Lo sporco che si incastra sotto unghie di mani che puliscono, freneticamente, come per eliminare l'ombra di un passato da rimuovere, e una relazione tossica da sgrassare. Pulisce, la protagonista di Maid; pulisce per vivere e per sopravvivere; pulisce con cura, inizialmente in maniera un po' impacciata, per scoprire, come cercheremo di sottolineare nella nostra recensione di Maid, che la vera bellezza si ritrova al di sotto di ogni momento; nascosta sotto la patina di sporcizia di una vita che sembra starci stretta e ammantarci di dolore e solitudine, ecco brillare un barlume di speranza che ci acceca, ci rincuora, ci ripulisce l'anima. Come sottolineiamo in questa recensione di Maid, con estrema semplicità e umanità la nuova mini-serie Netflix attrae e conquista, imponendosi tra i must-see di questa stagione.
SGUARDI DI DISORIENTANTE BELLEZZA
Ispirata al best-seller di Stephanie Land "Maid: Hard Work, Low Pay, and a Mother's Will to Survive" la mini-serie sceneggiata dalla showrunner Molly Smith Meltzer è un viaggio dell'eroe spogliato di naturalismo. In ogni sguardo di Alex, si ritrovano incastonati negli inframezzi dello spazio frammenti di metafore e un universo simbolico che esalta, in maniera sussurrata e implicita, il percorso di rinascita della protagonista. Nessun elemento deve distrarre lo spettatore da farsi testimone di questa resurrezione personale che odora di candeggina. La macchina da presa si ancora allo sguardo di Margaret Qualley, a quei suoi occhi azzurri che si fanno ponte emotivo tra un'anima che ribolle e un ambiente che ora la soffoca, con spazi claustrofobici solamente accennati, adesso l'abbraccia con fare materno e simpatetico. Una dicotomia enfatizzata da primi piani che distorcono la bellezza di un viso schiacciato e deformato da una società che lo respinge solo perché senza lavoro. Il tutto mentre i ricordi si riaffacciano come flash disorientanti, primi piani e sguardi in macchina dati al pubblico con grandangoli, fish-eye, che si ammantano di una patina ironica di dolorosa fattura.
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ARCHETIPI DI UMANITÀ
Archetipi; sai cosa sono gli archetipi? Chiede la madre di Alexandra alla figlia, e in effetti gli indizi iniziali con cui la protagonista viene mostrata al proprio pubblico lasciano presagire una natura di archetipo, quello di un simbolo attuale di riscatto sociale e lotte quotidiane in un'America che conta con estrema cautela l'uscita dal portafogli di ogni singolo centesimo, in perenne corsa contro la povertà. Eppure nell'abbraccio di una fotografia ombrosa, che cerca di attirare a sé, tra le grinfie di una desolante malinconia e abbattimento la giovane Alex, e una luce carica di speranza, a filtrare lo scorrere delle immagini sullo schermo è un senso di caustica ironia, capace di strappare un sorriso nella caduta del baratro. È un'ironia che si fa ancora di salvezza, di spinta personale verso la riva di un limbo personale pronto ad aprirsi a paradiso. Perché ancora prima che povera, Alex è figlia, madre, ma soprattutto donna. Donna che nonostante tutto, si rialza sempre, a testa alta. Senza soldi, ok, ma soprattutto senza paura.
GUIDE TURISTICHE DI ITINERARI DELL'ANIMA
È una caccia al tesoro a tappe, quello compiuto da Alex; un itinerario lungo il cui percorso ogni stop corrisponde a incontri con uomini e donne appartenenti a un passato che ritorna, o spettri profetici di un futuro incerto, che come onde del mare cullano e decidono la direzione da prendere per riappropriarsi di se stessi. Un viaggio dell'anima caratterizzato da macchine distrutte, passaggi offerti, spostamenti costanti su quattro ruote, quasi come se dietro a quei motori accesi e quei volanti che girano, si nasconda il desiderio di rivalsa e di mutamento personale. Passare da un punto A a un punto B della propria vita, è come passare da un luogo a un altro del tutto diverso; si resta uguali pur essendo del tutto diversi. E in questo viaggio introspettivo a caricarsi il ruolo di guida è una Margaret Qualley così coraggiosa eppure così fragile. I pugni tesi fanno a gara con occhi umidi di lacrime pronte a fuoriuscire come onde di un mare in tempesta. Crediamo alla sua Alex, fino a renderla reale, vera, tangibile. In ogni suo gesto, o piccolo accenno di un mutamento espressivo, rintracciamo dettagli di un'esistenza che si eleva a portavoce di una realtà tenuta muta, silente fatta di abusi, incomprensioni, disoccupazioni, e lotte quotidiane. Una fetta di realtà che ci cammina a fianco, ignorata e schiacciata, colpita, rotta, ma non affondata, un po' come il buco sul muro lasciato dal pugno del compagno di Alex.
10 EPISODI DI UNA MINI-SERIE UNICA
- Come il numero delle maglie dei grandi capitani nel mondo del calcio. 10, come i comandamenti biblici. 10, come le dita di mani che si incastrano tra capelli disordinati, o si appoggiano su sguardi stanchi, ma che non si abbattano. 10, come gli episodi di una mini-serie empatica, una giostra di sentimenti gettati con onestà e scevri di falsa o melensa retorica. Maid ci prende, ci conquista, ci ripulisce di quel senso di insofferenza per investirci di luce nel buio della vita. La capacità degli interpreti di vestirsi con gli abiti dei propri personaggi, di abitare la loro pelle, annulla la distanza spettatoriale per immergerli al centro dell'opera. Ogni singolo spettatore si distacca dal ruolo di osservatore passivo per sentirsi parte della storia, ennesimo personaggio incontrato da Alex lungo il suo tragitto personale. Non più solo e soltanto testimone, il pubblico è ora parte integrante dell'opera, immettendosi perfettamente e in maniera discreta tra i battibecchi di Alex e sua madre fuori di testa, o tra la protagonista e il suo ex violento grazie soprattutto a riprese ristrette e unificanti nello stesso spazio di un'inquadratura Alex e le pedine imprescindibili della sua esistenza.
Non si riesce a fare a meno di Maid, così come si riesce a fare a meno di se stessi, delle proprie fragilità e punti di forza. Quella prodotto da Netflix è una mini-serie che non solo racconta ma comunica, stuzzicando l'intelletto e la sensibilità dello spettatore. Strofinando con forza la superficie dell'ipocrisia, Maid fa un lavoro straordinario mostrando come il debito, la vergogna e la burocrazia perseguitano come fantasmi di un futuro passato quella fetta di popolazione meno abbiente d'America.
Conclusioni
Concludiamo la nostra recensione di Maid sottolineando quanto la mini-serie di Netflix sia una perla di rara bellezza. Con semplicità colpisce al cuore, mostrando senza retorica sprazzi di un'America meno abbiente che non deve essere dimenticata.
Perché ci piace
- La semplicità del racconto.
- Le performance degli attori.
- La fragilità di Margaret Qualley.
- L'uso dei primi piani.
Cosa non va
- Non aver indagato a fondo il rapporto con il padre.
- Che finisce.