il soggetto per questa nuova pellicola è fornito dall'omonimo romanzo di Thea von Harbou, moglie e collaboratrice di Lang, romanzo che il regista depura dai suoi elementi più esoterici: nelle mani di Lang, Metropolis diventa così una fiammeggiante rappresentazione della lotta di classe, argomento particolarmente sensibile in una Repubblica di Weimar in cui le tensioni sociali si facevano sempre più laceranti. L'intreccio, infatti, è costruito attorno a una dicotomia di casta resa, sul piano visivo, attraverso una dicotomia spaziale: quella fra l'alto e il basso, fra gli edifici troneggianti della città di Metropolis e il sottosuolo, teatro dell'attività incessante di legioni di operai.
Nel contesto di questa netta divisione fra ricchi e poveri, fra l'alta borghesia imprenditoriale e il proletariato, emerge la figura del protagonista nonché principale personaggio focalizzatore del film, il giovane Freder Fredersen (Gustav Fröhlich), rampollo del magnate dell'industria Joh Fredersen (Alfred Abel). Rinchiuso in un microcosmo ovattato di piaceri e privilegi, una sorta di Arcadia denominata il "Giardino dei Figli" e assimilabile a un vero e proprio harem, Freder ha un brusco risveglio di coscienza in seguito all'incontro con Maria (Brigitte Helm), insegnante di scuola e leader degli operai, determinata a denunciare le miserevoli condizioni in cui versano. Scosso dalle parole di Maria e dalla vista dei figli degli operai, il ragazzo deciderà di scendere nei sotterranei in cui lavorano i dipendenti di suo padre, restando sconvolto dallo spettacolo che gli si parerà di fronte.
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Una metropoli del futuro tra fantascienza e incubo
La progressiva assunzione di consapevolezza di Freder, coincidente con il suo innamoramento nei confronti di Maria, è il percorso narrativo a cui si accompagna una messa in scena assolutamente stupefacente, per la quale Fritz Lang sfrutta al massimo grado tutto il potenziale del linguaggio filmico del cinema muto: il ritmo incalzante del montaggio (con un frequente utilizzo del montaggio alternato), il ricorso alla tecnica dello stop motion per alcune sequenze particolarmente complesse e l'applicazione del cosiddetto effetto Schüfftan, ovvero l'impiego di specchi sul set per amalgamare gli attori in carne e ossa con scenografie fittizie in miniatura, oltre all'apporto di effetti speciali rivoluzionari e alla ricostruzione di un mondo futuristico collocato nel 2026, esattamente un secolo dopo rispetto al periodo delle riprese.
E in questo mondo, un'apoteosi di urbanistica avanguardista sviluppata in senso verticale, il regista tedesco riversa le più diverse influenze a livello artistico: dagli scenari metropolitani ispirati allo skyline di New York all'Art déco di derivazione francese (proprio mentre Lang iniziava a girare Metropolis, a Parigi aveva luogo l'Expo del 1925), dai dipinti di Pieter Bruegel il Vecchio per l'immagine della nuova Torre di Babele che svetta al centro di Metropolis allo stile gotico della maestosa cattedrale che ricorda quella di Notre Dame. Non a caso fra le guglie della cattedrale si consumerà lo scontro conclusivo tra Freder e il perfido scienziato Rotwang (Rudolf Klein-Rogge), in una sequenza carica di tensione che cita il climax del romanzo di Victor Hugo Notre Dame de Paris. Insomma, l'apparato visivo messo in campo da Lang offre ancora oggi uno spettacolo straordinario: senz'altro per merito della sua eterogeneità e del sincretismo fra differenti ambiti di riferimento, ma anche per l'afflato visionario dell'universo creato dal grande regista, per lo sfrontato connubio tra una magnificenza architettonica di matrice chiaramente fantascientifica e una dimensione onirica che prende in prestito suggestioni tipiche dell'espressionismo tedesco (le braccia o addirittura gli occhi che si moltiplicano sullo schermo).
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Dall'Apocalisse a Blade Runner: umani, mostri e robot
Tale dimensione onirica prende il sopravvento sul reale in alcuni dei momenti più memorabili di Metropolis: ad esempio quando Freder, attonito davanti alla "catena di montaggio" del sottosuolo, vede uno dei giganteschi macchinari assumere le sembianze di uno spaventoso Moloch (la mostruosa divinità pagana che richiedeva sacrifici umani) intento ad inghiottire decine di operai. O, con valenza ancora maggiore, durante l'intermezzo del film, fra le pagine più belle del cinema di Lang: una macrosequenza da antologia in cui Freder, in preda alle allucinazioni, vede le statue dei sette peccati capitali prendere vita, la Morte avanzare verso di lui sferrando colpi di falce, mentre la danza sfrenata di Maria (o meglio, del suo Doppelgänger) la porterà ad essere trasfigurata nella grande meretrice di Babilonia. Sempre dall'iconografia biblica, fra i principali modelli di Metropolis, è ripresa l'immagine di Maria in sella al mostro marino descritto nell'Apocalisse.
Proprio Maria, insieme al suo 'doppio' artificiale, costituisce la figura chiave della storia, mentre l'automa che assumerà il suo aspetto è stato eletto ad emblema del film stesso: al robot di Metropolis renderà esplicito omaggio George Lucas, mezzo secolo più tardi, nel suo Guerre stellari con il droide C-3PO, il cui aspetto riproduce con sostanziale fedeltà quello della donna-macchina creata in laboratorio da Rotwang. Al capolavoro di Fritz Lang si ispirerà, fra gli altri, pure Ridley Scott, che in Blade Runner rielabora elementi del design della città futuristica di Metropolis (ma l'idea stessa dei replicanti nel racconto di Philip K. Dick potrebbe essere ricollegata al sosia robotico di Maria).
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"Mediatore tra il cervello e le mani dev'essere il cuore"
Il personaggio di Maria, eroina positiva della vicenda, viene adoperato da Fritz Lang come veicolo per un'apologia della coscienza di classe e della necessità di rivendicare diritti fondamentali contro l'incipiente disumanizzazione dell'individuo. Un messaggio che, tuttavia, viene incrinato dalle ambiguità ideologiche dell'ultima parte, quando la ribellione degli operai rischierà di provocare la distruzione dell'intera città e la morte dei suoi abitanti (le scene di massa e l'allagamento di Metropolis rimangono fra le sequenze più impressionanti del cinema degli anni Venti), mentre l'epilogo è suggellato dalla sbrigativa riconciliazione tra Joh Fredersen e il capo degli operai, Grot (Heinrich George), per merito di Freder, il quale assume dunque la funzione di "mediatore" secondo la profezia di Maria ("Mediatore tra il cervello e le mani dev'essere il cuore", recita l'epigrafe della pellicola): un finale conciliante, ideato da Thea von Harbou ma non troppo amato da Lang, che in seguito avrebbe ammesso di non averne compreso appieno le implicazioni sociali.
Ma ben più del suo discorso politico, ad emergere in Metropolis è stata innanzitutto la sua irresistibile forza iconica, frutto dell'audacia di un cinema che ha fatto tabula rasa di quanto realizzato fino ad allora per riscrivere da zero le regole della fantascienza, in un'ardita contaminazione di codici e linguaggi delle più varie sfere culturali. Al di là delle innumerevoli citazioni nella cultura popolare contemporanea, Metropolis resta di per sé un'opera superba e ammaliante; un'opera che, da pochi anni (la prima proiezione è stata quella al Festival di Berlino 2010), è finalmente apprezzabile nella propria interezza (o quasi) grazie al reintegro dei circa trenta minuti di pellicola ritrovati a Buenos Aires e ricollocati all'interno del film, con la colonna sonora originale di Gottfried Huppertz. Una versione ancora più completa e fedele al lavoro di Fritz Lang, per un film indimenticabile che ha 'scolpito' il genere della fantascienza così come lo conosciamo oggi.