Berretto grigio di lana, pantaloni alla caviglia e calzettoni in bella vista, il regista Dito Montiel si aggira per l'Hotel Excelsior intimidito dall'interesse nei suoi confronti. A dispetto dell'infanzia turbolenta trascorsa ad Astoria, nel Queens, Dito parla con un filo di voce e si entusiasma quando vengono nominati gli attori che ama. Il regista, scrittore e musicista sembra aver conservato una qualità fanciullesca e una modestia che gli permette di gettarsi a capofitto in progetti assai diversi l'uno dall'altro.
Parlando del suo Man Down, che lo ha riunito all'amico Shia LaBeouf, Dito ripete: "Anche se fingiamo che sia un grande film, in realtà è una storia piccola, molto personale. Avevamo un budget ridottissimo perciò abbiamo sfruttato i danni dell'uragano Katrina a New Orleans, in Lousiana, per filmare la nostra città post-apocalittica. Quando parlo di storia piccolo non voglio assolutamente suggerire che sia poco importante. Sono consapevole che il tema della sindrome da disordine da stress post-traumatico sia un tema molto delicato da affrontare e io ho cercato solo di essere il più onesto possibile".
Il ritorno di Shia La Beouf
Man Down racconta attraverso una serie di flashback il dramma del marine Gabriel Drummer, precipitato in un incubo, in una misteriosa guerra totale che ha devastato gli USA e che vede Drummer per le strade, alla disperata ricerca della moglie e del figlio. A interpretare questo personaggio ferito e disturbato è la star Shia LaBeouf. Dito ci racconta cosa ha significato per lui tornare a lavorare con l'amico a quasi dieci anni da Guida per riconoscere i tuoi santi: "Adoro Shia. E' pazzo, ma è anche un grandissimo attore. Questa per me è una grande combinazione. Shia prende le cose molto seriamente e porta sempre qualcosa di inaspettato nei personaggi. Prima di girare avevo un po' di timore, ma è andata molto bene. Inoltre sono riuscito ad avere Kate Mara e Gary Oldman, il sogno di ogni regista. Prima del film non conoscevo Jai Courtney, ma mi ha colpito il suo aspetto. E' davvero imponente". Proprio a Venezia è avvenuto, inoltre, l'incontro col grande compositore Clint Mansell, che ha firmato le musiche di Man Down: "Quando nel 2006 sono venuto qui per presentare Guida per riconoscere i tuoi santi ho incontrato Clint che era a Venezia con L'albero della vita. I suoi lavori sono meravigliosi e lui è un grande artista. Così l'ho contattato per il mio film e lui ha composto una fantastica musica post-apocalittica".
Una New Orleans post-apocalittica
Avendo un budget quasi nullo, il lavoro svolto da Montiel sulle location è stato interessante. "New Orleans ha subito gravissimi danni a causa di Katrina" spiega il regista "e io, non avendo soldi, ho esplorato la città alla ricerca delle location giuste. Abbiamo trovato quartieri con interi isolati piedi di edifici danneggiati perciò non abbiamo ricostruito assolutamente niente. Anche volendo non avremmo potuto. La casa di Gabriel l'abbiamo trovata in un housing project. Al di là della strada tutto era stato distrutto, ma in alcune case vivevano ancora delle persone. Noi abbiamo usato mezzi di fortuna. Andavamo in giro per la città con l'iPhone e quando trovavamo le location adatte registravamo al volo senza recitare. E' terribile, lo so, è un metodo alla Ed Wood, ma è il miglior modo per fare le prove senza perdere tempo. Non abbiamo adattato l'ambiente a noi, ma siamo stati noi ad adattarci all'ambiente. I miei collaboratori hanno fatto un lavoro eccezionale di post-produzione senza essere invasivi. Una cosa che abbiamo dovuto fare è stato usare il blur per cancellare in parte gli sfondi perché altrimenti sarebbero sembrati troppo veri". Anche se Man Down contiene una componente che potremmo definire con le dovute cautele fantascientifica, l'attenzione alla veridicità nella messa in scena della vita dei marines è massima. Lo testimonia la presenza sul set di Nick Jones, ex soldato ora divenuto consulente, che ha contribuito alla buona resa della parte militare. "Ciò che mi premeva" spiega Dito "era essere il più onesto possibile. Gli eventi che mostro in buona parte sono reali. Un giorno, leggendo il giornale, sono venuto a conoscenza della storia di un uomo, un ex soldato, che aveva preso in ostaggio un tassista a New York. La guerra era ancora nella sua testa. Di casi come questo se ne verificano in continuazione".
Il ricordo di Robin Williams
Sperimentatore, capace di passare con disinvoltura da un genere all'altro, Dito Montiel non si fa problemi squando ha la storia giusta da raccontare. Ma se dovesse identificare un elemento comune nei suoi lavori? "Il tema ricorrente è che il fatto che i miei film sono su persone che non riescono a parlare tra loro. Se penso a Guida per riconoscere i tuoi santi, a Boulevard o a Man Down questa è la prima cosa che mi viene in mente". In Boulevard, Montiel ha diretto Robin Williams in una delle sue ultime interpretazioni. Ricordando quel momento, il regista ci confessa che è stato "incredibile. Tutti noi siamo cresciuti con lui. Era un attore incredibile ed era bello averlo intorno per parlare del ruolo. E' stato molto triste sapere che non c'è più". Man Down ha permesso, però, a Montiel di dirigere un'altra granissima star, Gary Oldman. Parlando di lui Dito ci confessa: "Gary doveva stare sul set tre giorni, ma ha finito la sua scena in un giorno solo. Lui e Shia si conoscevano già e quando si sono presentati sul set per girare la scena che li vede l'uno di fronte l'altro avevano già fatto le loro ricerche. Shia è ossessivo. Gary è come Michael Jordan, sa fare tutto benissimo. Vedere due bravi attori che recitano insieme in una stanza è una soddisfazione enorme". Quando gli viene chiesto se c'è un'altra star che vorrebbe dirigere in futuro, il regista si schernisce confessando: "Io sono ancora un fan. Quando incontro Robert De Niro gli faccio le foto e gli chiedo l'autografo. Lavorare con tutte queste persone famose è incredibile. Se dovessi dire un nome, vorrei Christopher Walken".
I guilty pleasures del cinefilo Dito
Pur essendo ormai un regista affermato, con sei film all'attivo, Dito Montiel ha mantenuto una profonda modestia e un entusiasmo per il mondo di cui è entrato a far parte che traspare da ogni parola che pronuncia. "La violenza fa parte dei film perché fa parte della vita" spiega. "Sono cresciuto nel Queens, un luogo piuttosto turbolento, e la cicatrice che ho sulla testa, dove ho ricevuto un colpo di mazza da baseball da piccolo, lo dimostra. Da ragazzo non ho mai lasciato New York, ma ho viaggiato attraverso i film che vedevo. Nuovo cinema Paradiso mi ha lasciato senza fiato. L'ultimo film che mi è piaciuto molto è Love & Mercy. L'ho visto in aereo venendo qui. Non sono orgoglioso di ammetterlo, ma purtroppo mi piacciono i reality show. Guardo troppa tv, lo so che roba come il Grande Fratello è terribile, ma mi diverto. Invece serie come Il trono di spade o The Walking Dead sono troppo per me, non riesco a capirle". Pensando al valore universale del suo Man Down, il regista conclude: "L'America ha un problema. La guerra è dura per tutti, ma io amo raccontare storie che mi coinvolgano in modo personale. Per Boulevard mi sono ispirato al divorzio dei miei genitori, avvenuto quando entrambi erano ormai sessantenni e mia madre ha deciso di lasciare mio padre per rifarsi una vita. Man Down è la storia di un soldato, ma è anche quella di un padre, una moglie e un figlio. Quello che ho cercato di fare è stato raccontare il loro dramma."