Nato un po' in sordina, per ammissione dei suoi stessi produttori tra cui Roberto Sessa di Picomedia, nel suo essere una sfida, un progetto diverso da quelli intrapresi normalmente dalla TV generalista, Mare Fuori si è, per citare una serie dalle stesse origini partenopee (Gomorra), "presa quello che era suo", il successo, tanto da essere tutt'oggi in top 10 dei più visti su Netflix.
A poche ore dall'uscita della sua terza stagione, la fiction di Rai2 sulle vicende dei ragazzi dell'Istituto Penitenziario minorile di Napoli, sta generando grandissima attesa e altissime aspettative, confermando il suo essere ormai una serie Cult.
Abbiamo incontrato i giovani protagonisti di Mare Fuori 3, nella sede storica della Rai in viale Mazzini che per l'occasione si è vestita delle ambientazioni della serie, come si vede dalle interviste. Massimiliano Caiazzo, Valentina Romani, Nicolas Maupas, Matteo Paolillo, Ar Tem e Giacomo Giorgio ci hanno raccontato il loro Mare Fuori ed il percorso di cambiamento che hanno intrapreso durante le tre stagioni della serie.
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Il passato e il presente di Mare Fuori
Cos'era Mare Fuori, la prima volta che avete aperto la sceneggiatura e cosa è diventato oggi, con la terza stagione, il successo e il percorso che avete fatto?
Valentina Romani: Quando ho messo le mani sul copione la prima volta era un biglietto aereo per andare dall'altra parte del mondo ed esplorare una cosa del tutto nuova, una terra inesplorata, che potesse far nascere riflessioni, pensieri. Subito salta all'occhio il tema del carcere minorile su cui Mare Fuori, se vogliamo, mette un po' una lente d'ingrandimento e quindi, come quando fai un viaggio dall'altra parte del mondo che torni arricchito di una nuova cultura, di una nuova conoscenza, Mare Fuori per me è stato questo, l'approfondire una tematica così socialmente attuale e importante. Oggi è sicuramente parte di me perché mi ha insegnato tante cose e mi ha fatto conoscere dei giovani talenti di cui sono orgogliosa e fiera come se fossero miei fratelli. Per tornare al tema del viaggio, è come se fossi tornata con una valigia piena di conoscenza e di conoscenze.
Nicolas Maupas: Sia Carmine D'Elia, regista della prima stagione che Milena Cocozza, co-regista della seconda stagione, parlando appunto del lavoro che avremmo dovuto fare con il progetto citarono un film che era Mery per sempre. Credo che sia stato un altro grande esempio di come si può raccontare una realtà difficile, raccontando l'interno e parlando di personalità già di per sé diverse e difficili. C'è una scena in particolare che mi piaceva molto che è quella dove i ragazzi stanno giocando a pallone, il custode si arrabbia, gli toglie il pallone ma loro continuano a giocare, facendo finta di averlo ancora.
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Secondo me è stato questo un poco l'inizio di Mare Fuori ovvero il dover raccontare una realtà molto difficile, lavorando sicuramente di fantasia perché nessuno di noi ha avuto la sfortuna in questo caso di finire dentro un sistema carcerario. Raccontare una partita di calcio senza pallone è un poco quello che abbiamo fatto noi, ovvero raccontare una cosa estremamente importante come può essere una partita e la nostra generazione in questa realtà, farlo con le nostre mani e cercare di dare il massimo della verità in questo progetto, sicuramente divertendosi nel farlo, questo è un passaggio importante. Carmine D'Elia, all'inizio del lavoro di lettura, ci disse di non pensare a quello che sarebbe stato Mare Fuori, non pensare al dopo, all'uscita,ai numeri ma pensare soltanto che avevamo in mano una responsabilità che è la vita di questi personaggi, di ragazzi carcerati. La dovevamo raccontare, tramandare a qualcun altro. Mare Fuori è stata una grande sfida ed anche una bella responsabilità. Ad oggi, secondo me, è anche un bel successo, sia per i registi che hanno lavorato tanto, sia per il grande corpo dietro che ha lavorato con passione a questa macchina che è Mare Fuori oggi come oggi. Ha dato il via a tanti bei sogni, sicuramente i nostri e poi spero anche quelli di chi ci ha guardato.
Matteo Paolillo: Quando mi sono ritrovato per la prima volta la sceneggiatura di Mare Fuori tra le mani è stata l'occasione che aspettavo da una vita di studi e sacrifici e quindi mi sono ritrovato con tutti questi ragazzi, per continuare sulle metafore che si stanno facendo, un po' a dover costruire questo palazzo nuovo di cui nessuno conosceva il risultato finale. La cosa che ci ha contraddistinto è stata la passione che ci abbiamo messo tutti nel cominciare questo lavoro. Adesso la differenza è che c'è l'orgoglio di quello che abbiamo costruito e la voglia di continuare ad aggiungere tasselli, ad arredare questo palazzo al meglio. Penso che ognuno di noi se lo ricorderà sempre con tanta passione e punto di riferimento della nostra vita.
Giacomo Giorgio: Per me Mare Fuori è stato correre a casa in lacrime da mia mamma e i miei nonni per dire ce l'ho fatta, ho avuto la possibilità, una possibilità . Per dire cosa era Mare Fuori, vorrei riportare un esempio: siamo stati a Nisida in visita, più o meno a metà della prima stagione. Facevamo vedere ai ragazzi una scena di Romeo e Giulietta e quando abbiamo chiesto chi voleva provarlo, un ragazzo in particolar modo, che avrebbe dovuto fare la parte di Romeo, si è rifiutato dicendo che non era una cosa da uomini. Poi siamo usciti fuori e l'abbiamo scoperto dietro un angoletto, che ripeteva le battute da solo . Quindi forse, in quel momento abbiamo capito qual è il potere di Mare fuori e qual era il compito del fare questo mestiere.
Massimiliano Caiazzo: Ero un bambino quando ho approcciato al progetto con una inconsapevolezza assurda, per fortuna, che è diventata ad un certo punto scelta e cerco di portarla in ogni progetto che faccio e anche in Mare fuori 2 e Mare fuori 3. Per me, ieri ed oggi, è stato è un percorso di crescita in generale, artisticamente, umanamente, poi c'è anche il fatto che, nella nostra inconsapevolezza, sia diventato un punto di riferimento all'interno del nostro sistema, all'interno anche della nostra cultura. A volte sento dire che Mare Fuori è diventato cult.
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Ma è diventato cult perché? cosa racconta? Ha un potere mediatico non indifferente perché racconta certe cose in un certo modo quindi partendo da zero ogni volta. Secondo me è questa la vera umiltà, non riconoscersi e basta le cose. Riconoscersi i traguardi è giusto perchè uno ci lavora e si convince che è andata così perché abbiamo fatto bene ma tutto con i piedi per terra. A dire ogni volta, ripartiamo da zero, quello che intendo per inconsapevolezza, che c'è dalla prima stagione. Per certi punti di vista è diventata poi un aspetto trasversale di questo progetto.
Artem: Mare Fuori per me è nato quasi per gioco, quasi per caso e mi ha aperto gli occhi sul talento che avevo, perché io non credevo fossi capace di interpretare questo personaggio oppure fare un progetto del genere. Per me è stata una grande scuola di recitazione dove ho potuto imparare direttamente lavorando. Come si dice a Napoli "T'impar o mestier", è stata una preparazione per qualcosa di ancora più grande. Sono grato quindi di tutto quello che sta accadendo, del successo, di come è cambiata la mia vita, perché la vita è meravigliosa e non sai cosa ti aspetta domani. Bisogna crederci e avere sempre fede.