Marko Polo di Elisa Fuksas parte da un presupposto, da lei stesso esplicato nelle note di regia: "come si rappresenta l'irrappresentabile?". Al centro del film, ibrido nel linguaggio, due linee narrative e un viaggio in nave. Una nave che porterebbe a Međugorje, almeno secondo il volere della regista. Perché la sua opera, presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma (in sala poi nel 2025), a metà tra esperimento e flusso di coscienza, riprende le inflessioni di un film che la Fuksas aveva scritto ma, alla fine, non ha mai girato (tratto da un suo romanzo). In scena, oltre alla stessa Fuksas, anche la sua sceneggiatrice Elisa Casseri e Flavio Furno, l'attore che sarebbe dovuto comparire poi nel film incompiuto (e che in Marko Polo recita indossando un'enorme maschera).
E del film, tra inflessioni, spunti e digressioni, abbiamo parlato proprio con Elisa Fuksas. "Delle volte non sai bene cosa pensi, quando scrivi o fai un film. È tutto molto bestiale", ci dice al telefono, "Marko Polo, se vogliamo, è una liturgia. Un funerale di un film che non è mai esistito. In questo senso seguo un comportamento anarchico, in fondo le cose che facciamo hanno sempre una loro volontà".
Marko Polo, la nostra intervista ad Elisa Fuksas
Marko Polo, così come gli altri lavori della regista, partono sempre da un'esigenza personale (se pensiamo ad iSola). A tal riguardo, ci dice che: "No, non vorrei in verità puntare ad un'intimità, e inizio sempre in modo naturale. Nel film tra l'altro compaio, ma non sono un'attrice, lascio parlare gli altri. Marko Polo aveva tutte le caratteristiche giuste, con stesure e copioni. Poi sì sa, la vita è piena di imprevisti. Quello che sembra destino magari è solo inconscio. Forse non volevo farlo, forse non era da fare... E infatti non l'ho fatto. Nel frattempo si formava qualcos'altro, che è il risultato che vedete adesso. Lo abbiamo realizzato in dieci giorni, ma è un'idea che va avanti da cinque anni. Più altri quattro anni prima, con la stesura del romanzo".
Un piccolo atto di fede
Curioso, tra l'altro, l'utilizzo della maschera, oltre che dello spazio limitato di una nave. "Volevo che tutti avessimo qualcosa in meno. Volevo togliere potere ad ognuno, e ad un attore togli la faccia come prima cosa. Ma la maschera è anche di coloro che non vengono riconosciuti. La maschera cambia tutto, cambia la percezione", e prosegue, "Dentro di me covava un mondo caotico. Un difetto, forse, ma è anche la mia natura".
Sulla realizzazione, dall'altra parte, l'autrice si sofferma sulla produzione, e su quanto abbia un peso (anche economico) la storia che vuoi raccontare. "I soldi servono quando giri un film, e se non li trovi non se ne fa nulla. Dipende da quello che vuoi raccontare. Marko Polo è completamente finanziato dai produttori. Per quanto sia un film piccolo mi stupisce che mi vengano dai dei soldi, se pur pochi. È un atto di fede verso una storia che tutti noi avremmo voluto raccontare. Quella che appare in scena non sono io, bensì è un piano d'ascolto. Tuttavia, il film pensa come penso io, nella sua causticità".
Un pensiero sulla nuova Legge Cinema
A proposito di finanziamenti, l'ultimo appunto con Elisa Fuksas riguarda la tanto discussa Legge Cinema. Per la regista "Trovare un regola è inevitabile. È successo qualcosa, è davanti agli occhi di tutti. Che ci siano stati problemi è palese. Poi quando arrivi ad un punto critico però devi risolvere. Per fortuna o sfortuna non faccio le leggi, ma spesso basta il buon senso per far funzionare le cose in maniera lineare. Certo, togliere le diversità e possibilità al cinema non aiuta. Chiudere lo sguardo non aiuta. Lo sguardo deve essere ampio, raccontando il nostro presente e la nostra contemporaneità. Oggi il cinema italiano lo fa poco, mi rendo conto che è complicato. Sono soldi pubblici e vanno usati bene, ma un sistema economico che non ti aiuta e non ti invoglia non porta nulla di buono".