Ci siamo immersi nelle atmosfere cupe di Martha is Dead in un periodo che ha la guerra, quella vera, a fare da sfondo, laddove il gioco firmato da LKA e il suo fondatore Luca Dalcò ci porta nella Toscana del 1944 che aveva un'altra guerra, altrettanto vera ma percepita come lontana e irripetibile, come contesto narrativo. Siamo in una località di campagna in cui il conflitto si presenta tardi ma repentino, chiudendo i suoi abitanti in una morsa tra Italiani e Tedeschi. Una sensazione che si rispecchia in piccolo nella protagonista Giulia, divisa tra un padre tedesco e una madre italiana, oppressa dal medesimo conflitto e afflitta dalla morte della sorella gemella Martha e il mistero relativo alla sua uccisione.
Eppure non è la coincidenza della guerra reale che si rispecchia in quella evocata dal gioco ad averci conquistati, quanto la capacità di Martha is Dead di catturare nel suo mistero e nel labirinto mentale della protagonista, per un thriller psicologico che resta dentro anche al termine dell'avventura, con la sensazione di aver gustato un bellissimo film, suggestivo quanto opprimente, e un'esperienza narrativa di grande profondità e fascino. Per questo ne abbiamo voluto parlare con Luca Dalcò che ne è responsabile con il suo team di LKA, facendoci raccontare in una lunga e interessantissima conversazione alcune delle scelte fatte, il tema sensibile delle modifiche apportate alla versione Playstation (ma il gioco è disponibile anche per PC e Xbox) e, soprattutto, il delicato quanto affascinante tema del rapporto tra cinema e videogioco che ci è molto caro.
La suggestione rurale
Il punto di partenza della nostra chiacchierata è stato ambientale, per farci raccontare il lavoro fatto per ricostruire il contesto della Toscana rurale del 1944, riprodotta in modo meticoloso e con una ricchezza di dettagli che permette al giocatore di vivere il mondo della protagonista. Si tratta di un'ambientazione che crea una continuità col lavoro precedente di LKA, The Town of Flight, che ha permesso al team di sfruttare ulteriormente il "lavoro di ricerca spaventoso" già svolto, perché "dispiaceva non continuare a usare queste conoscenze che si erano sviluppate" per il titolo precedente. Ci si è concentrati su quelle date che hanno visto "il momento in cui si scatena la guerra, con la popolazione schiacciata tra i Tedeschi che dovevano finire le fortificazioni e gli alleati che dovevano avanzare in tutti i modi".
La scelta della Toscana è stata inevitabile come le conseguenze di questa pressa su una persona fragile come la protagonista: "Noi siamo in Toscana e raccontare il nostro territorio ci piace non tanto per campanilismo fiorentino ma perché credo che la sensibilità che si ha sul proprio territorio sia particolare" e permette di inserire quel livello di dettagli che restituire la credibilità necessaria. Pur trattandosi di giochi diversi, si è fatto il confronto con Stalker per il livello di attenzione al territorio e che offre tantissimi spunti anche narrativi. "Si può pensare che rappresentare un mondo reale rispetto a uno fantastico sia più facile, ma non è così" ha spiegato ancora Dalcò parlando di dettagli venuti fuori facendo ricerca, ai quali non si era inizialmente pensato, come le istruzioni per usare il telefono con la tastiera a disco che si trova nel gioco, e che fanno entrare il giocatore in quel mondo.
Lo sguardo al cinema
L'altro aspetto fondamentale di Martha is Dead è il suo essere un thriller psicologico e l'attenzione al genere. Ma che ispirazioni hanno avuto gli autori? "La fonte di ispirazione principale non è il mondo dei videogiochi ma il cinema. Sono amante dell'horror, ma mi piace quando l'orrore non è un fine, ma un mezzo" ha spiegato Dalcò nel parlarci delle suggestioni a cui hanno attinto, "trovo che sia un linguaggio molto adatto a parlare di temi anche molto duri" e che negli ultimi anni è stato usato per trattare argomenti delicati come la malattia. "È molto adatto a descrivere la sofferenza, perché la sofferenza è orrore."
Luca Dalcò ha fatto riferimento a titoli specifici per indicare la tipologia di opere che lo hanno colpito, anche se non hanno avuto un'impatto diretto sui giochi di LKA, come Saint Maud o November, "film in cui prevale la fruizione emozionale", ma è altresì inevitabile "mettere un po' di se stessi in un racconto di questo tipo. Se devo raccontare qualcosa di molto forte, tendo a partire da qualcosa che ho provato" per poter andare a fondo nelle sensazioni da trasmettere: "Qui come in The Town of Light c'è la mia esperienza nell'aver avuto a che fare con persone con problemi, esperienze a cui ti riallacci declinandole in modo diverse."
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L'empatia è la chiave di tutto
"Quando si riesce a provare empatia è difficile che le cose vadano nel modo sbagliato e mettersi nei panni della protagonista aiuta a capire un disagio che è difficile da comprendere senza averlo sperimentato" ci ha detto ancora nel sottolineare un aspetto importante di Martha is Dead e dei videogiochi di questo tipo in generale: l'immedesimazione. Una sintonia con la protagonista che viene dal lavoro certosino sul contesto, ma anche dal mettere il giocatore nelle condizioni di guidare i suoi movimenti e le sue scelte, sin nelle più semplici azioni. Forse è questo che ha spinto Sony a chiedere alcune modifiche alla versione Playstation di Martha is Dead. "Forse si è considerato un livello di immedesimazione molto forte con la protagonista" ha spiegato Dalcò, che però non ha polemizzato nei confronti di queste richiesta e ha piuttosto sottolineato quanto l'azienda sia stata collaborativa nel cercare di analizzare le possibili soluzioni.
Rispetto alle versioni PC e Xbox, quella Playstation ha un filtro attivabile su base volontaria "che trovo un ottimo strumento", ma anche l'esclusione dell'interattività in un paio di momenti del gioco e un'unica modifica più assimilabile alla censura, il riferimento alla masturbazione in una sequenza onirica: "Per loro un problema che si parlasse di masturbazione in una fase in cui si cammina in un'area piena di croci. Non è un collegamento casuale, perché i manicomi all'epoca erano altamente religiosi, l'Italia aveva una religione di stato, quindi questa immagina della croce era molto presente in quegli ambienti". Ma si è scelto di eliminare il riferimento perché il tempo a disposizione non consentiva di trovare soluzioni alternative, "ma non è stata un'imposizione."
Vivere una storia
Quella dell'interattività è però un aspetto chiave nel legame tra giocatore e storia, quello che salta all'occhio nella differenza tra cinema e videogioco. Attenzione però a limitarsi a questo nel differenziare un media dall'altro: "Da un primo momento in cui pensavo che fossero media con una gran parte sovrapponibile, mi sembra di scoprire man mano che siano molto più differenti di quello che si possa pensare. Non basta limitarsi a considerare che uno è interattivo e l'altro no, ma bisogna capire cosa comporta questo." Luca Dalcò ci ha raccontato la sua provenienza dal teatro e del lavoro fatto sugli ambienti, che in alcuni casi è assimilabile a quello del videogioco: "ho capito che una delle differenze è il rapporto che ha il fruitore con l'ambiente, che nel caso del videogioco è molto più profondo."
Diverso da quello che ha uno spettatore cinematografico: "al cinema è qualcosa di cui puoi non avere una conoscenza profonda, anzi in molti casi l'inganno cinematografico sta proprio nel non darti questa consapevolezza. Nel videogioco, almeno nel tipo di gioco che facciamo noi, ti muovi nell'ambiente e devi conoscere il luogo in cui ti muovi. questo spinge lo sviluppatore a fare un lavoro diverso sulla scenografia diverso. Non devi solo concepire l'ambiente ma anche ragionare su come ci si muove all'interno."
La contaminazione tra cinema e videogioco
"Tutte le volte che ci siamo trovati a confrontare con chi lavora in ambito cinematografico abbiamo notato un'invidia reciproca" ha raccontato ancora Dalcò, "chi fa videogiochi invidia la linearità del cinema. Dall'altra parte c'è l'invidia opposta." Ma un altro aspetto che distingue nettamente i due ambiti è la diversa proporzione tra fase di sviluppo e fase di produzione, che rende il lavoro molto diverso. Ci sono ovviamente i punti di contatto: "Uno degli elementi in cui i videogiochi narrativi, ma non solo, hanno un contatto con il cinema sono le famose cutscene, quelle scene non interattive che sono puramente cinematografiche. Lì la carenza di competenza si vede di più" e questo potrebbe essere un punto di scambio interessante tra i due media.
Cinema e videogiochi: l'attrazione (e imitazione) è reciproca
"Nell'altra direzione è più difficile. Ci sono stati degli esperimenti, ma in definitiva penso che non si possa fare. Una volta tolta l'interattività non hai più un videogioco" e per questo Luca Dalcò ritiene che i due ambiti "siano molto più distanti di quello che potrebbe sembrare. Bisogna continuare a dialogare molto e in alcune produzioni del tipo della nostra, il videogioco gioverebbe di avere delle professionalità di stampo più cinematografico." Si pensa a un lavoro approfondito sulla regia e sulla fotografia "per dare una maggior profondità agli ambienti", ma è anche vero che in alcuni casi "il cinema potrebbe beneficiare di figure come il game designer che possano dare una maggior dinamicità" e quella sensibilità all'ambiente a cui abbiamo accennato. Si è parlato di esperimenti come Hardcore o all'italiano Ride prodotto da Guaglione e Resinaro, esperimenti interessanti e spunti su cui lavorare, ma in definitiva "nel caso di contaminazioni maggiori penso che andrebbero ad autolimitarsi e non sfruttare le potenzialità del mezzo."