In attesa di vedere proiettato ufficialmente Il compleanno alla Mostra del Cinema di Venezia martedì 8 settembre alle ore 11 in Sala Grande, Marco Filiberti ha incontrato la stampa romana per parlare del suo secondo film, selezionato nella rediviva sezione Controcampo Italiano della kermesse veneziana. Prodotto dalla Zen Zero e ambientato sul litorale di Sabaudia, Il compleanno racconta l'estate di due coppie di amici, Matteo (Massimo Poggio) e Francesca (Maria De Medeiros), all'apparenza legati da un rapporto tranquillo e amorevole, e Diego (Alessandro Gassman) e Shary (Michela Cescon) che invece vivono una relazione turbolenta giunta di fatto al capolinea. Gli equilibri che tengono insieme il gruppo vengono messi improssivamente in crisi dall'arrivo nella villa al mare di David (Thyago Alves), il figlio ventenne di Diego e Shary, proveniente da New York con la sua bellezza sconvolgente che turberà profondamente Matteo, irrimediabilmente attratto dal giovane.
Tanti gli argomenti che tratta la pellicola, ma a tener banco nel corso della sua presentazione è una polemica, a nostro avviso francamente sterile. Il regista, autore nel 2003 di Poco più di un anno fa - Dario di un pornodivo, ha infatti tenuto a precisare che la sua opera non può essere considerata un film a tematica gay, com'è stato apostrofato da più parti in questi giorni, sostenendo che cambiando il sesso e la sessualità di uno dei protagonisti de Il compleanno il risultato non sarebbe cambiato, e sottolineando come nel film ci sia molto altro oltre alla presenza di un "Messia" gay che arriva a scardinare le finzioni di un gruppo di borghesi. Una presa di distanza, da parte di un regista dichiaratamente e orgogliosamente gay, che appare superflua ed esagerata, mirata probabilmente a giustificare la deriva tragica e senza appello di questo melò vecchio stile, certamente ricco di spunti interessanti, che va ad indagare problemi che toccano tutti noi e quegli istinti e le paranoie che tormentano l'uomo da sempre, primo fra tutti il fascino perverso della bellezza, ma che non riesce a fare a meno di incatenare la condizione dell'omosessualità a una dimensione di sciagura e struggimenti un po' stucchevole.
A nostro avviso, comunque, Il compleanno può essere placidamente fatto rientrare nella categoria "film a tematica gay" perché pervaso da una perpetua tensione omoerotica, e perché il centro della storia che accoglie attorno a sé elementi e forze in campo è l'apparizione in un contesto di ipocrisie di un personaggio che non rappresenta soltanto la bellezza che sconvolge, ma anche un'omosessualità con la quale è necessario confrontarsi. Con quella che potrebbe apparire un'etichetta fuorviante non si vuole di certo sminuire un'opera complessa come quella di Filiberti, ma è giusto che certo cinema italiano prenda coscienza di sé e non resti arroccato in una posizione d'altezzosità quando un prodotto, come è un film, è destinato alla massa così come ad alcune categorie particolari. "Se c'è uno che ha sbattuto in faccia agli altri la propria omosessualità sono io, ma ci tengo a dire che ho fatto un film che non è gay - spiega Filiberti a chi gli rimprovera di aver realizzato un film in cui l'omosessualità non ne esce certo bene - Reputando che i tempi siano maturi, non credo di aver bisogno di far vedere nel film la bandiera a stelle e strisce". Peccato però che in un'immagine del film la bandiera sia presente e che questi tempi, carichi di odio e di violenza verso le persone omosessuali, non sembrino maturi neppure per considerare ormai accettata dai più una condizione come quella gay. E' giusto però che Filiberti prosegua nel suo progetto, realizzando film che tendano a una complessità e a una ricchezza a livello culturale che non intendano limitarsi alla dimensione dell'omosessualità. Fare i conti con la ricezione degli stessi da parte di coloro che si sentono chiamati in causa e che sono legittimati a non riconoscersi in essi è però una tappa obbligatoria per un regista sicuramente intelligente come lui.Marco Filiberti, perché realizzare un film come Il compleanno?
Marco Filiberti: Ho fatto questo film per un'assoluta e autentica necessità, senza alcuna strategia, secondo un progetto mio che difendo dalla partenza con le unghie e con i denti.
Non pensa che sia pericoloso per la causa questo schema tragico e cupo che si ripete nel nuovo cinema gay italiano?
Marco Filiberti: Questa è sicuramente la cosa più tragica che abbia mai scritto, perché non c'è catarsi, ma si tratta dell'espiazione di un disagio collettivo. La colpa che si sconta non è l'omosessualità, il disagio di Matteo sta nell'impossibilità e di condividere quello che gli sta succedendo con i propri compagni di viaggio. E' uno schema di matrice giudaico-cristiana e proustiana. Non mi interessa lavorare su una dimensione omosessuale, ma su una complessità che investe anche la sessualità. Se invece del personaggio di David ci fosse stata una ragazza non avrei dovuto cambiare una battuta né il senso del film. Parlo però su territori che mi sono più familiari con l'ambizione di universalizzarli. Non siamo più nei tempi di certi codici di autoreferenzialità, attraverso i quali si parla di mondi distinti. Se la gente non si è accorta che i loro vicini sono gay non devo certo essere io a risvegliare questa cosa. C'è una dimensione tragica che ho io nei confronti di un destino e di una posizione intellettuale più complessa in questo tipo di società che tende all'omologazione e che per precise trategie di comunicazione tende alla semplificazione di linguaggi e codici. Nel film affiora qualcosa con una potenza ontologica come può averla l'eros, ma lo scontro in questa dimensione va oltre.Il finale del suo film appare interrotto, come se mancasse un qualcosa.
Marco Filiberti: I miei personaggi sono degli anti-eroi molto indietro su un piano di consapevolezza. Non volevo attriburgli una dimensione risolutoria perché in tutto il film non hanno saputo affrontare quest'impasse. Come ben spiega l'immagine lirica del tramonto a un certo punto nel film, affido a un altrove questa presa di coscienza, essendo io un credente, un'immagine che fa anche da trait d'union con il mio prossimo lavoro che si aprirà su un cielo e su un mare come apertura verso un percorso di consapevolezza.Quali sono stati i suoi punti di riferimento per questo film che comunque riesce a non cadere negli stereotipi del cinema gay?
Marco Filiberti: Ci sono fascinazioni di registi come Fassbinder e Ozon, ma quello che ho sempre sentito più vicino a me come sensibilità e da un punto di vista formale è Douglas Sirk. L'equilibrio è comunque una mia ambizione. Spero di non essere stato tentato dai cliché perché non sento che mi appartengono. Non faccio fatica però a confrontarmi con essi. Le citazioni di nostalgia di un cinema che non esiste più sono però forti perché è qualcosa che sento molto. Sono convinto però che la commistione di classicità e contemporaneità se riuscita possa farsi linguaggio nuovo.
Il personaggio interpretato da Maria De Medeiros rappresenta nella storia l'innocenza. Come l'ha costruito?
Marco Filiberti: Ho pensato Francesca come una sorta di Desdemona di Otello che non è certo una scema, ma una donna coraggiosissima. Desdemona non vede il male e sono convinto che ci siano davvero delle persone così, che esista il candore. Francesca ha una concezione assoluta del bene e dell'amore, e in questo è sicuramente una donna insolita. Quando si imbatte nella ragazza morta sulla spiaggia sente che quella è un'anticipazione di quello che la riguarda, ma non è pronta a confrontarsi con la complessità della vita perché è un essere puro.Cosa ne pensa dei recenti fatti di cronaca che hanno visto una forte ondata di violenza indirizzata verso i gay?
Marco Filiberti: Tanto mi piace combattere per i miei ideali, tanto mi fa schifo strumentalizzarli. C'è violenza sugli handicappati, sulle persone di colore, sulle donne, così come sugli omosessualità. La città è caratterizzata da una dimensione disumana ed è per questo che sono andato via e ora sono circondato solo da pecore. Siamo a un livello zero sul piano della civilizzazione, perché non abbiamo ancora ucciso il padre, com'è capitato invece in Inghilterra o in Francia. Siamo ancora qui proni, in una condizione di vassallaggio nei confronti del potere, che sia il Papa, il Presidente del Consiglio o il Presidente della Repubblica. Assumiamoci tutti le nostre responsabilità.