La Berlinale spara gli ultimi fuochi d'artificio della 64° edizione. Il regalo, graditissimo, è la presenza del regista Martin Scorsese. Il grande Martin approda a Berlino insieme al collaboratore David Tedeschi per presentare un'opera inedita, al momento vero e proprio work in progress: un documentario ancora privo di titolo dedicato alla celebre New York Review of Books, rivista liberal fondata nel 1963. In Italia di questo magazine bisettimanale di letteratura, cultura e attualità non si parla molto, ma per il pubblico intellettuale americano è un punto di riferimento, osservatorio privilegiato del pensiero politico e luogo di riflessione e analisi di eventi storici come la guerra in Vietnam, la caduta dei regimi autoritari nell'Europa dell'Est, l'11 settembre 2001, Occupy Wall Street, la rivoluzione di Piazza Tahrir e molti altri eventi storici. Il tutto filtrato attraverso le recensioni di opere letterarie meritevoli di attenzione. Dopo aver diretto documentari sui mitici Rolling Stones, su Bob Dylan, George Harrison e sulla storia del cinema, Scorsese si accosta a un argomento per lui inedito. La storia della New York Review of Books gli permette, però, di toccare in modo trasversale temi storicopolitici infondendo il suo sguardo personale negli eventi che hanno segnato gli ultimi cinquant'anni. Il pubblico presente alla Haus der Berliner Festspiele ha avuto l'opportunità di vedere i primi tre frammenti del film. Purtroppo, dei 75 minuti mostrati, non possiamo parlare visto che il documentario, al momento, non è ancora completo. Come ci spiega Scorsese, montaggio, soundmixing e postproduzione video non sono ancora ultimate. Inoltre, al momento, manca la voce fuoricampo ufficiale, sostituita momentaneamente da quella dello stesso Martin. Tutto ciò che possiamo dirvi, per adesso, è che si prospetta un lavoro davvero interessante e, per certi versi, fondativo.
The Wolf of Wall Street ha avuto la sua premiere tedesca a gennaio. Ora sei di nuovo a Berlino con un documentario da ultimare. Hai visitato spesso il genere documentaristico parlando soprattutto delle tue passioni, i musicisti e la storia del cinema. Quando hai sviluppato l'idea di fare un film su una rivista?Martin Scorsese: Non è stata una mia idea. Il lavoro mi è stato proposto dal fondatore della New York Review of Books, Robert B. Silvers, che ho incontrato dopo aver ultimato No Direction Home: Bob Dylan. Abbiamo cominciato a discutere della possibilità di fare un film sul famoso magazine e ho spiegato a Bob che per fare queste cose mi serve tempo perché di solito faccio altri film. Ma con l'aiuto di David Tedeschi sono riuscito a iniziare a montare il film mentre lavoravo a The Wolf of Wall Street.
La New York Review of Books è una rivista di importanza fondamentale per lo sviluppo del pensiero americano. Come vi siete approcciati all'indagine su questo oggetto?
David Tedeschi: Quando si parla di un magazine come New York Review of Books si usa il termine 'intellettuale'. Per noi non è sinonimo di pretenzioso. Intellettuale significa chiedersi il significato delle cose, indagare sulla realtà, e questa è l'idea da cui siamo partiti.
Parlare di un prodotto letterario al cinema non deve essere semplice. Quali problemi avete dovuto affrontare?
Martin Scorsese: In effetti è uno strano soggetto per un documentario. Usare i testi come immagini. Rendere visivamente l'energia della letteratura. Questa per me è stata una grande sfida per me, ma ero davvero affascinato da questa pubblicazione. Credo che questo lavoro mi abbia aiutato ad aprire la mente, come fa questa rivista. Spero di finire il film entro un mese.
Dovete ancora ultimare il montaggio?
Martin Scorsese: Io credo che il montaggio sia finito. Ciò che avete visto oggi ha già un senso, ma dobbiamo rifinire il lavoro. In un film come questo ci sono tante di quelle cose di cui occuparsi.
David Tedeschi: Abbiamo iniziato le ricerche quando abbiamo cominciato a lavorare al documentario per reperire il found footage che ci permettesse di raccontare questa storia. Poi lo abbiamo montato insieme alle interviste ai collaboratori del magazine. Martin usa il materiale in modo tale da offrire uno sguardo nuovo su argomenti chiave come il Vietnam, l'11 settembre o la caduta del Comunismo.
Quante interviste avete fatto per il film?
David Tedeschi: Non so dire quante interviste abbiamo fatto. Credo si tratti di 20 - 22 persone. Però abbiamo deciso di realizzarle in modo particolare. Abbiamo invitato tutte le persone alla New York Public Library e le abbiamo intervistatet nella stessa location creando una continuità nell'immagine.
Pensate che il valore della New York Review of Books sia stato la capacità di influenzare i cambiamenti della nostra epoca?
David Tedeschi: Il grande errore è illudersi che una rivista possa cambiare le cose. Può influenzare singole persone, ma non può cambiare la società. Per questo gli editori sono concentrati sulla qualità della scrittura e non sull'effetto che essa può avere. Un esempio per tutti. Nel nostro film si parla di Occupy Wall Street, e Martin ha fatto un ottimo lavoro di scrittura perché ne mostra tutti gli aspetti senza fornire alcun giudizio. Questo a che fare con la sua abilità giornalista e narrativa.
Il vostro è un film su 50 anni d'America. E' un compito complicato perché non parlate solo del magazine, ma anche dei temi da esso toccati in questi anni.
Martin Scorsese: Abbiamo subito intuito l'impegno che un soggetto come questo comporta. Abbiamo una certa esperienza in fatto di documentari perciò avevamo chiaro il lavoro. La vera difficoltà è stata scegliere gli argomenti da includere o non includere nel documentario. Abbiamo cercato di affrontare temi fondamentali con uno sguardo nuovo, adatto a una nuova generazione. In quest'epoca di informazione globale c'è un'enorme offerta. Come selezionare? Come capire cosa vale e cosa va escluso? Noi abbiamo provato a seguire una direzione.
David Tedeschi: Ciò che stiamo provando a fare è provare a raccontare le cose in modo eccitante, in modo da movimentare la narrazione. La struttura del film ormai è quasi a punto, ma per ora stiamo continuando a sperimentare. Vogliamo arrivare a una struttura più sofisticata.
Martin Scorsese: Trovare la storia là dove non c'è per immergervi lo spettatore e poi ricominciare dall'inizio non è semplice. Vogliamo che la storia e la letteratura facciano pensare il pubblico, lo spingano a riflettere, piuttosto che raccontare una storia dall'inizio alla fine.
Martin, c'è un articolo o un evento politico in cui hai sentito la necessità di conoscere la posizione dei giornalisti della New York Review of Book?
Martin Scorsese: Penso al Vietnam. Io provengo dall'East Side. Quando mi sono trovato nel West Side ho scoperto un mondo nuovo, più aperto. L'East Side in un certo senso sembra il medioevo, è profondamente conservatore. Così negli anni '60 ho cominciato a leggere James Baldwin cercando di trovare un mio personale punto di vista. Da qui è cominciato tutto.