Il Festival di Locarno 2018 ha da sempre avuto un occhio di riguardo per i film difficili o di nicchia. Lo dimostra la selezione italiana in concorso degli ultimi anni. Anche quest'anno l'unico film italiano in concorso è un'opera decisamente sui generis, Menocchio, opera a metà tra finzione e documentario firmata dall'autore friulano Alberto Fasulo. Per il suo nuovo lungometraggio, Fasulo ha deciso di raccontare una storia antica legata alla sua terra, quella del mugnaio Domenico Scandella, detto Menocchio, condannato due volte per eresia e giustiziato nel 1599. Per evocare questa figura controversa e molto moderna, Fasulo ha messo insieme un cast di persone della zona del Friuli in cui viveva Menocchio, attori non professionisti, creando un film dal suggestivo look pittorico, fatto di chiaroscuri, di scene a lume di candela, di primissimi piani.
Parlando della genesi del film, che ricorda l'altrettanto rigoroso Gostanza da Libbiano di Paolo Benvenuti, Alberto Fasulo svela: "Menocchio nasce dal desiderio di raccontare in profondità il territorio della mia infanzia. La storia di Domenico Scandella viene insegnata nelle scuole del Friuli". Alla base del film vi è un importante lavoro sul linguaggio, visto che la pellicola mescola dialetto friulano, italiano e latino. "Il tema della lingua è stato affrontato fin dall'inizio. Ho scelto di dare libertà agli attori. Abbiamo scandagliato tre valli, la prima quella originale dove abbiamo incontrato Marcello Martini, il protagonista, poi la Val Pesarina in cui abbiamo girato e infine Trento. Il friulano è ancora la lingua del popolo, il latino del clero. La lingua franca è l'italiano. Il friulano del film è quello delle montagne, una lingua dura, gutturale, che dà un sapore antico, meno musicale del friulano di Udine".
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Un instant movie girato con attori non professionisti
L'origine della storia di Menocchio è, naturalmente, letteraria, ma Alberto Fasulo ci tiene a fare chiarezza specificando che, anche se la storia è divenuta popolare grazie al saggio di Carlo Ginzburg Il formaggio e i vermi, il film nasce dalle fonti usate da Ginzburg, "abbiamo avuto accesso a tutta la bibliografia scritta negli anni su Menocchio e ai verbali del processo. C'è stata una ricerca straordinaria sui testi; stiamo parlando di un momento storico in cui nasce il potere dello stato e imperversa quello della chiesa. La chiesa voleva anche il controllo sulla salute delle persone". Per quanto riguarda le fonti d'ispirazione figurative, Fasulo nega di aver fatto studi pittorici specifici. "Gli unici punti di riferimento sono stati Gostanza da Libbiano e Robert Bresson".
Molto interessante è stato il lavoro di ricerca degli interpreti del film, a cominciare dall'intenso Marcello Martini, ex impiegato dell'Enel in pensione da pochi giorni. "Senza di lui non avremmo potuto fare il film" ammette Fasulo. "Gli attori non hanno imparato dialoghi, è stato girato cronologicamente e scritto momento per momento, è quasi un instant movie". Quanto a Marcello Martini, l'attore per caso confessa divertito: "Mi sembra di non essere mai neanche uscito dal personaggio! Non era una storia che conoscevo prima, ma appena ho letto la sceneggiatura mi sembrava che parlasse di me. O vengo dal passato o sono portatore del DNA di Menocchio".
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L'attualità politica di Menocchio oggi
La componente storica alla base di Menocchio non rende i temi toccati meno attuali, anzi, nella visione di Alberto Fasulo Menocchio è un rivoluzionario ante litteram, un uomo che difende le proprie idee e, attraverso esse, l'indipendenza di pensiero. L'evidenza storica richiama, dunque, la propaganda e la natura del potere che cerca di soggiogare il popolo, oggi come ieri. "Basta aprire un quotidiano oggi per capire quanto siamo fedeli al sentire o attenti al compiacere" commenta il regista. "Il rischio, per me, era fare di Menocchio o un'eroe o, ancor peggio, una vittima. Di fronte alla confusione di oggi, agli slogan, alle parole vuote, c'è bisogno di tornare a comunicare con gli altri".
La conferma dell'idea di Fasulo sta nell'immagine finale del film, che si conclude con l'abiura di Menocchio di fronte alla Chiesa e ai compaesani. "Siamo animali sociali e abbiamo l'obbligo morale di accogliere le persone e difenderle. Cinematograficamente parlando, mi sarebbe piaciuto rimanere sul primo piano di Menocchio, ma sentivo il bisogno di raccontare lo sguardo e l'atteggiamento di chi ascolta. Siamo noi al centro di tutto" chiosa Fasulo.