È stato uno degli adolescenti ribelli e dannati di Francis Ford Coppola, prima con I ragazzi della 56° strada poi con Rusty il selvaggio, ma ha frequentato anche la commedia romantica americana dove ha interpretato forse uno dei suoi ruoli più esilaranti, quello dell'investigatore Patrick "Pat" Healy in Tutti pazzi per Mary. Ha dato il volto a un serial killer per Gus Van Sant (nel cruento e censuratissimo La casa di Jack) e al poliziotto razzista del corale Crash di Paul Haggis. Oggi che il fascino del dannato lo ha lasciato agli anni '80, Matt Dillon è un artista eclettico, che ha trovato nella regia (City of ghosts e The Great Fellove) la sua sfida più "stimolante", perché gli piace "fare cose che mi fanno stare un po' scomodo".
Dal 14 settembre, salvo slittamenti dovuti allo sciopero degli attori a Hollywood indetto dal SAG-AFTRA - che ha già fatto saltare l'apertura veneziana affidata a Challengers di Luca Guadagnino - lo vedremo in Asteroid City di Wes Anderson, nel frattempo qualche giorno fa all'Umbria Cinema Festival di Todi ha ritirato il Premio Speciale Umbria Cinema ed è stata l'occasione per ripercorrere la sua carriera nel corso di una chiacchierata con la stampa. All'orizzonte intanto ci sono altri due progetti: Haunted Heart di Fernando Trueba, "un film dark, quasi un thriller romantico" lo definisce Dillon legato al regista spagnolo dalla passione comune per la musica afro cubana, come lui stesso tiene a sottolineare; l'altro invece è un film con Charlotte Gainsbourg, An Ocean Apart, ma è ancora presto per parlarne.
Il film con Wes Anderson e l'amore per l'Italia
Come definirebbe il mondo di Wes Anderson?
Wes e il suo mondo sono una delle voci più uniche del cinema di oggi. Quando mi ha chiamato per questa piccola parte, ho subito accettato perché mi piace il suo lavoro e siamo molto amici. Una volta arrivato sul set, appena fuori da Madrid, non credevo ai miei occhi, sono rimasto sbalordito: aveva ricreato il deserto americano su un campo di cocomeri. Mi ha confessato di aver scelto quelle location perché doveva esserci un hotel cinque stelle dove potesse guidare sul set con una gold cart.
L'Italia è la sua seconda casa, ma non ha ancora mai lavorato in un film italiano...
Mi hanno chiesto cosa manca ancora alla mia carriera e questa potrebbe essere una delle risposte. Mi piacerebbe lavorare con un bravo regista italiano come Garrone, per esempio, e ovviamente Sorrentino. Della grande tradizione del cinema italiano mi piace la sua capacità di raccontare storie molto specifiche, che però riescono a interfacciarsi con il mondo.
Ha mai pensato di raccontare il nostro paese?
Uno dei miei registi preferiti è il britannico Carol Reed, mi piace quello che fa con la Vienna del secondo Dopoguerra ne Il terzo uomo, quel posto diventa un mondo. Lo ha fatto anche con l'Irlanda de Il fuggiasco o la penisola malese de L'avventuriero della Malesia, ed è quello che ho fatto anche io quando sono andato in Cambogia per girare City of Ghosts. Mi interessa questo modo di girare, trovo molta ispirazione nel suo lavoro e mi piacerebbe fare una cosa del genere in Italia, ma senza cadere nei cliché. Vorrei farlo in modo autentico, perché è quello che vedo nei grandi registi italiani. I primi film di Fellini erano più realistici, più convenzionali, ma c'era sempre una grande autenticità. Recentemente ho rivisto Accattone di Pasolini, lo considero un capolavoro, mi piace tantissimo Franco Citti, la sua faccia, la sua performance. È un film vivido che ti rimane dentro, ogni scena dipinge il tema del film.
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La svolta con Coppola
Che ricordi ha del set de I ragazzi della 56esima strada con Coppola?
Quando iniziai, tanti anni fa, Francis per noi giovani attori era come un Dio, lavorare con lui rappresentava per tutti la grande occasione. Dopo l'audizione pensai di non aver avuto la parte e invece mi chiamò lo stesso giorno per dirmi che avevo ottenuto il ruolo. Aver lavorato con Francis ha sicuramente cambiato la direzione della mia carriera e di tutte le persone che lavorarono con me in quel film. Ero il secondo più giovane del gruppo, avevo appena compiuto 18 anni, nonostante forse avessi un po' più di esperienza degli altri. Da quel set mi sono portato dietro un sacco di cose, non è un caso che i migliori cineasti con cui ho lavorato siano stati quelli che prestavano più attenzione ai personaggi. E Francis faceva esattamente questo: era focalizzato su tutti noi e i nostri rispettivi ruoli. Facevamo moltissime ore di prove e improvvisazioni, gli piaceva tantissimo la spontaneità e anche prendersi dei rischi, mi incoraggiava. Era sempre molto attento alle ultime tecnologie, ma nello stesso tempo durante queste lunghe sessioni di improvvisazione ci seguiva e ci riprendeva per rendere tutto più spontaneo. Una volta uscì con me e un altro paio di attori, ricordo che c'era anche Ralph Macchio, e ci seguì con la telecamera riprendendoci per tutto il tempo mentre ce ne andavamo in giro a fare un po' di cose folli, come rubare nei negozi. Francis amava tutto questo, ci faceva vedere vecchi film, ci ha insegnato molto e capiva l'importanza della storia del cinema. Era come un ragazzone con grande energia e entusiasmo.
Pensa che l'intelligenza artificiale possa diventare un problema per l'industria cinematografica?
L'AI può essere usata in modo positivo o negativo e a volte fa paura. Ma le macchine, a differenza degli esseri umani, non hanno intenzioni proprie, o almeno non ancora, anche se il timore è che in futuro possa succedere. Ricordo quando il cinema iniziò a usare la CGI, c'erano gli stessi timori e si stabilirono delle regole; ciò che temo è come l'AI possa essere usata dagli umani, e che qualcuno possa sfruttarla come scorciatoia, ma al momento utilizzare l'intelligenza artificiale al posto degli attori, come magari alcune persone prospettano, non è sicuramente un'opzione. Sono un umanista, credo nei diritti umani e non vorrei mai che gli esseri umani venissero sostituiti dalle macchine. Penso che l'AI abbia molti aspetti positivi, ma urgono delle giuste regole, è importante che venga regolata. Se viene usata deve rivelarsi per quella che è e non essere nascosta. Non è facile, ma è una battaglia che va combattuta.