'Il capo dice noi, ma intende io. Il capo sa quello che serve. Il capo ha la folla. Il capo è la folla. Il capo fa promesse. Il capo non mantiene le promesse. Il capo si volta e non c'è nessuno'. E' questo l'incipit del bel documentario diretto da Marco Bechis e scritto assieme al giornalista del settimanale L'Espresso, Gigi Riva; un lungo excursus sulla nascita della propaganda fascista, quella 'fabbrica' del consenso che ha permesso a Benito Mussolini di rafforzare costantemente il suo potere, sfruttando tutti i mezzi di comunicazione all'epoca più forti, come il cinema e la radio, per veicolare i suoi messaggi, catturare l'attenzione della popolazione, incitarla a non cedere al disfattismo, creare nuove necessità. In poche parole, imporre un pensiero unico, presupposto necessario affinché un regime totalitario possa conservarsi e rafforzarsi nel tempo. Presentato nella sezione Figure nel Paesaggio al Torino Film Festival 2011, il film di montaggio reso possibile grazie ai filmati dell'Istituto Luce mostra in maniera emblematica il funzionamento di un meccanismo comune non solo a tutte le dittature, ma anche in molti governi democratici. Perché la ricerca del consenso a tutti i costi è parte integrante della politica.
Signor Bechis, è stato difficile orientarsi in quel vasto mare di materiale a cui avete attinto per costruire il documentario?
Marco Bechis: In realtà non è stato difficile, anzi abbiamo agito anche con una certa velocità. Abbiamo cominciato a vedere i filmati in settembre, iniziando il lavoro di montaggio a febbraio. Mi sono orientato trovando un sistema di navigazione tutto mio, cercando e scegliendo solo quelle immagini che mi colpivano e su quelle creavo delle tracce. Una volta raccolta una quantità sufficiente di materiale ho pensato alla struttura iniziando a confrontarmi con Gigi. Quando mi sono accorto, però, che il lavoro rischiava di essere troppo freddo ho pensato che sarebbe stata necessaria un'intervista. Ho pensato subito a mio padre, colui che ha ispirato la scelta di alcuni filmati, visto che molte cose le ho conosciute proprio attraverso i suoi racconti.
Ad esempio il discorso del Duce a Torino...
Marco Bechis: Ho scelto quel filmato seguendo un criterio squisitamente cinematografico. Quel video era emblematico, con la cinepresa messa ad altezza d'uomo che si poneva alla pari con il Duce e con la corte che interagiva con lui. Il fatto che quel discorso fosse stato fatto a Torino aggiungeva qualcosa in più. E poi ho trovato strepitoso il fuorionda di Mussolini che arringava la folla. Folla che abbiamo scelto di non far vedere mai, lasciando le sue urla fuori campo.
Il sorriso del capo parla anche di presente, del nostro oggi?
Gigi Riva: Certo, ed è inutile nasconderlo. Quando Marco mi ha proposto questo progetto ho subito pensato che quegli archivi contenessero qualcosa che potessero parlarci della nostra realtà di oggi, dell'indole umana.
Ma qual è stata, se c'è stata, la peculiarità italiana nella costruzione di questa fabbrica del consenso?
Gigi Riva: E' semplice dirlo, sono stati i primi a capire l'importanza della nuova tecnologica cinematografica, fondando l'Istituto Luce per questo. Il modello italiano è stato imitato anche in Unione Sovietica. E non solo nell'ambito di regimi ma anche in quelli democratici e più in generare ovunque serva raccogliere e ottenere il consenso. Dal cinema poi si è passati alla tv. La diffusione della tv ha vinto prima nella coscienza collettiva e poi alle urne. Il paragone con Silvio Berlusconi mi sembra scontato, ma penso anche alla Francia di Sarkozy, ad alcuni governi dell'Est Europa.
E' desolante vedere certe caratteristiche italiane che emergono dal documentario, ad esempio la costante vocazione ad abbassare la testa davanti all'uomo forte...
Marco Bechis: Ma quella non era la verità, era una manipolazione cinematografica di quella realtà. Come se uno scegliesse oggi di prendere come testiminianza dell realtà italiana le immagini del TG1 e del tg di Rete 4. Ci siamo divertiti a manipolare a nostra volta questo materiale ed è stato un lavoro affascinante.