Il Bianconiglio esce dalla sua tana, ci chiede di seguirlo e ci porta sempre nello stesso posto. Ancora una volta davanti a un bivio. Due mani si aprono dinanzi ai nostri occhi. Nelle lenti degli occhiali da sole si riflettono due pillole. Una rossa e una blu, ovviamente. Iniziamo la nostra recensione di Matrix Resurrections rievocando il gesto più iconico di uno dei film più influenti nella storia del cinema perché questo sequel ci obbliga a scegliere. Prendere o lasciare. Ingoiare o rigettare. Niente mezze misure. Lana Wachowski mette al mondo un quarto capitolo strambo, per certi versi anarchico, che chiede al pubblico lo sforzo di essere prima di tutto accettato e poi capito. Perché, diciamolo chiaramente, per molte persone la saga di Matrix non aveva bisogno di un quarto capitolo. Per alcuni nemmeno di un secondo e di un terzo (che andrebbero rivalutati con attenzione). Data per buona l'esigenza creativa della sua autrice, questa volta senza sorella al suo fianco, Matrix Resurrections ci chiede il favore di non giudicare a scatola chiusa e di fidarci di una creatura bizzarra e affascinante come questo film. Un'opera imperfetta e scoordinata, che è tutto tranne che insulsa.
Wachowski ha tanto da dire, e lo dice un modo a volte confuso, altre volte in modo sin troppo schietto. Se abbiamo parlato di creatura, è perché questo Resurrections assomiglia davvero a un Cerbero. Un cane con tre teste che pensano a tre cose diverse. Tre livelli che vi raccontiamo strato dopo strato.
Nuove ribellioni
Primo livello. Partiamo dalla superfice. Partiamo dalla trama di Resurrections, che (chiariamolo subito) non è un reboot, ma un sequel vero e proprio, un quarto capitolo che si ricollega alla perfezione al finale della trilogia. Ritroviamo un Neo, anzi un Thomas Anderson, inedito nel look ma sempre spaesato nella consapevolezza. Il nostro vive un'esistenza abitudinaria, eppure c'è qualcosa che lo turba. Sono strani che ricordi che riaffiorano di continuo, schegge da un presunto passato che lo assillano. Per questo l'uomo va in analisi per provare a mettere ordine in questo caos mentale. Almeno sino al momento in cui l'incontro con una donna apre una crepa impossibile da chiudere. Facile intuire che parlare della trama di questo quarto Matrix è come grattare la crosta di un tozzo di pane. È solo patina, una confezione che nasconde molto altro. È forse per questo che lo storico dualismo illusione/realtà, con tanto di immancabile ribellione contro Matrix, è senza dubbio la parte più debole e meno riuscita del film. Da una parte abbiamo apprezzato il coraggio di un'impostazione visiva nuova, che ha la forza di tradire il classico filtro livido della saga, ma necessaria per prendere atto di una cosa: la nostra realtà è cambiata.
Non è più quella del 1999 e di conseguenza anche la simulazione di Matrix deve avere un aspetto nuovo. Dall'altra, però, tutta la storia dedicata alla nuova lotta contro il sistema perverso della Matrice non ha mordente, procede col pilota automatico e ci regala scene action poco ispirate e senza grande ritmo. Sembra un continuo omaggio a un passato glorioso che non può tornare. Consapevole che stupire il pubblico come vent'anni fa sarà un'impresa da Messia, Lana Wachowski non fa certo finta di niente, e si confronta di continuo col suo stesso mito. Un fardello pesantissimo che schiaccia la crosta di Matrix Resurrections. Però, per fortuna, c'è un altro livello da esplorare.
Matrix oltre al primo capitolo: una trilogia da riscoprire e amare
Matrix guarda Matrix
Gatti neri, tanti dejà vù e immagini familiari che assillano il nostro Neo. Che Matrix Resurrections fosse un film metacinematografico lo avevamo intuito dal trailer, ma pensavamo che fosse un sottotesto allegorico. Una metafora sussurrata nell'orecchio del pubblico. E invece no. Altro che metafore. Qui il dito medio di Lana Wachowski in faccia ad un certo tipo di cinema è esplicito. Il parallelismo è lampante: Matrix è Hollywood. Una fabbrica di illusioni e simulazioni affetta da una virus duro a morire: la nostalgia. Resurrections ha la nausea dei sequel senza anima, dei film ruffiani svuotati di idee, dell'eterno ritorno del passato che rassicura sempre e non destabilizza mai. Un cinema sempre più avaro di novità, sempre più pigro, sempre più in debito col passato. Con spirito sovversivo e molto auto-ironico, Resurrections sa bene di cadere in contraddizione, ma fa proprio della consapevolezza la sua arma migliore. Questo è un film che sa di essere Matrix 4, conosce le perplessità del pubblico nei suo confronti e instaura un dialogo diretto con lo spettatore. "Basta nostalgia", questo ci urlano Neo e Trinity. Perché se nel 1999 il primo Matrix si è imposto come un profezia visionaria sul futuro che ci aspettava, questo ha la nausea del passato e spinge il pubblico a smetterla di fare confronti. Prima di tutto con lo stesso mito di Matrix. Liberarsi da quelle catene e aprire la mente è una rivoluzione che spetta solo a noi spettatori.
Liberi di amare
Terzo livello. Dopo tanti strati, eccoci arrivati nel nucleo rovente di Matrix Resurrections. Eccoci nel cuore pulsante del film. Ovvero una storia d'amore. La vera matrice di tutto è qui: nel rapporto simbiotico tra Neo e Trinity. Matrix ha sempre raccontato il braccio di ferro tra libero arbitrio e vincoli del destino, tra la libertà di diventare sé stessi e l'influenza opprimente della società e delle sue regole. Questa volta Lana Wachowski stringe il nodo attorno all'amore, quello più autentico, puro e impregnato di altruismo. L'amore che lascia liberi prima di sentirsi libero. Amore come fiducia incondizionata. E soprattutto amore che ti fa lottare contro tutti e tutti. Ovvero una delle più belle illusioni che ci siamo sempre raccontati. È questa la grande utopia dentro la distopia di un mondo dominato dall'ego e dall'individualismo: essere empatici, pensare agli altri prima che a noi stessi. Neo e Trinity ci insegnano come si fa. A noi la scelta: credere ancora alle favole oppure ingoiare la pillola rossa.
Conclusioni
Abbiamo strutturato in livelli la nostra recensione di Matrix Resurrections perché questo quarto capitolo ha tante chiavi di lettura. Tanti strati che raccontano film diversi. Una parte troppo fiacca, poco ispirata e senza mordente, una ironica molto metacinematografica e infine una storia d'amore molto potente. Un sequel difficile, anarchico e allo stesso tempo assai affascinante.
Perché ci piace
- Il coraggio di un'impostazione visiva nuova, che tradisce la tradizione per raccontare il mondo di oggi.
- La possibilità di leggere in film con vari chiavi di lettura.
- La riflessione sulla crisi di ispirazione di Hollywood.
- La storia d'amore è potente.
Cosa non va
- Le scene action sono la brutta copia di quelle storiche dalla saga.
- La parte più superficiale del film non funziona e non ingrana mai.