Nella vita di ognuno ci sono film che toccano corde dell'animo così profonde da colpire alla prima visione e ci sono registi che con le loro opere riescono a raccontare qualcosa in un modo talmente personale e speciale da lasciare estasiati. Mamoru Hosoda è uno di quelli: grazie al suo modo di raccontare così unico e famigliare, si è imposto nell'olimpo dei registi d'animazione più apprezzati e stimati in tutto il mondo. Non abbiamo usato l'aggettivo famigliare a caso, perché è innegabile che in molte delle opere del regista il tema della famiglia torni ripetutamente: le dinamiche familiari, l'affetto genitoriale e parentale sono spesso protagonisti di storie uniche e delicate che costellano e impreziosiscono una filmografia varia in cui non mancano lavori importanti su celebri franchise dell'animazione. Dai Digimon a Magica Doremi, da Sailor Moon a One Piece fino a Slam Dunk e Dragon Ball Z, passando per una piccola incursione nella pubblicità, Hosoda si è fatto le ossa dimostrando fin dai suoi primi lavori che era un regista con qualcosa da dire, con un'impronta riconoscibile ma non invasiva che era in grado di modulare a suo piacimento.
Dai primi anni del duemila si è dedicato a progetti più personali fino a che nel 2012 con Wolf Children - Ame e Yuki i bambini lupo non ha portato su schermo per la prima volta un film interamente diretto e sceneggiato da lui, una pellicola che è in grado di mostrare al pubblico tutto l'incredibile potenziale di un regista con infiniti mondi e storie da raccontare. Grazie alle presentazione per Alice nella città di Belle, il settimo lungometraggio di Mamoru Hosoda in uscita in Italia il 20 gennaio 2022, si è tenuta nell'ambito della Festa del cinema di Roma una masterclass dove il regista ha potuto ampiamente parlare del suo percorso professionale e delle sue ispirazioni, molte delle quali sono parte del suo vissuto, in una lunga e interessante chiacchierata.
Il percorso artistico prima di diventare regista
Ci si domanda spesso di come un regista sia arrivato ad intraprendere questa particolare professione, del percorso di vita e di quelle particolari influenze che insieme hanno permesso di sviluppare quella creatività ed esperienza necessaria, utile non solo a dirigere un film ma ad esprimere concetti e stati d'animo con i mezzi della settima arte. Hosoda ha raccontato di questo partendo dalla sua infanzia: "Alle elementari sono stato colpito da Lupin III - Il castello di Cagliostro, a quel tempo non era mio desiderio diventare regista ma ero affascinato dal poter creare mondi fantastici e quindi di conseguenza dalla figura del regista. Negli anni successivi ho pensato che la mia carriera potesse essere nella pittura ad olio e ho così frequentato un'Università d'arte. Poi ho incontrato Lo spirito dell'alveare - film del 1973 di Victor Erice - che è un'opera molto concettuale, da lì ho capito che la mia carriera poteva essere quella del regista." L'autore ha poi ampliato il discorso dicendo: "Per fare un film non basta narrare una storia facendo delle frasi. Ci vogliono le parole, la musica, un contesto e bisogna capire come il pubblico recepirà quel contesto. Lo spirito dell'alveare è quasi un film muto ma è molto ricco e profondo. Anche il dinamismo del film è importante. Se dovessi fare una lista di registi che mi hanno ispirato non finirei più, potrei partire da Kurosawa e continuare a lungo. Da studente universitario ho mangiato migliaia di film."
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Dall'animazione al live action e ritorno
Dopo avere espresso, anche in conferenza, le sue perplessità sul live action de La Bella e la Bestia ad opera di Disney, a Mamoru Hosoda è stato chiesto se, dopo l'esperienza di altri nomi noti dell'animazione, anche a lui sarebbe piaciuto lavorare con attori in carne ed ossa: "Non ho nessuna intenzione di fare film in live action, né adesso né in futuro. Il cinema classico ha una storia molto lunga, abbiamo visto tanti capolavori e sono state esplorate tante forme di espressione, mentre l'animazione, che io adoro, ha una storia ancora molto breve e credo non siano state esplorate tutte le sue potenzialità e possibilità. Ovviamente ci sono tanti registi comò Hara e Ōtomo che hanno provato a fare live action e poi sono tornati indietro, ma dal mio punto di vista come fan e penso anche dal vostro, la nostra preghiera è che invece di perdere tempo con la live action si faccia più animazione."
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Quanto influiscono le esperienze personali
Nei lavori di Hosoda traspaiono prepotentemente esperienze di vita vissuta, sensazioni e sentimenti che il regista decide di infondere nelle sue opere. Anche durante la masterclass, nel citare diversi suoi lavori, si è deciso di rimarcare come dal 2012 in poi siano scomparsi gli sceneggiatori esterni ad uso di una narrazione più personale, verrebbe da dire quasi privata, delle sue idee. "Sì, le prime tre opere sono con una sceneggiatrice, Satoko Okudera, ma il mio terzo film, - Summer Wars - è ripreso invece da un tema personale, la morte di mia madre. La sceneggiatrice c'è ancora ma c'è anche molto di mio poiché Okudera non aveva conosciuto mia madre non poteva scrivere del mio dolore o i miei sentimenti. Non posso prevedere il futuro, non so se avrò altre collaborazioni, però sono aperto a qualsiasi tipo di esperienza." Ha continuato poi dicendo: "Rivedendo la scena di Summer Wars della morte di nonna Sakai, mi sono tornati in mente tanti ricordi. Fino ad allora ero orgoglioso di non aver mai ammazzato nessuno nei miei film. È stata la prima sequenza in cui faccio morire un personaggio in una mia opera e mi sono dedicato anima e corpo nel renderla migliore possibile. È stato difficile, ma se vogliamo raccontare la vita di una persona non possiamo sfuggire al concetto di morte."
Dopo Summer Wars Hosoda ha continuato a parlare del concetto di morte e di come le sue esperienze personali, le sue paure, abbiano influenzato il suo lavoro: "Per quanto riguarda Wolf Children, era un periodo in cui io e mia moglie volevamo un figlio e giravamo per gli ospedali. Ero molto insicuro. Una volta avuto un figlio lo avrei visto crescere? Non avevo la certezza che non mi sarebbe successo nulla ed è per questo che la morte nel padre nel film è stata trattata con questa leggerezza: dare troppa drammaticità alla morte mi è sembrato quesi blasfemo. La morte è qualcosa di normale, non c'è bisogno di renderla un elemento drammatico perché fa parte della nostra vita."
Alla domanda, quindi doverosa, sullo stile dei suoi film il regista ha risposto così: "È difficile parlare di stile. Io credo che noi registi dobbiamo avere la volontà di narrare qualcosa per cui dovremmo avere una nostra sintassi, un linguaggio solo nostro. Questo significa che nel montare una scena dobbiamo avere dei nostri tagli: cosa vogliamo esprimere, con che taglio, con che angolatura e con quale tecnica? Se dovessimo solo comunicare una storia basterebbe narrare e comunicare. Ma lo stile di un regista si vede per come esprime il mondo attraverso i suoi occhi ed è per questo che noi ci commuoviamo guardando le opere degli altri autori, perché noi vediamo il mondo attraverso i loro occhi e attraverso il loro modo di percepire."