Non sai mai chi siano i tuoi vicini finché non c'è una crisi. Uno impara a nascondere lo sporco sotto il tappeto e va avanti.
Le tre brevi scene che aprono Match Point, subito dopo il prologo metaforico della pallina da tennis sospesa sopra la rete, costituiscono un esempio magistrale di economia narrativa. Nella prima scena Chris Wilton, il personaggio interpretato da Jonathan Rhys Meyers, presenta le referenze per farsi assumere come insegnante di tennis presso quello che il direttore si premura di definire "un club molto esclusivo". Nella seconda, un agente immobiliare mostra a Chris in maniera alquanto sbrigativa un piccolo appartamento; al minimo accenno di perplessità sul prezzo, la secca replica consiste nella frase "È Londra, amico... se non le va, si trasferisca a Leeds". Infine Chris, dopo un pasto solitario, viene ripreso mentre è intento a leggere Delitto e castigo, affiancando la lettura a quella di The Cambridge Companion to Dostoevskij.
Sulle orme di Raskòlnikov
Sono tre momenti introduttivi mediante i quali Woody Allen già ci fornisce le coordinate fondamentali della storia che si accinge a raccontare. Il primo sancisce l'ingresso di Chris nel microcosmo di benessere dell'alta borghesia londinese, ma passando per la "porta di servizio" e portandolo ad ammettere la propria carenza di talento (è la ragione con cui Chris giustifica la scelta di aver abbandonato il tennis agonistico). Il secondo è un ironico controcampo: il bilocale di Chris da quasi mille sterline al mese, con il divano-letto e la padella wok lasciata dal precedente proprietario, segna infatti il punto di partenza del ragazzo, rimarcandone la distanza dal "bel mondo" di poco prima. E poi c'è Fëdor Dostoevskij, uno dei grandi riferimenti della poetica di Woody Allen.
Chris non si limita a leggere Dostoevskij: il Cambridge Companion ci suggerisce che sia intenzionato a capirlo, a studiarlo fin nei dettagli. La prima chiave di lettura, ovviamente, risiede nell'anticipazione fornita dalla comparsa di Delitto e castigo: al termine del film, Chris si sarà calato nei panni di Rodiòn Raskòlnikov e ne avrà ripercorso in parte le orme. Ma c'è anche un altro aspetto relativo a Dostoevskij: a un certo punto, l'uomo d'affari Alec Hewett (Brian Cox) elogerà il ragazzo per aver sostenuto un'interessante conversazione sullo scrittore; prima ancora, l'ingresso di Chris all'interno della famiglia Hewett sarà favorito dalla sua manifestata passione per l'opera lirica. La domanda sorge spontanea: Chris è davvero un patito di musica lirica e di letteratura russa, o le vede piuttosto come chiavi per l'accesso a quel "bel mondo" di cui sopra?
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L'ambiguo antieroe di Woody Allen
Woody Allen non risolve il quesito, ma ci lascia con questo dubbio; un dubbio più che legittimo, del resto, se consideriamo che Chris Wilton è forse, fra tutti i personaggi creati dal regista newyorkese, quello più profondamente ambiguo. Così come Match Point, di riflesso, è in toto un magnifico film sull'ambiguità: l'ambiguità delle scelte, l'ambiguità dei sentimenti e l'ambiguità morale che, in maniera inversa all'ascesa sociale del protagonista, ne decreterà la discesa verso la 'dannazione'. O perlomeno, di dannazione si potrebbe parlare se l'ottica di Chris (e quella di Allen?) non fosse dominata da un rigoroso meccanicismo, scevro da qualunque prospettiva teleologica. Ma Chris sa bene che è vano affannarsi nella ricerca di un senso ultimo per la vita umana: "Sarebbe appropriato se io venissi preso e punito: almeno ci sarebbe qualche piccolo segno di giustizia... qualche piccola quantità di speranza di un possibile significato".
Le domande di Chris, o piuttosto la sua rassegnata amarezza, riflettono la concezione dell'esistenza espressa da un suo 'predecessore': Judah Rosenthal, l'oculista fedifrago impersonato nel 1989 da Martin Landau in uno dei capolavori assoluti di Woody Allen, Crimini e misfatti. Non a caso Crimini e misfatti e Match Point sono legati da analogie narrative e tematiche, incluso l'elemento dell'omicidio, che Allen riprenderà appena due anni più tardi, nel 2007, nel pregevole Sogni e delitti, senza però replicare la fortuna di Match Point. Ma se il Judah di Landau era ossessionato dal senso di colpa e dall'ipotesi di trovarsi sotto lo sguardo di Dio, Chris Wilton ci appare ben più disincantato, deciso a non lasciarsi sopraffare, neppure in ultima istanza, dall'orrore delle proprie azioni.
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La strada dei quartieri alti
È una delle caratteristiche primarie di questo torbido antieroe: il rigido autocontrollo esercitato in ogni situazione, spesso con studiata doppiezza. E l'irlandese Jonathan Rhys Meyers, che intorno ai vent'anni aveva già avuto modo di mostrare il proprio talento (nel 1998 era stato la rockstar maudite ispirata a David Bowie in Velvet Goldmine di Todd Haynes), esprime appieno lo charme discreto e l'umiltà di facciata del suo novello Bel-Ami, il quale nasconde la propria ambizione dietro una patina di timidezza, ma non esita a 'sedurre' prima il ricco rampollo Tom Hewett (Matthew Goode) e subito dopo sua sorella Chloe (Emily Mortimer), diventandone il fidanzato e conquistandosi i favori della sua famiglia: una scalata sociale messa in scena da Allen anche mediante una serie di notazioni sopraffine, in quello che è probabilmente il suo film più 'politico'.
La descrizione degli Hewett è, in tal senso, emblematica: Allen ci dipinge questo gruppo di famiglia alto-borghese con scrupoloso realismo, senza la minima concessione alla caricatura o alla satira, ma affidandosi a poche, infallibili pennellate. Dal fascino spavaldo del Tom di Matthew Goode, che ha l'eterno sorriso di chi non si è mai imbattuto in un'autentica difficoltà, alla dolcezza un po' stucchevole di Chloe, che non esita a spingere la carriera di Chris pur di garantirgli una posizione sociale 'adeguata', passando per le frecciate in punta di forchetta della madre Eleanor (Penelope Wilton), gli Hewett sono immersi in un alveo di privilegi - tenute di campagna, serate all'opera e lunghe vacanze in Grecia - dati totalmente per scontati, tanto da renderli miopi rispetto alla vera natura delle persone accanto a loro.
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Attrazioni fatali e danni collaterali
Ai passatempi da quartieri alti e alla routine vagamente annoiata degli Hewett, Allen contrappone la passionalità dei due personaggi estranei all'upper class: Chris Wilton e la conturbante Nola Rice, ruolo affidato alla ventenne Scarlett Johansson. Due personaggi accomunati dall'esperienza della delusione e del sacrificio, nonché disposti ad abbandonarsi alle proprie pulsioni: la scena d'amore nel campo di grano è fra i momenti più sensuali di tutto il cinema di Allen, e l'attrazione erotica di Chris verso Nola è la sola "variabile impazzita" in grado di mandare all'aria la sua perfetta equazione per il successo. Il problema è che pure Chris, dopo la partenza di Nola, si lascerà assorbire nell'upper class, e da lì in poi la difesa del suo piccolo mondo dorato prenderà il sopravvento su tutto il resto.
Nonostante le affinità con Crimini e misfatti, Match Point resta per certi versi un unicum nella filmografia di Woody Allen: per un regista che ha raccontato più volte l'ambiente della borghesia, mai come in questa occasione viene affrontato in maniera diretta il rapporto fra le classi sociali; e per quanto altri suoi titoli presentino incursioni nel campo del thriller, la componente noir non è mai stata così spiccata e così gravida di suspense. Basti rivedere l'attuazione del piano criminale di Chris, una sequenza stupefacente per ritmo e gestione della suspense; o, poco più tardi, l'apparizione notturna degli spettri della coscienza del ragazzo, incapaci però di incrinare del tutto il suo feroce opportunismo. In fondo, come osserva Chris stesso: "Qualche volta gli innocenti vengono trucidati per un disegno più grande. Lei è stata un danno collaterale". Segno che, alla resa dei conti, perfino con i peggiori rimorsi è possibile imparare a convivere.
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