Mank, recensione: da David Fincher e Netflix una lettera d'amore ad un cinema sul Viale del tramonto

La recensione di Mank: David Fincher e Gary Oldman portano il grande cinema d'autore su Netflix, uno straordinario omaggio a Quarto potere e alla Hollywood che fu.

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Mank: Gary Oldman in una delle prime immagini del film Netflix

Iniziamo questa recensione di Mank, il nuovo splendido lavoro di David Fincher, con una consapevolezza: un solo articolo non potrà mai rendere giustizia né alla bellezza di questo film né alla sua importanza. Per fortuna avremo modo di parlarne tanto nei prossimi mesi, visto che plausibilmente Mank sarà uno dei favoriti ai prossimi Oscar e, chissà, magari anche il primo film di Netflix e di Fincher a vincere la statuetta per il miglior film.

E prima ancora che possiate ribellarvi alla solo idea, sappiate che siamo perfettamente consci di quanto sia paradossale che il più bell'omaggio al cinema e alla vecchia Hollywood - nonché ad uno dei più grandi capolavori della storia della settima arte qual è Quarto potere di Orson Welles - arrivi da un film prodotto da un colosso dello streaming. Ma, esattamente come successo due anni fa con Roma di Cuarón, è forse ancora più significativo e meritevole di riflessione il fatto che senza Netflix anche questo film molto probabilmente non avrebbe mai visto la luce.

Dietro il mito di Quarto potere e della Golden Age di Hollywood

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Mank: Amanda Seyfried in una delle prime immagini del film Netflix

D'altronde per oltre 20 anni il regista di Fight Club ha provato a convincere i grandi studios nel portare su schermo questo splendido e coraggioso script firmato da suo padre - il giornalista e sceneggiatore mancato Jack Fincher, scomparso nel 2003 - ma la risposta è sempre stata negativa. Nessuno se la sentiva di rischiare, nessuno voleva accontentare le folli pretese del regista (ovvero il bianco e nero ed uno stile di regia "vecchio" di 80 anni) e soprattutto nessuno pensava che l'argomento potesse essere di interesse per il pubblico di oggi.

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Mank: una scena del film con Gary Oldman

D'altronde perché mai qualcuno dovrebbe essere interessato alla genesi di uno dei film più importanti e discussi della storia del cinema? Solo i cinefili continuano a guardare indietro invece che pensare al futuro. Solo i fanatici di un certo tipo di cinema ormai morto e sepolto possono essere affascinati da un personaggio come quello di Herman J. Mankiewicz, sceneggiatore premio Oscar dimenticato dai più, superato per fama e palmares dal fratello minore Joseph L. Mankiewicz (Eva contro Eva), e schiacciato dal talento e dall'ego smisurato di un giovanissimo Orson Welles.

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Mank: una delle prime immagini del film di David Fincher per Netflix

Eppure sarebbe sbagliato etichettare questo Mank come un semplice dietro le quinte del capolavoro del 1941. Così come un ancora più banale biopic di Mankiewicz. Il film è una storia di amore e odio al tempo stesso, un elogio ai grandi autori e ai grandi film della Golden Age hollywoodiana, ma anche una critica feroce e attualissima ad un'industria che, almeno nei piani alti, ha sempre messo in primo piano i propri interessi (economici, politici, perfino personali) e mai l'arte stessa.

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Guardare indietro per raccontare oggi

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Mank: una delle prime immagini del film Netflix

La storia di Mankiewicz, del suo burrascoso rapporto tanto con Welles quanto con il magnate William Randolph Hearst (che ispirò il personaggio di Charles Foster Kane) è storia nota e non troverete in Mank chissà quali rivelazioni o sorprese. Quello che sorprende, semmai, è la capacità dei due Fincher (padre e figlio) nel riuscire ad evidenziare come in quasi un secolo sia cambiato davvero poco o nulla sia per quanto riguarda le dinamiche interne all'industry cinematografica sia per quello che riguarda il mondo dell'informazione e della politica. E se è vero che Quarto potere è da sempre considerato un film davvero immortale, ancora attualissimo oggi, un film come Mank non può che rafforzarne il mito e accrescerne l'importanza, soprattutto per quanto riguarda i temi e la scrittura, spesso schiacciati da una delle regie più rivoluzionarie e chiacchierate di sempre.

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Mank: una scena del film

Ma attenzione, perché avere Mankiewicz come protagonista (per di più interpretato da un maestoso Gary Oldman) potrebbe far pensare ad uno sbilanciamento totale verso il ruolo dello sceneggiatore e del peso degli script all'interno di un progetto fisico. Un altro bel paradosso se consideriamo la fama di David Fincher, altro regista noto soprattutto per il suo stile visionario. Tanto che, ancor prima di vedere il film, potrebbe venire spontaneo quasi accostare padre e figlio alla coppia Mankiewicz/Welles. Eppure di questo "contrasto" in Mank non vi è traccia, anzi: da un punto di vista stilistico il film sembra quasi un prodotto di ottanta anni fa, a partire dal bianco e nero assolutamente perfetto di Erik Messerschmidt, dal montaggio di Kirk Baxter, fino ad arrivare a costumi, sonoro e alla colonna sonora dei fedelissimi Trent Reznor e Atticus Ross. Nonostante il digitale, Mank sembra a tutti gli effetti un film "vecchio", grazie ad una ricercatezza tecnica che ha pochi eguali nel cinema recente, nonché a piccoli tocchi di classe - come le finte "bruciature di sigaretta" o il "saltare" della colonna sonora a scandire la fine dei rulli (che ovviamente non ci sono) - che dimostrano un amore sconfinato per un cinema che da tempo non c'è più.

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"Io sono sempre grande. È il cinema che è diventato piccolo."

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Mank: un primo piano di Gary Oldman

Questa frase, che molti ricorderanno, proviene da Viale del tramonto, un altro grande capolavoro del cinema del 1950. Che già settant'anni fa raccontava con apprezzato cinismo di una Hollywood che era cambiata, che aveva presto dimenticato chi l'aveva fatta grande. Nel vedere questo Mank più volte ci è venuto in mente il film di Billy Wilder, ed è incredibile notare come la celebre frase di Norma Desmond, ex diva del muto, si possa effettivamente adattare non solo al personaggio Mankiewicz, ma in fondo anche all'Orson Welles dei decenni successivi, così come allo stesso David Fincher, regista geniale e rivoluzionario ma poco amato dall'industry stessa, il cui ultimo lungometraggio era datato 2014. Nel frattempo, però, c'erano state (splendide) serie TV come House of Cards, Mindhunter e Love, Death & Robots. Il che è quasi come ammettere che in fondo è tutto il cinema di oggi che si è fatto piccolo, almeno negli schermi, ma non per questo può essere considerato meno grande. Mank ne è l'esempio più calzante ed è proprio per questo che premiarlo con l'Oscar potrebbe essere una vera e giusta rivoluzione.

Conclusioni

Nello scrivere questa recensione di Mank, ci rendiamo conto di quanto Fincher continui a crescere, pellicola dopo pellicola: dopo aver realizzato il più importante film di questo secolo, The Social Network - ovvero il Quarto Potere della nostra epoca - il regista di Seven adesso ci porta indietro alla genesi del capolavoro di Orson Welles, ci mostra la Hollywood che era (e che da quel momento in poi non ci sarà più), rendendo giustizia al genio e al tormento che si nascondeva nel suo vero autore Herman J. Mankiewicz. La sensazione è di trovarsi davvero davanti ad un nuovo capolavoro moderno, una sorta di nuovo Viale del tramonto che è al tempo stesso un tributo ad un'arte che sta morendo ma anche un simbolo di rinascita per una nuova era di cinema che strizza l'occhio al digitale ma non per questo dimentica il passato. Chapeau!

Movieplayer.it
5.0/5
Voto medio
3.8/5

Perché ci piace

  • Tecnicamente superbo, un capolavoro di regia e cinematografia che ci permette di rivivere in pieno l'epoca d'oro di Hollywood.
  • Una sceneggiatura complessa, ben strutturata, ancora oggi rilevante; ricca di momenti e dialoghi memorabili che meritano di essere visti più di una volta.
  • Tutto il cast, Gary Oldman in primis, è al suo meglio: oltre al protagonista a brillare è soprattutto Amanda Seyfried nel ruolo dell'ex star del cinema muto Marion Davies.
  • Gli appassionati di cinema classico ameranno alla follia ogni citazione, ogni riferimento, ogni personaggio presente sullo schermo...

Cosa non va

  • ... ma ovviamente tutto questo potrebbe risultare più ostico per chi non conosce il contesto o magari non ne è particolarmente attratto.