È un attore con una solida esperienza alle spalle e un curriculum sterminato che comprende cinema, teatro e televisione. Eppure il successo per Marco Giallini, cinquantatré anni, è arrivato soltanto nel corso dell'ultimo decennio, grazie a un insieme di progetti molto fortunati che includono la sua partecipazione alla serie cult Romanzo criminale e a film come A.C.A.B., Posti in piedi in paradiso e soprattutto Perfetti sconosciuti, autentico fenomeno di pubblico del 2016.
Protagonista quest'autunno della serie a sfondo giallo Rocco Schiavone, nei panni di un detective della polizia dai modi bruschi trasferito ad Aosta (un personaggio nato dalla penna dello scrittore Antonio Manzini), Marco Giallini è stato al centro di un affollatissimo incontro con il pubblico nel corso della decima edizione del Roma Fiction Fest. Una conversazione a ruota libera insieme al regista Giuseppe Piccioni, nel corso della quale Giallini ha ripercorso le varie fasi della sua carriera con la consueta ironia dal taglio tipicamente 'romanesco'.
Leggi anche: Cinema italiano, non ancora Veloce come il vento, ma nemmeno più un Perfetto sconosciuto
Marco Giallini detective per la TV
Marco, come si diventa un attore di successo dopo tanti anni di gavetta?
Un attore come me lo fa la vita, quello che si raccoglie nei vari passaggi, e poi ovviamente ci vuole il talento per ritrasmettere tutto ciò. Credo che sia questo il bagaglio che un attore si porta dietro... e poi un po' di fortuna nell'incontrare registi e produttori che si accorgono di te. A un certo punto succede che un film ha successo e magari, dopo trenta film, finalmente ti riconoscono e al ristorante ti gridano "Ah Giallini!", invece di sbagliare il tuo nome.
Qual è il tuo bilancio a proposito della serie TV Rocco Schiavone, anche considerando le polemiche che ha suscitato?
Noi ce l'abbiamo messa tutta e sapevamo che alcune cose potevano non essere adatte per un pubblico di massa. Non c'erano molte scene d'azione: abbiamo cercato di fare una fiction più incentrata sui sentimenti e speriamo che questo sia arrivato. Non si sa mai in anticipo se qualcosa potrà piacere o meno. Alcuni politici si sono lamentati dell'uso della marijuana, ma direi che si è visto di peggio... insomma, 'na cannetta! Maurizio Gasparri, o forse qualcun altro, voleva darmi ventotto anni di carcere. Vabbè, a me basta che la domenica me fanno vedé la Roma!
Quando hai capito che saresti stato adatto ad interpretare Rocco Schiavone?
Ho letto i libri e ho capito che avrei potuto farne qualcosa mettendoci del mio, a partire dalla perdita di mia moglie. C'era chi diceva "Non tocchiamo quel tasto", ma perché no? È la vita e approcciarmi ad un personaggio che aveva avuto lo stesso destino non è stato facile. Quei momenti sono stati veramente forti, ma io ci ho messo tutto quello che potevo.
Leggi anche: Rocco Schiavone? "Un farabutto che si fa la canne". Bufera sulla fiction Rai
Cosa puoi dirci del tuo percorso professionale e del tuo rapporto con i registi?
Ho sempre lavorato insieme ai registi, non ci ho mai litigato. Poi non ho fatto solo commissari, ho fatto anche ridere, e non tutti gli attori hanno questo privilegio. Venendo da una famiglia proletaria non sempre ho potuto scegliere e in alcuni momenti pur di lavorare ho dovuto anche fare scelte "con la mano sinistra", sebbene non abbia mai accettato film proprio beceri. Le cose sono cambiate con Posti in piedi in paradiso di Carlo Verdone e A.C.A.B. di Stefano Sollima, e ho avuto le nomination ai David di Donatello per entrambi i film, per due ruoli diversissimi. Mi è toccato pure andare in palestra, sono arrivato a pesare più di novanta chili. Entrambi quei film sono stati un successo e da lì è cambiato tutto. Perfetti sconosciuti per esempio è stato un successo mondiale, anche grazie a quegli attori fantastici, fra cui Valerio Mastandrea, che è un amico carissimo ma pure un gran rompicoglioni! Sul set scherzavamo molto, ma poi dopo il ciak si faceva sul serio.
Leggi anche: Perché ci riconosciamo in questi Perfetti sconosciuti
Dagli esordi con Foà a Perfetti sconosciuti
Quanto conta il talento per diventare un attore di successo?
Il talento è importante per qualsiasi lavoro, che si faccia cinema o si costruiscano case. Vedo diversi attori senza il minimo talento, mentre un attore di talento deve saper trovare la verità. E te ne accorgi subito, se un attore riesce a toccarti il cuore.
Com'è nata in te la passione per il cinema?
Mio padre amava molto il cinema di genere, i noir, i polar, e davanti ai film si metteva a piangere. Il suo attore preferito era Michel Piccoli, chissà che avrebbe detto se avesse saputo che un giorno mi sarei ritrovato nella stessa cinquina del David con Piccoli, che poi ha vinto. Entrambi amavamo molto La prima notte di quiete, con Alain Delon, e una volta siamo andati a vedere il set de La donna del bersagliere, con Gina Lollobrigida. Insomma, in quell'epoca è nato il mio amore per il cinema. L'altra grande mia passione è la musica. Quando ho deciso di fare l'attore ho ripreso a studiare e mi sono pure iscritto a Lettere e Filosofia. Alla fine degli anni Settanta, a ventotto anni, ho fatto un provino per l'Adelchi al Teatro Argentina, davanti ad Arnoldo Foà, che per me già all'epoca aveva cent'anni! Arrivai di corsa dal lavoro, con le mani sporche di vernice, e trovai il coraggio per ammettere di non sapere le battute a memoria. Mi fecero leggere le battute, poi tornai a casa e quella sera mi richiamarono al telefono. La mia fidanzata mi disse: "Ti vogliono dal Teatro Argentina". Sono tornato lì, ho riletto le battute e mi hanno preso per fare l'Adelchi con Arnoldo Foà. Foà era favoloso, anche se sul palco non si ricordava un cazzo. Allora esclamava "Ehhh?", il pubblico pensava che stesse recitando e a me ogni volta veniva da ridere.
Come ha avuto origine il progetto di Perfetti sconosciuti, il maggiore successo italiano di quest'anno?
Paolo Genovese mi disse mentre eravamo insieme al mare, al Circeo: "Ho quest'idea per un film sui telefonini". Io gli ho risposto: "Ma no, ma quali telefonini?". E invece il film ha fatto quasi venti milioni di euro. Non si può mai sapere prima cosa avrà successo e nel caso di Perfetti sconosciuti al cinema ci sono andati praticamente tutti. A questi ragazzi bisogna far capire quindi che ci sono anche altri film, film che riescono a toccarti, e convincerli a vederli.
Leggi anche: La nostra recensione di Perfetti sconosciuti
Un sogno nel cassetto?
Mi piacerebbe fare un film con Olivier Marchal, un regista francese. Non ho mai pensato di lavorare con gli americani, quei film non fanno per me, però mi farebbe piacere lavorare in Francia, mi dicono pure che ho la faccia da francese. Devo solo imparare il francese!