Da una decina d'anni Mark Cousins è una presenza ricorrente nei maggiori festival di cinema con i suoi documentari che si interessano proprio alla settima arte: nel 2012 era fuori concorso alla Berlinale con The Story of Film: An Odyssey, opera fluviale di quindici ore sulla storia della forma d'arte dai Lumière a Nolan, e nel 2021 ha firmato un'espansione, The Story of Film: A New Generation, che è stato il primo film proiettato all'edizione di quell'anno del Festival di Cannes. "Un'esperienza surreale", ci ha raccontato Cousins durante una recente conversazione a Ginevra, dove alcuni dei suoi documentari fanno parte della riapertura del Plaza, storica sala della città. "Tra l'altro, Thierry Frémaux mi ha detto che il mio è stato il primo film selezionato in assoluto, e ce l'hanno detto subito; quindi, io a dicembre sapevo già che a luglio saremmo andati a Cannes." E sulla Croisette il film ha parzialmente segnato un ritorno alla normalità, dopo un primo anno e mezzo di quella pandemia che successivamente ha colpito anche Cousins: lo scorso autunno, causa Covid, ha dovuto rinunciare ad accompagnare una delle sue opere alla Viennale.
Alla (ri)scoperta di tutto il cinema
La filmografia di Mark Cousins è caratterizzata da due elementi: sono documentari su vari aspetti della storia del cinema, e sono sempre accompagnati dalla sua voce. "Non leggo mai le recensioni, ma so che il mio modo di parlare può essere respingente, perché ho un accento strano, a metà fra irlandese e scozzese", ci dice il cineasta, cresciuto in Irlanda del Nord ma da decenni residente a Edimburgo. E mentre i progetti più lunghi tendono a essere esplorazioni delle forme del cinema in generale, quelli più brevi solitamente parlano di argomenti specifici. È il caso di The Storms of Jeremy Thomas, che racconta l'opera del grande produttore britannico tramite l'escamotage del vero viaggio in macchina che fa ogni anno per arrivare a Cannes. E proprio a Cannes, sempre nel 2021, c'è stata la prima mondiale. "Non ci abbiamo pensato mentre lavoravamo al film, anche perché lavoro sempre a progetti multipli", dice Cousins. "Nel 2021 ho girato tre film, e ne girerò tre quest'anno. Poi, durante la post-produzione, ci siamo resi conto che Cannes era la cornice ideale, dato l'argomento." Pur essendo stato girato prima della pandemia, il progetto ha un che di pandemico a livello di approccio: "Eravamo solo io, lui e la macchina da presa, nella stessa automobile. Avevo pensato a una seconda auto che ci seguisse per le riprese, ma preferivo questo stile più intimo."
The Story of Film: un lungo viaggio nelle emozioni del cinema
Come sceglie questi progetti più specifici? "L'importante è che ci sia qualcosa di diverso. Recentemente ho realizzato un documentario su Alfred Hitchcock, e spero che il pubblico lo percepisca come qualcosa che non è il solito film su di lui. È stata la stessa cosa con il progetto su Orson Welles, nel 2018: ci sono tantissimi documentari sulla sua opera, ma nessuno aveva mai veramente parlato della sua attività come pittore, che è l'approccio che mi è stato proposto da sua figlia." La ricerca del nuovo è anche il motivo per cui, nonostante la durata monstre di alcuni suoi film, non si è fatto tentare da Netflix e soci: "Alcuni streamer - non ti dirò quali - mi hanno proposto di 'markcousinizzare' alcuni progetti. Ma è tutta roba molto mainstream, e non ho niente contro un documentario su Marlon Brando, per esempio, però diventerebbe la parte dominante del mio percorso e quello non mi interessa. Voglio parlare di tutto il cinema, senza frontiere di alcun tipo." A proposito di piattaforme, c'è chi dice che non andrebbero chiamati "film" gli Originals di Netflix, perché non sono destinati alla sala. Ma a rigor di logica non dovremmo usare termini diversi anche per titoli che vanno al cinema ma non sono comunque girati in pellicola? "È la nozione sbagliata su cosa costituisca il cinema: è l'unica forma d'arte fatta di inquadrature e stacchi di montaggio. Se questi siano riusciti o meno è un altro discorso. Ma i film sono questo, a prescindere da dove e come uno li vede. Detto questo, io vedo quasi tutto in sala."
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Questione di sguardi
Cousins è anche autore di numerosi articoli, molti per una rubrica fissa nella prestigiosa rivista Sight & Sound. L'attività giornalistica influenza il cineasta, o viceversa? "In parte sì, ma devo dire che considero la scrittura qualcosa di secondario. Io parto sempre dalle immagini, e quando scrivo è principalmente per capire cosa penso di quelle immagini." Questo vale anche per i documentari, dove spesso ci sono collegamenti inattesi tra due film in apparenza privi di connessione? "Sì, è il motivo per cui in The Story Of Film: A New Generation c'è il nesso tra Joker e Frozen - Il regno di ghiaccio. Il primo doveva esserci, perché lo trovavo un ricettacolo potente dello zeitgeist, e ripensandoci in seguito mi è venuto in mente il parallelismo con il secondo, che molti non si aspettano." Chiudiamo parlando di The Story of Looking, che parla della funzione spettatoriale a partire dalle esperienze personali di Cousins, che rischiava di perdere la vista. Lavorare a quel progetto ha cambiato il suo modo di vedere i film? "Sì, letteralmente, perché dopo l'operazione alla cataratta non ho più bisogno degli occhiali al cinema. Ma mi ha anche fatto riflettere sul ruolo dello sguardo nella mia vita. Ho passato gran parte del mio tempo a guardare, e lo faccio tuttora, anche quando non sono in sala: in treno, ad esempio, non sto mai a fissare il display del telefono. Guardo fuori dalla finestra, sempre e comunque."