Scrivere delle atrocità dell'Olocausto senza scivolare in una retorica banalizzante e svilente è obiettivo primario e sfida tortuosa. La stessa premura vale anche per il cinema, forma d'arte che si è misurata innumerevoli volte con la rappresentazione, il ricordo o la ricostruzione della persecuzione messa in atto dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale con altalenanti risultati spesso dettati proprio da un'eccessiva sottolineatura. Un'insidia nella quale è facile perdersi ma che conta anche titoli in grado di rievocare con una potenza sconvolgente il momento più tragico della Storia del XX secolo come la meravigliosa opera prima di László Nemes, Il figlio di Saul, con la quale il giovane regista ungherese vinse il Golden Globe ed il Premio Oscar per il miglior film straniero del 2016.
In questi giorni che si avvicinano alla Giornata della Memoria in un momento storico che vede nuovamente il cuore dell'Europa, le nostre coste e la Siria dilaniati da un altro genocidio del quale, questa volta, non potremmo dire di non sapere, arrivano in sala diversi film, da Nebbia in agosto a Il viaggio di Fanny, per raccontarci nuovi dettagli e nuovi eroi stra(ordinari) protagonisti di una resistenza più forte di ogni barbarie perché sorretta dall'amore, in ogni sua forma. Come la storia di Francesco Lotoro e la sua missione: rintracciare, archiviare ed eseguire tutta la musica composta nei campi di concentramento dal 1933 al 1945.
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Resistenza
Le gesta del cinquantaduenne pianista e compositore di Barletta ci vengono raccontate nel documentario di Alexandre Valenti, Maestro, con il quale il regista argentino ci permette di conoscere l'incredibile storia di Lotoro, fatta di passione e testardaggine, iniziata a Praga oltre vent'anni fa grazie alla scoperta casuale di uno spartito composto in un lager. Da quel giorno il pianista pugliese è riuscito a "salvare" oltre 4000 spartiti riaffiorati da ogni angolo del mondo. Valenti ci mostra la sua battaglia contro il tempo per rintracciare gli ormai anziani musicisti, un tempo prigionieri nei vari campi di concentramento, e permettere a quelle melodie taciute di prendere vita. "Trovata, la musica si redime, si dà una giustizia che i suoi compositori non hanno avuto" racconta Lotoro nel documentario dal quale emerge come una sorta di supereroe/detective che invece della maschera indossa un paio di guanti per maneggiare con emozionata premura quegli spartiti di fortuna.
Sacchi di iuta, stoffa, pezzi di carbone, carta igienica o semplicemente la memoria, tramandata di generazione in generazione, sono gli strumenti sui quali musicisti, direttori d'orchestra ma anche soldati o prigionieri politici delle più diverse origini hanno composto musiche durante la loro segregazione come atto di resistenza. Così seguiamo il Maestro nelle varie tappe del suo viaggio che da Parigi ci porta a Gerusalemme passando per Brasile e Slovacchia alla scoperta di storie, di vite e persone sempre diverse, che nella maggior parte dei casi non ci sono più, accomunate tutte dalla stessa esigenza di creare, di trasformare in note la loro esperienza. E tra i meriti del documentario di Valenti c'è proprio questo, mostraci cioè, non solo l'enorme e necessario lavoro di Lotoro, ma anche la coesistenza di orrore e fantasia, di vita e di morte combattuta attraverso note scritte di nascosto su pentagrammi improvvisati.
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Un atto eroico
Il regista argentino non indugia con sterile voyeurismo sul racconto o l'esibizione di quello che accadeva nei lager nazisti, concentrando tutto il suo lavoro sulla ricerca affannosa di Lotoro e l'ampliamento del suo consistente archivio musicale, riducendo all'osso l'uso di immagini di repertorio e ponendo l'accento sulle composizioni dei musicisti deportati. Sebbene la sua non sia una regia dal taglio incisivo o visivamente rimarchevole, Maestro, risulta coinvolgente perché capace di trasmettere tutta l'urgenza e l'incessante sforzo del pianista nel ricostruire ciò che sembrava perduto. Con la sua orchestra di musica concentrazionaria, Francesco Lotoro porta nei teatri di tutto il mondo la musica che rischiava di restare intrappolata in quei campi di prigionia, facendo rivivere Josef Kropinski, Gideon Klein, Rudolf Karel, Wally Loewenthal Kaveno ma anche quella madre che non c'è più e senza la quale tutto questo non sarebbe stato possibile.
Movieplayer.it
3.0/5