Mamma ho preso l'alieno
Il cinema, sin dalle sue origini con Georges Méliès, ha sempre avuto un debole per gli alieni, che - nel corso di oltre un secolo dall'avvento della Settima arte - sono stati rappresentati in innumerevoli fogge e modalità, a seconda delle inclinazioni e degli umori delle diverse epoche. Lo sterminato e multiforme campionario extraterrestre di cui si compone l'universo cinematografico può essere però distinto in due fondamentali categorie di base. Da una parte c'è l'alieno invasore e sterminatore, protagonista indiscusso di una gloriosa generazione di film di fantascienza che va almeno dagli anni Cinquanta ai Sessanta, e di recente tornato alla ribalta grazie ai remake di alcuni classici come La guerra dei mondi e Ultimatum alla Terra. Soprattutto a partire dagli anni Ottanta fa invece la sua comparsa sugli schermi l'E.T. L'Extraterrestre tenero e affettuoso, il Fratello di un altro Pianeta giunto messianicamente a portare un messaggio di pace e speranza. Se l'alieno è sempre una metafora dell'"altro", dunque, attraverso queste opposte tipologie finisce per incarnare due diversi aspetti dell'"alterità": ciò che ci è totalmente estraneo (appunto, alieno) e in quanto tale pericoloso; ma anche ciò che, pur essendo diverso, non è inconciliabile con la nostra identità, ma anzi finisce per arricchirla.
Alieni in soffitta combina questi elementi in un curioso mix, innestando degli elementi fantascientifici all'interno della struttura del family movie e del genere d'avventura per ragazzi. Operazione non del tutto nuova, perché - proprio partendo dai modelli spielberghiani di E.T. e Incontri ravvicinati del terzo tipo - nei fatidici anni Ottanta si era diffuso un intero filone che aveva associato le atmosfere sci-fi con il mondo dell'infanzia. Titoli come Explorers del geniale Joe Dante, Navigator, o D.A.R.Y.L., per fare qualche esempio, paiono proprio sottolineare i punti di contatto tra l'alieno (o il cyborg) e un altro tipo di "diverso" (almeno rispetto degli adulti), cioè il bambino. Quanto a tipologie aliene, però, va detto che nel film di John Schultz le piccole creaturine verdastre che atterrano con la loro astronave in miniatura nella placida casa della famiglia Pearson non posseggono tutte la stessa indole. Skip è l'intransigente e baldanzoso comandante di una razza di alieni conquistatori, gli zirkoniani. La sua truppa è composta da Tazer, una sorta di Rambo extraterrestre tutto muscoli e niente cervello (in originale doppiato incredibilmente dal Thomas Haden Church di Sideways) e da Razor, soldatessa dalla lingua affilata almeno quanto le sue armi. C'è però anche Sparks, un tecnico dalle quattro braccia e dai mille talenti (incluso quello musicale) che non condivide per nulla l'approccio guerrafondaio del suo comandante; ma al contrario, come un novello E.T., non esita a fare subito amicizia con la piccola Hannah Pearson. Gli zirkoniani, nonostante la loro minuscola stazza, fanno proprio sul serio, e per colonizzare i terrestri hanno brevettato un congegno (simile a un joypad per console) che gli consente di controllare le menti degli umani e di comandarli a distanza come se stessero giocando a un videogame. Fortunatamente la temibile arma riesce a intercettare solo le onde cerebrali degli adulti: i bambini ne sono immuni. Il destino della Terra sembra così essere nelle mani dei figli di casa Pearson, il brillante quattordicenne Tom e la sorellina Hannah, e dei loro amici Nate, Art e Lee.Gli sceneggiatori Mark Burton e Adam F. Goldberg strizzano l'occhio a commedie per ragazzi come Mamma, ho perso l'aereo o I Goonies, in cui i bambini, di fronte a genitori inconsapevoli o incapaci, sono gli unici a essere in grado di risolvere situazioni pericolose dimostrando intelligenza, responsabilità e maturità. Non è forse un caso che nella gran parte di questi film i piccoli siano costretti a difendere la loro casa da qualche minaccia esterna, come se l'abitazione fosse una sorta di metafora dell'intero nucleo familiare e, in senso più lato, di un'intera nazione. Gli adulti, o peggio ancora gli adolescenti, in Alieni in soffitta finiscono invece solo per fare la figura degli stupidi. L'unica a dare una mano ai ragazzi (più o meno consapevolmente) è nonna Rose, che non per niente viene coinvolta in una delle gag più divertenti del film: "telecomandata" con il marchingegno degli alieni si trasformerà in una campionessa d'arti marziali, compiendo delle evoluzioni acrobatiche in perfetto stile Hero...
Mark Burton, nonostante abbia lavorato alla sceneggiatura di film come Galline in fuga e Wallace & Gromit - La maledizione del coniglio mannaro, qui purtroppo non dimostra la medesima arguzia, e realizza una storia dallo sviluppo convenzionale e prevedibile. Anche la regia dello specialista in commedie John Schultz risulta piuttosto monotona e incolore, incapace di conferire il ritmo adeguato alla progressione delle vicende. Se a questo si aggiunge un design dei piccoli omini verdi non proprio ispirato, con effetti speciali non certo eccelsi se paragonati a quelli degli ultimi blockbuster, si intuisce come Alieni in soffitta sia un prodotto rivolto soprattutto agli spettatori più piccoli, magari in cerca di una serata spensierata in un'arena estiva dopo aver trascorso un pomeriggio in spiaggia.