Un macabro talent show, un mondo diviso in rigide classi, un labirinto crudele in cui trovare se stessi. Tre grandi allegorie per raccontare i turbamenti e i disagi dell'adolescenza. Hanno fatto così Hunger Games, Divergent e Maze Runner - Il labirinto, gli avvii di tre grandi saghe young adult dove la metafora è servita a delineare parabole eroiche di ragazzini costretti a diventare presto le persone che erano destinate ad essere. Se la storia di Katniss ci ha mostrato come quell'età spesso tempri la personalità attraverso lo scontro inevitabile col coetaneo, quella di Tris ha sottolineato la paura di sentirsi diversi da tutti, di essere inclassificabili, con tutto il disorientamento che ne deriva. In questi futuri miserabili dove la libertà dell'individuo è pura utopia e l'unica speranza risiede nello spirito combattivo di due coraggiose eroine, al giovane Thomas è spettato il compito di chiamare a raccolta un pubblico prettamente maschile. Perché nella Radura di Maze Runner va in scena una specie di Signore delle Mosche 2.0, un esperimento sociale (e sociologico) dove un gruppo di ragazzi deve decidere se sottostare a delle ferree regole o violarle, accettando il rischio dell'ignoto e della morte, sfiorando il miraggio della libertà. Ecco, il dilemma di tutta la saga di Maze Runner, forse, è proprio qui: rispettare le regole o perdersi pur di ritrovarsi? Una cosa è certa: tutte queste saghe, che di fatto hanno tentato (con fortune alterne) di raccogliere il testimone lasciato da Harry Potter, trovano negli adulti uno spauracchio da combattere, un nemico sordo e spietato contro cui ribellarsi.
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Non fa eccezione l'opera letteraria di James Dashner da cui il regista Wes Ball ha tratto la sua trilogia piena di costrizioni e di fughe, di catene e di sforzi destinate a spezzarle. Tre anni dopo il primo promettente primo capitolo e a due di distanza dal più deludente sequel, Maze Runner - La rivelazione chiude finalmente il cerchio narrativo di Thomas e dei suoi fidati (ma anche infidi) amici. Ci si ritroverà, e ci si perderà, assieme a questi ragazzi costretti a capire che la vita adulta è davvero un labirinto.
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Dalla sabbia al vetro
Li abbiamo chiamati young adult per comodità, per moda editoriale, ma in realtà quelle di Katniss, Tris e Thomas sono soprattutto distopie. Ce lo suggeriscono i rigidi assetti sociali in cui sono immersi, i loro mondi cupi dove il progresso, la pace e l'ordine hanno prestato il fianco a ingiustizie, disperazione e violenza. Perché sono distopie tutti quei futuri dove ogni progetto utopistico fallisce miseramente, sfociando nell'incubo più nero. Il futuro immaginato da Maze Runner è piegato da un virus incurabile e inarrestabile, vero e proprio effetto domino pestilenziale che miete vittime a furia di contagi continui. Per provare a contrastare questa valanga di infetti, l'organizzazione C.A.T.T.I.V.O. (in originale chiamata in maniera altrettanto esplicita: W.C.K.D.) utilizza giovani cavie senza risparmiare ancora altre morti su morti.
Ambientato un anno dopo Maze Runner: La Fuga e slittato dopo un grave infortunio di Dylan O'Brien sul set, Maze Runner - La rivelazione non ha tempo da perdere, va di corsa e riempie ogni domanda irrisolta attraverso un'azione frenetica e incessante. È come se Ball voglia farci avvertire l'urgenza asfissiante di Thomas e compagni, intenzionati a salvare il loro leader Minho dalle spietate mani della C.A.T.T.I.V.O.. Si parte così, col fiatone e in medias res, un po' come successo nel primo capitolo, immediatamente catapultati in un assalto al treno degno di un western post-apocalittico. Dopo la verdeggiante ambientazione di Maze Runner - Il labirinto e quella sabbiosa di Maze Runner - La fuga, questo terzo atto ci conduce verso un contesto urbano asettico e ordinato, dove ogni parvenza di solidità e controllo è destinata a crollare rovinosamente, ad essere messa a ferro e fuoco da una rabbia giovane.
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Amici, sino al game over
Affanno, sangue, ruggine, lacrime. Il ritmo narrativo di Maze Runner - La rivelazione è spesso tachicardico, ed è per questo che, quando il film tenta di abbracciare linee narrative lontane dalla missione principale, sfocia nell'inutile lungaggine. Senza qualche diversivo di troppo, l'ultimo capitolo della saga procede inesorabile e severo verso una resa dei conti dove i protagonisti sono messi alle strette, sia fisicamente che psicologicamente. Lontano da toni patinati e percorsi immacolati, Ball ci prende per mano dentro una storia che si sporca le mani con il tradimento e le delusioni, con gli addii e con il sacrificio. Come all'interno di un videogame, ovvero suddiviso in livelli di crescente difficoltà (assalti, infiltrazioni, fughe, guerriglie urbane), il film tocca apici notevoli di adrenalina e coinvolgimento, e lo fa grazie ad una regia chiara e abile nel restituirci persino un senso di vertigine.
Peccato soltanto per gli antagonisti monodimensionali (su tutti un Aidan Gillen relegato alle solite smorfie di Ditocorto) e per una rivelazione (quella del titolo) tutt'altro che originale. Nonostante la presenza dell'inevitabile love story, gestita con parsimonia e maturità, il vero cuore del film batte per l'incessante sentimento dell'amicizia. Tra sacrificio e altruismo, il nucleo del racconto è composto da Thomas e Newt che, sull'esempio di Frodo e Sam, affrontano fuoco e fiamme pur di sostenersi a vicenda. Ci saranno fatiche e ci saranno scelte difficili pur di arrivare all'agognato obiettivo. Ed eccola lì, la luce fuori dal labirinto: è l'adolescenza che finisce. Gli uomini e le donne che siamo diventati. Game over.
Movieplayer.it
3.0/5