Marx vs Dio. Nessuna speranza per l'uomo.
La prima gradita sorpresa tra i numerosi film presentati nelle sezioni parallele di Venezia 64. arriva da un piccolo film russo che porta sullo schermo una serie di drammatiche storie che si intrecciano durante la fine del totalitarismo in Unione Sovietica, nell'anno 1984. La geniale intuizione di Cargo 200, titolo che rimanda alla sigla degli aerei militari che riportavano alla madre Russia i cadaveri dei corpi dei suoi figli persi al fronte, è nel registro utilizzato per raccontare vicende strazianti di uomini vittime di un sistema spietato: un umorismo nero che stempera una disturbante sequela di eventi, fatta di ingiustizie, omicidi senza senso, gesti folli con l'unico intento di devastare l'equilibrio mentale dell'altro, di annientarlo nel fisico e nell'animo. Un meccanismo perfetto è alla base di questo sorprendente gioiello di Aleksei Balabanov, passato nelle Giornate degli autori, un rincorrersi continuo di personaggi, pennellati ognuno da un'azione clamorosa o una battuta fulminante, il cui destino è legato indissolubilmente l'uno a quello degli altri ed una serie di sottotesti che lo rende importante testimonianza di un periodo infame destinato di lì a poco a finire, ma a macchiare per sempre la coscienza dell'Unione Sovietica.
Gli abusi del potere, la sciagurata condizione femminile, l'eterno ciarlare filosofico del conflitto tra Marx e Dio, la povertà, la noia e la disperazione affogate nella vodka, gli imperdonabili abbagli del comunismo, la tragedia di un corpo violato, umiliato, devastato senza motivo: c'è tutto questo in Cargo 200 e la sorprendente trovata del film è che può essere raccontato al cinema con tutto l'orrore che ne consegue, ma regalando allo spettatore anche sorrisi, quantunque amarissimi, che rendono la sua visione un autentico piacere. Numerosi gli assurdi (ma profondamente dis-umani) personaggi che animano questo nuovo lavoro di Balabanov, che del film è anche sceneggiatore, e raccontarne le gesta, che lasciano tutte sulla terra una lunga scia di sangue e gratuita violenza, sarebbe un peccato, anche se probabilmente allo spettatore italiano non verrà mai data l'opportunità di godere di una simile perla. Ed a questo riguardo torna in mente una delle migliori battute del fenomenale Sleuth di Kenneth Branagh, passato oggi in concorso ad una già scoppiettante Mostra del cinema di Venezia: "Gli italiani, si sa, sono un popolo senza cultura". Forse perché a quella agognata cultura nessuno ha voglia di educarli. Chi ha invece l'occasione di assistere ad opere del genere e sa ingoiarne, senza lasciarsi travolgere, l'amarezza degli eventi in esse narrati non può che crescere un po' di più. Il cinema al suo meglio: sublime.