Sembrava un sabato pomeriggio come tanti, quello di 25 anni fa, prima che la notizia della morte di Massimo Troisi arrivasse improvvisa, lasciando tutti senza parole. Fu un dispiacere di quelli che lasciano increduli, non solo per la giovane età di Massimo, che aveva appena 41 anni, ma perché l'attore era riuscito a conquistare tutti con la sua napoletanità fuori da certi schemi obsoleti, con la sua profonda intelligenza e con la sua sensibilità. E con i suoi film. Pochi film girati nel giro di 13 anni, alcuni dei quali in qualità di regista e interprete. Da Ricomincio a tre a Pensavo fosse amore... invece era un calesse, vogliamo ricordare le frasi dei film di Massimo Troisi: quelle che sono diventate tormentoni, quelle citazioni che ogni tanto affiorano nelle discussioni tra amici, delle vere e proprie gemme di quel grande tesoro che Troisi ci ha lasciato prima di andarsene.
Le tematiche principali affrontate da Massimo Troisi nei suoi film (alcuni dei quali disponibili su Infinity) sono quelle che toccano da vicino un giovane napoletano di trent'anni: la difficoltà nel trovare un lavoro, l'amore e il rapporto, spesso complicato, tra uomini e donne, la religione. Tematiche sulle quali i personaggi interpretati da Troisi sembrano avere mille incertezze e insicurezze, ma le loro battute, pur inserite in un contesto surreale, svelano una lucidità ed una chiarezza di pensiero spiazzante.
Ricomincio da tre - 1981
Ricomincio da tre è il film che segna l'esordio cinematografico di Massimo Troisi, sia nelle vesti di regista che protagonista. Il film ebbe un grande successo all'epoca - fu il campione d'incassi della stagione cinematografica 1980-1981 con un incasso totale di 15 miliardi di lire - e ottenne numerosi riconoscimenti di prestigio, tra cui due David di Donatello e quattro Nastri d'Argento. Troisi interpreta Gaetano, un ragazzo sui trent'anni che decide di partire per Firenze (dove vive sua zia), nel tentativo di dare una svolta ad un'esistenza piatta e senza prospettive. Il suo amico Lello (Lello Arena, spalla perfetta per Troisi nel ruolo dell'amico polemico, un po' invadente e scocciante) tenta di dissuaderlo. Gaetano è determinato a partire e a ricominciare... da tre!
Gaetano: "Cioè, chello che è stato è stato, basta! Ricomincio da tre!"
Lello: "Da zero! Da zero! Ricominci da zero!"
Gaetano: "Nossignore, ricomincio da... cioè, tre cose me so' riuscite dint' 'a vita, pecché aggia perdere pure chelle? Che aggia ricomincia' da zero?! Da tre!..."
Al culmine della discussione Lello se ne esce con una frase che sorprende persino Gaetano, che non si aspettava tale profondità di pensiero. Quando tenterà di "rivendersi" la stessa frase con la ragazza che incontrerà a Firenze, scoprirà (facendo una figuraccia) che non è farina del sacco di Lello ma del filosofo e scrittore francese Michel de Montaigne...
Gaeta', chi parte sa da che cosa fugge, ma non sa che cosa cerca!
Ma torniamo al viaggio di Gaetano. Nella prima parte Ricomincio da tre è quasi una commedia on the road durante la quale il nostro viaggiatore (non chiamatelo emigrante!) incontrerà un depresso con tendenze suicide che gli darà un passaggio fino a Firenze. I due faranno tappa in una clinica psichiatrica dove Gaetano si imbatte in un matto che lo coinvolge in un soliloquio delirante su Gianni Agnelli, Alain Delon e la fortuna di nascere ricchi e belli... e poi finalmente incontra Marta (che lavora nella stessa clinica) con cui inizierà una relazione inizialmente un po' complicata. A Firenze inoltre, Gaetano fa la conoscenza di Frank, un giovane predicatore americano. Un ragazzo gentile e garbato, ma Gaetano sa come sono gli americani.
Chist' è americano, è abituato malamente, se piglia tutt' cose.
Grazie a Frank, che gira per case, Gaetano fa il suo sensazionale incontro con Robertino in quella che è forse la scena più esilarante del film. Robertino (interpretato da un'ineguagliabile Renato Scarpa) è un "ragazzo" un po' attempato che vive con la signora Ida, l'anziana e dominante "mammina" che gli fa un lavaggio del cervello costante e vigoroso. "La rovina dei giovani è iniziata con i capelloni e con la minigonna" - ricorda mammina a Robertino, che ripete nervosamente, ansioso di ottenere la sua approvazione. Quando Gaetano fa presente che "anche il grammofono" potrebbe aver contribuito a questo tracollo generazionale, "mammina" rifiuta con fermezza questa possibilità. Quando la signora Ida si assenta la situazione precipita e Gaetano incautamente tenta di "salvare" Robertino invitandolo ad uscire: "va 'a rubbà, tuocc 'e femmene".
Robertino: "Ma mammina dice che io ho i complessi nella testa."
Gaetano: "E foss' 'o Ddio! Quali complessi! Tu tieni l'orchestra intera 'ncapa, Robbe'!"
Quando la relazione tra Gaetano e Gianna arriva ad un punto di svolta (lei scopre di aspettare un bambino da lui) i due si chiedono quale nome dare al figlio in arrivo. Gianna propone "Massimiliano", senza esserne troppo convinta: non ha ancora avuto modo di pensarci. Gaetano invece ha le idee chiare sui nomi da dare ai bambini. Se lo chiami Massimiliano viene su maleducato. Meglio Ugo. Con un nome lungo non si ha la possibilità di riprendere tempestivamente il bambino qualora decida di allontanarsi dai genitori. Una teoria lunga e articolata, ma interessante.
"Massimiliano viene scostumato. Cioè siente... Eh, lo so, è proprio 'o nomme che è scostumato, perché Massimiliano, io sento sempre per esempio: Massimiliano sta vicino 'a mamma e se move pe gghi' a quacche parte. 'a mamma prima che 'o chiamma "Ma-ssi-mi-lia-no!" 'o guaglione già chissa addò sta, che sta facenno. Non ubbidiscono perché è troppo lungo. Invece Ugo, tu lo chiami Ugo... chill come sta vicino 'a mamma che se sta pe' move, "Ugo!" 'o guaglione non ha nemmeno 'o tiempo, capito? Po' fa 'nu passo, però "Ugo!", adda' turna' pe' forza perché 'o sient' 'o nome. Al massimo proprio, ecco volendo 'o 'putimmo chiamma' Ciro: è cchiù lungo, eh, ma proprio pe' nunn' 'o fa' veni' troppo represso. Ciro tene 'o tiempo 'e piglia' 'nu poco d'aria."
Scusate il ritardo - 1983
Il massimo della solitudine è uno che ten a macchinetta r'o cafè per una persona.
In Scusate il ritardo (anche questo disponibile in streaming su Infinity) Massimo Troisi interpreta Vincenzo, un personaggio per alcuni aspetti simile a quello di Gaetano, caratterizzato però da una cronica insofferenza nei confronti di qualsiasi responsabilità anche a livello relazionale. Il personaggio di Lello Arena (che qui si chiama Tonino) prende molto più spazio ed esaspera le caratteristiche del suo ruolo in Ricomincio de Tre, per rendere più evidente il suo contrasto con quello di Troisi. Vincenzo è disoccupato, mentre sua sorella Patrizia e suo fratello Alfredo sono già "sistemati" - anzi, il fratello è un attore di successo che ottiene più considerazione in famiglia. Vincenzo incontra Anna (Giuliana De Sio) ex-compagna di classe di sua sorella, e inizia con lei una relazione complicata: lei vorrebbe più attenzioni e complicità, lui dà tutto per scontato. Lello invece, soffre per amore: la sua ragazza l'ha lasciato, lui non riesce a darsi pace, sfiora pensieri suicidi e tormenta il povero Vincenzo con i suoi sfoghi rabbiosi e le sue elucubrazioni sulla fine della sua storia d'amore. Si ride dall'inizio alla fine, con qualche concessione ad alcuni momenti di malinconia. Tra le frasi dei film di Massimo Troisi, alcune di quelle di Scusate il ritardo sono le più geniali.
Mamma: Vince', la vita si deve prendere così come viene.
Vincenzo: E che so' scemo io? La prendo come va? Io la prendo come viene... ma a me viene sempre 'na chiavica, guarda che combinazione!
Tonino: Vincè, io mi uccido: meglio un giorno da leone che cento giorni da pecora! O no Vincè? Meglio un giorno da leone!
Vincenzo: Tonì, che ne saccio io d' 'a pecora o d' 'o lione? Fa' cinquanta juorne da orsacchiotto!
Mi diceva: Tonino, Tonino... come sei strano visto da vicino... Ma strano che vuol dire, che sono brutto?!
Tonino: Tre anni Vince'...mi ha lasciato dopo tre anni e non so nemmeno il perché... e si mette con uno svedese...
Vincenzo: Toni' tu nun può sta' accussì... perché nun ce ne jamm a casa, levammece a stott a chest'acqua...
Tonino: Vince', lei me lo diceva sempre: mi sento sola, mi sento troppo sola, non c'ho un cane con cui parlare...
Vincenzo: Toni' mo nun te piglia' 'e colpe... se si sentiva sola se pigliava a nu cane, no nu svedese. Ci stanno tanti cani, Toni'!
Patrizia: Valeria, basta! Guarda che se non la smetti, ti faccio mangiare da zio Vincenzo!
Vincenzo: Pecché devi dì sti ccose a 'a guagliona?
Patrizia: No, niente Vince', è che sta diventando troppo terribile, 'e uno s'adda mettere paura...
Vincenzo: E uno s'adda mettere paura proprio 'e me? Sta tanta gente cca e me l'aggia mangià proprio io 'a guagliona? Eh no, pecché poi si ricorda 'e sta cosa, dice: "zio Vincenzo lo odio, perché da piccola mi dava i morsi, mi mangiava..." Ma pecché? Ce sta tanta gente, falla mangià da Alfredo.
Massimo Troisi: venti motivi per cui ci manchi
La scena in cui Vincenzo propone ad Alfredo di regalare un televisore alla mamma, con una discutibile divisione delle spese, è una delle più esilaranti e fu ispirata da un episodio realmente accaduto all'amico di Massimo, Alfredo Cozzolino. Per essere più precisi, Cozzolino ha ribadito che numerose scene familiari sono "rubate" dalla quotidianità della sua famiglia.
"Senti Alfredo, cioè, nuje avimme pensato, tutte quante nuje, i figli, tutte quante accussì, avimme pensato, poiché venerdì è o' compleanno e' mammà, no? Non lo so, ce vulevemo fa' nu regalo, tutte quante insieme, no? E niente, avimm pensato e' ce fa a televisione, sta sempre annanz' a televisione, però tiene chille colori ca... a televisione fa nu poco... e niente, avimme pensato e ce fa tutte quante nuje insieme metteveme 5.000 lire io, 5.000 lire Patrizia e nu milione e due tu..."
Quando si presenta ad Anna - che ricordiamo, era una ex-compagna di classe di sua sorella Patrizia - Vincenzo cerca di darsi un tono dicendole che era il terzo della classe. Non il primo, il terzo. In un certo senso riprende un po' la "filosofia" alla base di Ricomincio da tre, ma inversa. Essere il terzo della classe non sarà mai come essere il primo, ma resta comunque un obiettivo raggiunto.
"Cioè, io, in classe mia, quando andavo a scuola, in classe mia ero il terzo.. come ordine... Cioè quando dice è il primo della classe, io ero il terzo... Cioè mica è... male. E' buono... Cioè eravamo trenta, stavamo trentuno, non mi ricordo... Essere il terzo che... Mi ricordo che ci stava, ci stava Cimmino, Balocco poi venivo io."
Da tener presente che se Cimmino impegnava nello studio, Balocco era quello raccomandato, il nipote del segretario a cui alle interrogazioni chiedevano "argomenti a piacere". Quindi se non fosse stato per Balocco, chissà, Vincenzo avrebbe potuto vantarsi di essere addirittura il secondo della classe.
Anna: Mi piace fare l'amore con te.
Vincenzo: Anche a me.
Anna: E allora perché non me lo dici mai?
Vincenzo: Che significa? Se lo faccio, ca lo facciamo accussì, vuol dire che mi piace, no?
Anna: Eh no.
Vincenzo: Come no? No. È mai visto ca mi sò dato 'na martellata sulla mano o mi sò tagliato un orecchio? No. Sai perche? Perché non mi piace. È normale, Senza che uno ha dà dicere tutt'e cose. Certe cose vanno da se. Se uno capisce capisce.
In Scusate il ritardo Massimo Troisi riprende il tema dei miracoli, già affrontato nel suo primo film, con un certo scetticismo. Il parroco del quartiere invita Vincenzo e sua madre ad andare a vedere "la Madonna che piange", un fenomeno che sta facendo discutere i fedeli e la scienza, e sul quale il vescovo non si è ancora pronunciato. Per un professore di Napoli "le lacrime potrebbero essere la trasudazione del legno stesso avvenuta per un improvviso cambiamento di temperatura". Vincenzo però rifiuta l'invito perché si sente "abbattuto e triste" e non ce la fa a "vedere altra gente che piange". Poi conclude: "Sinceramente, se la Madonna rideva, ci venivo"
"Sempre miracolo è. Cioè 'na statua o ride o piange è nu miracolo. Però non lo so, pare che... Non lo so, secondo me era meglio pure per voi, perché accussì 'o professore 'e Napoli s'aveva sta' zitto, perché il legno può trasudare mica può ridere. Si è mai visto un albero o una sedia che per improvviso cambiamento di temperatura "Ahahah" "Hai visto? È cambiato il tempo" No, perché è impossibile."
Non ci resta che piangere - 1984
"Ma veramente siamo nel 1400?"
"Eh, quasi 1500!"
Massimo Troisi e Roberto Benigni star indiscusse (e registi) di questo capolavoro della commedia italiana che è Non ci resta che piangere. I due interpretano Mario e Saverio, un bidello e un insegnante di scuola elementare che per una bizzarra serie di circostanze, dopo essere rimasti con l'auto in panne nella campagna toscana, si ritrovano "nel Mille e quattrocento, quasi Mille e cinque", tra cavalieri, dame, uccisioni ed esecuzioni in pubblica piazza, gente uccisa mentre fa pipì dalla finestra.
Mario fatica ad adattarsi a questa situazione, mentre Saverio si dimostra più aperto. Durante il loro viaggio nel tempo, incontreranno i personaggi più disparati, dal gentile e ruvido Vitellozzo, che accetta di ospitarli... fino a Leonardo Da Vinci.
Proprio con Leonardo Da Vinci, inizialmente tentano un approccio casuale per destare il suo interesse.
Saverio: Dobbiamo far capire di essere due scienziati, dobbiamo dire cose intelligenti... Capito? Andiamo...
Mario: Ma nove per nove farà ottantuno?
...poi tentano di condividere con lui le invenzioni moderne, senza successo.
"Na cosa semplice, facilissima: ter-mo-me-tro. 'Nu coso di vetro, mercurio, tutti numerini di ferro, pe' vedere se ci hai la febbre. Lo metti qua sotto o in bocca. Allora se il mercurio arriva a trentacinque, debole. Trentasei, normale, so' tutte lineette, trentasette media, rosso, un po' di febbre. Trentotto devi restare a casa, non esci. Trentanove, quaranta, quarantuno, quarantadue, rossissimo, grave, ospedale."
Ancora più incerto è il confronto tra i nostri due eroi e Girolamo Savonarola, stavolta per lettera. La lettera a Savonarola è una sublime citazione di celebre scena di Totò, Peppino e la Malafemmina.
"Frittole, estate quasi 1500. Santissimo Savonarola, quanto ci piaci a noi due! Scusa le volgarità eventuali. Santissimo, potresti lasciar vivere Vitellozzo, se puoi? Eh? Savonarola, e che è? Oh! Diamoci una calmata, eh! Oh! E che è? Qua pare che ogni cosa, ogni cosa uno non si può muovere che, questo e quello, pure per te! Oh! Noi siamo due personcine perbene, che non farebbero male nemmeno a una mosca, figuriamoci a un santone come te. Anzi, varrai più di una mosca, no? Noi ti salutiamo con la nostra faccia sotto i tuoi piedi, senza chiederti nemmeno di stare fermo, puoi muoverti quanto ti pare e piace e noi zitti sotto. Scusa per il paragone tra la mosca e il frate, non volevamo minimamente offendere. I tuoi peccatori di prima, con la faccia dove sappiamo, sempre zitti, sotto."
Totò, le 10 scene più divertenti dei suoi film, tra risate e curiosità
Tra gli altri incontri memorabili del duo, quelli con un predicatore, uno zelante doganiere e con Pia, la ragazza con cui Mario inizia una storia d'amore.
Predicatore: Ricordati che devi morire!
Mario: Come?
Predicatore: Ricordati... che devi morire!
Mario: Va bene...
Predicatore: Ricordati che devi morire!
Mario: Sì, sì... mo' me lo segno...
Chi siete? Cosa portate? Sì, ma quanti siete? Un fiorino!
Vitellozzo: Mi raccomando, in chiesa le donne guardarle fisse! Con lo sguardo, falle capire che hai capito.
Mario (incrociando lo sguardo di Pia): Sì, sì, ho capito.
Le vie del signore sono finite - 1987
Le vie del Signore sono finite è ambientato durante il ventennio fascista, e stavolta non c'è nessun viaggio nel tempo a muovere gli ingranaggi della storia al centro del film, ma il triangolo sentimentale tra Camillo, Orlando e Vittoria. Camillo è un barbiere che ha perso l'uso delle gambe, ma non ha nessuna lesione che possa giustificare le sue condizioni, ma ha un problema di natura psicosomatica dovuto al dispiacere per la fine della sua storia con Vittoria, mentre Orlando - che Camillo conosce su un treno di ritorno da Lourdes - è realmente paralitico. L'amicizia tra i due e il rapporto con Vittoria - sullo sfondo del regime fascista - arriverà a dinamiche complesse e inaspettate.
Tra le frasi dei film di Massimo Troisi, quelle pronunciate ne Le vie del Signore sono finite saranno ricordate per la satira pungente contro Mussolini e il fascismo.
Uno sta a inventare una medicina contro la caduta dei capelli e contro il dolore in un paese dove uno senza capelli dice che la via della salvezza è il dolore.
Per far arrivare i treni in orario, se vogliamo, mica c'era bisogno di nominarlo capo del governo, bastava farlo capostazione.
Io non leggo mai. Non leggo libri, cose... pecché... che comincio a leggere mo che so' grande, che i libri sono milioni e milioni? Non li raggiungo mai, hai capito? Pecché io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere.
Le vie del Signore sono finite è disponibile su Infinity e vede nel cast, oltre a Troisi anche Jo Champa, Marco Messeri, Massimo Bonetti ed Enzo Cannavale.
Pensavo fosse amore... invece era un calesse - 1991
L'amore, la gelosia e il matrimonio al centro di Pensavo fosse amore... invece era un calesse, quinto (e ultimo) film da regista di Massimo Troisi che lo vede anche protagonista accanto alla bellissima (e allora lanciatissima) Francesca Neri. Tommaso e Cecilia sono due fidanzati il cui rapporto rischia di essere compromesso dalla gelosia cieca di lei. Alla vigilia delle nozze, Cecilia lascia Tommaso in malo modo e sparisce, mentre lui fatica a farsi una ragione di questo abbandono, considerato che lei ha iniziato una nuova storia d'amore con un certo Enea, un uomo più grande e benestante. A complicare la situazione, ci si mettono gli amici di Tommaso, la sorella dell'amico Amedeo, una ragazzina adolescente innamorata di lui che arriva ad avvelenarlo per gelosia.
Io credo che in particolare un uomo e una donna siano le persone meno adatte a sposarsi tra di loro, troppo diversi.
Amedeo: Tommaso, non ci si uccide per amore. Basta saper aspettare.
Tommaso: E allora io non mi uccido per amore, mi uccido per impazienza.
L'amore non è "...e vissero per sempre felici e contenti". L'amore è "... e vissero per sempre.
Ma perché siete tutti così sinceri con me, che cosa vi ho fatto di male, io?... Chi vi ha chiesto niente? Queste non sono cose che si dicono in faccia. Queste sono cose che vanno dette alle spalle dell'interessato. Sono sempre state dette alle spalle.
Non bisogna amare per amore, ma per schifo. Perché l'amore finisce, ed è una delusione. Anche lo schifo finisce, però è una soddisfazione.
Tommaso: Fammi salire un attimo, ci spieghiamo...
Cecilia: No... è che stavo dormendo... non voglio che mi vedi così, sono brutta.
Tommaso: Sei brutta... tanto mi devi lasciare, mica ti devi fidanzare... meglio no? Se sei brutta.
Lasciatemi soffrire tranquillo. Chi vi chiede niente a voi? Vi ho chiesto qualcosa? No. Voglio solo soffrire bene. Mi distraete. Non mi riesco a concentrare. Con voi qua non riesco... Soffro male, soffro poco, non mi diverto. Non c'è quella bella sofferenza...
Il Postino - 1994
Ultimo film interpretato da Massimo Troisi, co-diretto con Michael Radford e tratto da un romanzo di Antonio Skarmeta, Il Postino è il film che Troisi volle girare a tutti i costi, nonostante le sue precarie condizioni di salute. Nel periodo in cui Troisi lavorava alla stesura della sceneggiatura, fu costretto ad un intervento chirurgico d'emergenza per sistemare le valvole cardiache che gli erano state applicate anni prima e che si erano logorate e dopo l'operazione i medici gli dissero che si sarebbe dovuto comunque sottoporre ad un trapianto cardiaco. Gli amici, tra cui Renato Scarpa, gli consigliarono di girare il film dopo il trapianto, ma Massimo non volle sentire ragioni: "Col cuore di un altro? Ma quando mai, questo film lo voglio fare col mio cuore." Tutti ricordano quanto fu faticosa la lavorazione del film per Troisi, tanto che l'attore ebbe bisogno di affidarsi ad una controfigura per alcune scene e del resto nel film il suo aspetto tradisce sofferenza: magro, col volto scavato e spigoloso, Massimo dà vita ad un personaggio diverso da quelli interpretati in precedenza. Poche ore dopo la fine delle riprese, Massimo Troisi si spegnerà nel sonno, a casa di sua sorella a Roma. Era il 4 giugno 1994.
Il Postino ottenne cinque nomination agli Oscar, una delle quali, postuma, andò proprio a Massimo Troisi, ma vinse solo una statuetta, quella per la miglior colonna sonora, firmata da Luis Bacalov.
Nel film - che possiamo rivedere su Infinity - Massimo Troisi interpreta Mario Ruoppolo, un disoccupato che vive in un'isola del sud Italia, nei primi anni '50, e riceve un incarico speciale: quello di consegnare la posta al poeta cileno Pablo Neruda (Philippe Noiret), che è rifugiato politico. Primo e unico postino dell'Isola, Mario stringerà amicizia con Neruda, con il quale imparerà a parlare di poesia e di metafore. Sarà proprio la poesia a veicolare le emozioni di Mario, quando farà la conoscenza di Beatrice (Maria Grazia Cucinotta), la bella nipote della titolare di un bar, di cui si innamorerà perdutamente.
Mario: Don Pablo, vi devo parlare, è importante... mi sono innamorato!
Pablo Neruda: Ah meno male, non è grave c'è rimedio.
Mario: No no! Che rimedio, io voglio stare malato...
Il tuo sorriso si espande come una farfalla.
La poesia non è di chi la scrive, ma di chi... gli serve.
Molto meglio dire male qualcosa di cui si è convinti, che dire bene quello che vogliono farci dire gli altri!
Anche l'idea più sublime, se la senti troppe volte, diventa una stupidaggine.
È colpa tua se mi sono innamorato... perché mi hai insegnato ad usare la lingua non solo per attaccare francobolli!
Quando la spieghi, la poesia diventa banale. Meglio delle spiegazioni, è l'esperienza diretta delle emozioni che può spiegare la poesia ad un animo disposto a comprenderla.
Mario: La guardavo e non mi usciva neanche una parola.
Pablo Neruda: Ma come? Non le hai parlato?
Mario: Quasi niente... cioè, la guardavo e m'innamoravo.
Mario: Pure a me mi piacerebbe fare il poeta.
Pablo Neruda: No, è più originale continuare a fare il postino. Almeno cammini molto e non ingrassi mai. Noi poeti siamo tutti obesi.