La recensione di Marx può aspettare rientra nella celebrazione che il Festival di Cannes ha organizzato in onore di Marco Bellocchio, assegnandogli una delle due Palme alla carriera dell'edizione 2021 (dopo che lui ha già ricevuto premi analoghi e Venezia e Locarno). "Non ha mai vinto la Palma d'Oro, è un errore, e abbiamo deciso di rettificare quest'anno", ha detto Thierry Frémaux introducendo la proiezione ufficiale del film all'interno della neonata sezione Cannes Premiere, che accoglie cineasti affermati in un contesto non competitivo ma senza la cornice gigantesca del Grand Théâtre Lumière, sala principale della kermesse francese. Se a questo aggiungiamo una storica riluttanza di Cannes per quanto riguarda ammettere i documentari in concorso (con rarissime eccezioni come le due partecipazioni di Michael Moore nel 2002 e nel 2004), è il contesto ideale in cui rendere omaggio a un grande cineasta che è particolarmente legato alla Croisette, avendo portato nelle sale cannensi gran parte dei suoi film (dal 1980 a oggi è stato sette volte in concorso, più altre partecipazioni in Un Certain Regard o alla Quinzaine des Réalisateurs).
Riunione di famiglia
Marx può aspettare si apre con una rimpatriata di tutta la famiglia Bellocchio, organizzata nel 2016 dal regista, come spiega lui stesso tramite la voce narrante, con la motivazione ufficiale di voler rivedere tutti sotto lo stesso tetto mentre era ancora possibile (il cineasta all'epoca aveva 77 anni, ed è il più giovane dei fratelli ancora in vita). Ma è in realtà una scusa per interrogarsi su una tragedia che tormenta l'intera famiglia da decenni: il suicidio, nel 1968, di Camillo, fratello gemello di Marco, e l'effetto che ebbe tra le mura domestiche, data l'inscalfibile fede cattolica della madre che, come ricordato dalle sorelle del regista, fece battezzare Camillo tre volte nel giro di pochi giorni - poiché c'era il rischio che morisse - al fine di evitare che finisse nel Limbo di dantesca memoria. Bellocchio si serve della storia famigliare per ripercorrere anche pezzi di Storia italiana (lui e Camillo erano alle elementari quando ci fu il referendum per la nascita della repubblica italiana, e in famiglia erano tutti monarchici), e tira in ballo squarci della propria filmografia, da sempre ossessionata con le nozioni legate al rapporto difficile con i parenti, che sia in chiave esplicitamente autobiografica o meno (vedi due film in apparenza non associati al vissuto del cineasta come Vincere e Fai bei sogni).
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La vita e il cinema
Marco Bellocchio non ha espresso alcun parere su un possibile ritiro dal cinema (rimane attivo come regista e docente), ma c'è una certa componente testamentaria in questa sede, una summa del suo pensiero, l'ultima parola su temi quali la famiglia e il cattolicesimo (Bellocchio, apertamente non credente, è sorpreso e divertito quando un prete gli dice che la sua filmografia, con l'apice costituito da L'ora di religione - Il sorriso di mia madre, lo renderebbe un apologeta della fede). C'è tutto l'acume che ci si aspetta dal cineasta di Bobbio, e non manca nemmeno l'ironia, come quando per contestualizzare gli anni dell'infanzia alterna a filmati di repertorio della dichiarazione di guerra di Mussolini una fotografia di lui e Camillo, basiti. È una riflessione sul nesso inscindibile tra la vita di Bellocchio e il suo cinema, dove lui ha sempre rigettato l'Inferno nell'accezione cristiana ma lo ha messo in scena in altri modi, mettendo a nudo le ipocrisie e le contraddizioni di una società italiana talvolta gravemente malata.
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È un'opera di non-fiction che svela i meccanismi narrativi con cui il regista ha sempre esorcizzato i propri dubbi e timori, dal folgorante esordio con I pugni in tasca al recente Il traditore, dove si riflette su una concezione un po' diversa della famiglia. Un percorso lungo quasi sei decenni, che non dà segni di volersi interrompere, perché la lucidità e la grinta di Bellocchio sono ancora lì, esattamente com'erano negli anni Sessanta. E il riconoscimento tributatogli a Cannes, che alcuni potrebbero scambiare per l'ultimo premio prima dell'addio al cinema, è in realtà un invito ad andare avanti, imperterrito. Marx potrà anche aspettare, ma il percorso artistico di Bellocchio è inarrestabile.
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Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Marx può aspettare, ribadendo come si tratti di un documentario con cui Marco Bellocchio riflette sulla propria famiglia e su come questa abbia influenzato il suo cinema. Lucido, illuminante, ma anche ricco di passione e ironia.
Perché ci piace
- L'uso di materiali d'archivio è ammirevole.
- La duplice riflessione su famiglia e cinema è appassionante.
- Marco Bellocchio e parenti sono un cast d'eccezione.
Cosa non va
- Chi non si interessa al cinema di Bellocchio difficilmente avrà voglia di vedere questo film.