"Pensano di aver ragione solo perché sono di più, quelli normali". È una delle frasi più belle del nuovo film con Stefano Accorsi e Miriam Leone. E crediamo che siano le parole giuste per iniziare la recensione di Marilyn ha gli occhi neri, il film di Simone Godano presentato ai Bif&st di Bari e in uscita in sala dal 14 ottobre. È un film particolarissimo, che vi consigliamo di non perdere. Al centro ci sono due "ragazzi interrotti", un uomo di cinquant'anni e una donna di quaranta, Diego e Clara, che per caso si trovano a condividere un'avventura insieme e, in qualche modo, riescono a farcela. Stefano Accorsi e Miriam Leone sono il volto e l'anima di questo film di Simone Godano, scritto dal regista insieme a Giulia Steigerwalt, una storia che racconta il disagio mentale in maniera non banale, ma empatica, intensa e divertente. Un'ottima scrittura e una serie di interpretazioni sentite, non solo dei protagonisti, ma da parte di tutto il cast, ne fanno un film speciale, un film a cui voler bene.
Diego, Clara, il centro diurno e il Monroe
Diego (Stefano Accorsi) ha cinquant'anni, ed è uno stimato chef. Nella prima scena di Marilyn ha gli occhi neri lo vediamo sfasciare completamente la sala di un ristorante. Tutto questo perché, lo capiremo poco dopo, l'aiuto chef gli prendeva continuamente la farina. Diego è iracondo, incontrollabile. Ma ha anche una figlia di cui prendersi cura, anche se è affidata alla moglie. Clara (Miriam Leone) è un'attrice, o almeno questo è quello che dice. Si divide tra spot e prove teatrali. Ma, in qualche modo, ha dato fuoco alla casa dove viveva con l'ex marito. Prendete con le pinze quello che vi stiamo dicendo, anzi quello che ci ha detto lei, perché Clara è una mitomane. Il professor Paris (Thomas Trabacchi) decide di inserire entrambi in una terapia di gruppo in un centro diurno per persone con disturbi mentali. Qui incontreranno una serie di persone come loro, forse più gravi, o forse no. Mentre Paris comincia ad aprire al pubblico la mensa del centro, a Clara viene in mente di dare vita a un vero ristorante, il Monroe e di lanciarlo su un social network. Solo che il Monroe ancora non esiste...
Come Fabio Bonifacci e Nicola Guaglianone
Da vicino nessuno è normale, si diceva un tempo. Ed è un adagio sempre valido, particolarmente adatto a raccontare i protagonisti di Marilyn ha gli occhi neri. Perché questi due personaggi, Simone Godano e Giulia Steigerwalt li hanno voluti vedere da vicino, anzi da dentro. Per costruire la sceneggiatura hanno passato intere settimane nei centri diurni, hanno colto manie, tic, routine di queste persone. E hanno capito, ad esempio, che quando si rifugiano in questi aspetti, si rifugiano in una comfort zone, in un luogo che per loro è sicuro. Il taglio che hanno voluto dare al loro racconto è quello della commedia, intesa in varie sfaccettature, che comprendono anche la commedia sentimentale, ma toccando anche toni drammatici. Con un occhio a un certo cinema americano, e un altro a un certo cinema nordico, che riesce a mettere in scena storie e personaggi che vivono un disagio in un modo mai pietistico. Non si guarda mai a queste persone dall'alto, ma dallo stesso piano, non le si guarda da lontano, ma da vicino, anzi si riesce a guardar loro dentro. Non c'è la pietà ma l'empatia, non c'è la lacrima ma un sorriso. È quello che sono riusciti a fare, per esempio, Fabio Bonifacci e Nicola Guaglianone, non a caso due dei nostri migliori sceneggiatori. Simone Godano e Giulia Steigerwalt qui hanno fatto un lavoro degno dei migliori.
Tra Si può fare e Il lato positivo
A proposito, Marilyn ha gli occhi neri lavora su due piani differenti. C'è un piano che resta sullo sfondo, ma non troppo, che è il racconto corale delle persone che si trovano nel centro diurno, che è qualcosa di più del coro che serve ad accompagnare i due protagonisti. E siamo davvero dalle parti di Si può fare, uno dei film più belli realizzati sul disagio mentale. Quell'idea di fare della mensa del centro diurno un ristorante è un modo per dire "si può fare" come quelle dei ragazzi che mettevano in pratica l'idea di fare una cooperativa per la posa del parquet. E poi c'è il primo piano, quello dei due protagonisti, storia di una complicità e di un mutuo aiuto prima ancora che storia d'amore, che ci riporta alle atmosfere e ai toni, alla carica di un film come Il lato positivo - Silver Linings Playbook.
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Miriam Leone e Stefano Accorsi, la chimica funziona ancora
Miriam Leone e Stefano Accorsi come Jennifer Lawrence e Bradley Cooper, ma in modo molto più misurato, perché non siamo mica gli americani. Se Marilyn ha gli occhi neri funziona è anche per la grande prova di questi due attori. Miriam Leone non tocca quasi la sua bellezza: le famose sopracciglia, bellissime, a volte sono un po' scompigliate, la frangetta le dà un'aria diversa, il trucco un po' sbavato crea una cornice un po' da svampita a quegli occhi verdi che qui sono celati da lenti a contatto scure per entrare nel personaggio (Clara è convinta di somigliare a Marilyn che, in origine, era mora con gli occhi neri). La sua follia è solo un po' sopra le righe. Stefano Accorsi fa un lavoro delicatissimo, quello di raccontare un personaggio pieno di tic e balbuzie senza farne una macchietta, fermandosi sempre un attimo prima di andare sopra le righe. Anche qui il look lo aiuta, con i capelli più lunghi e un ciuffo che, cadendo sulla fronte, dà quella sensazione di disordine e follia. Miriam Leone e Stefano Accorsi erano già stati insieme sul set della serie 1992, 1993, 1994, nei panni di Veronica Castello e Leo Notte, i personaggi più carismatici e per forza di cose destinati a incontrarsi. Quando erano insieme in scena facevano scintille, e la chimica funziona anche qui. Veronica e Leo erano due vincenti in apparenza, che però finivano per risultare degli sconfitti. Clara e Diego partono dalla posizione opposta, sono due "ultimi" che però, insieme, riescono a rinascere.
La sofferenza degli altri fa tanta paura
"Marilyn era mora, poi si è tinta i capelli ed è diventata bionda. Hanno creato un mito a tavolino. È tutto finto". È quello che dice Clara a Diego. Ed è quello che fa con il Monroe, il locale immaginario che crea, postando foto di piatti che il loro ristorante non ha ancora mai cucinato (non vogliamo raccontarvi come vengono realizzate...). Il sottotesto di Marilyn ha gli occhi neri è una lettura ironica e critica del mondo dei social media, dove si può fingere quello che non si è. Nella vita reale, invece, non si può fingere di stare bene. "La sofferenza degli altri fa tanta paura. E non ne sappiamo neanche il motivo" è un'altra frase chiave del film. La regia di Simone Godano si mette al servizio del racconto e delle emozioni dei protagonisti, scegliendo ogni inquadratura in modo funzionale, soffermandosi molto sul volto dei due protagonisti ma occupandosi con grande cura di tutto il resto. Come in quella scena, nell'ormai ristorante Monroe, nel momento del "ce l'abbiamo fatta", in cui la macchina da presa, partendo da Clara e Diego, allarga e ci mostra il ristorante, cioè quello che sono riusciti a creare. Quello che è il loro mondo. Però non siamo in un film americano, non siamo ne Il lato positivo, e non è tutto così facile. Non andrà tutto bene. Quello scordatevelo. Ma andrà, in qualche modo andrà.
Conclusioni
Nella recensione di Marilyn ha gli occhi neri vi parliamo di un film che racconta il disagio mentale in maniera non banale, ma empatica, intensa e divertente. Un'ottima scrittura e una serie di interpretazioni sentite, non solo dei protagonisti, ma da parte di tutto il cast, ne fanno un film speciale, un film a cui voler bene.
Perché ci piace
- Il tono scelto da Simone Godano per raccontare il disagio mentale: empatico e mai pietistico.
- La prova di Stefano Accorsi e Miriam Leone, ricca di sensibilità.
- La descrizione del contesto dove si trovano i protagonisti, il centro diurno.
Cosa non va
- Non è una commedia tout court, e chi cerca solo risate può restare un po' spiazzato.