Un passo indietro, verso le porte di un'Europa che non esiste. Un'Europa ingoiata dalla corruzione, che sfrutta a proprio piacimento la struttura burocratica, e poi un'Europa nel quale soccombono gli ideali di apertura, condivisone, opportunità. Un passo indietro, quello che fa Daniel Espinosa, regista svedese che, nella puntualità di un racconto teso, atterra in Calabria costruendo un film sbilenco, ma di enorme rilevanza sociale. Dall'inferno al purgatorio, Madame Luna è lo specchio di un circolo chiuso, tra centri accoglienza, criminalità e caporalato.
E allora, vedendolo, non può che non risalire in superficie la stretta attualità che vede nella tragedia dei nuovi schiavi la morte assoluta dei valori occidentali. Il dramma disumano di Satnam Singh, le morti in mare, gli assurdi centri accoglienza da costruire in Albania. Perché è più facile ghettizzare che accogliere, è più comodo spaventare che informare. Madame Luna, attraverso una protagonista controversa e per questo efficace, concentra uno spaccato sociale e civile, scoperchiandone gli aspetti più brutali e disperati, senza mai strumentalizzarli come farebbe l'ennesimo politicante di turno.
Madame Luna, la trama: la conflittualità di una grande protagonista
Ora, dietro la regia asciutta, e l'ottimo approccio cinetico, la cosa più interessante di Madame Luna è il profilo sfumato della sua protagonista, Almaz (Meninet Abraha Teferi, che brava), una ragazza eritrea sbarcata in Calabria dopo la caduta del regime libanese. Almaz, parla diverse lingue, è determinata e, soprattutto, ha un passato da trafficante di esseri umani. Per arrivare in Italia ha affrontato lo stesso viaggio attraverso il Mediterraneo che affrontano molti nord-africani come lei, riuscendo a sopravvivere all'ennesima tragedia in mare, ormai cronaca di una realtà che facciamo finta di non vedere.
Almaz, collocata in uno dei tanti centri accoglienza calabresi, siede al tavolo dei bianchi. Va alle feste, gestisce i gruppi di braccianti, massacrati e umiliati sotto il sole, e inizia a farsi largo all'interno del sistema criminale che specula sull'accoglienza di coloro che cercano una seconda opportunità. Quando incontra Eli (Hilyam Weldemicheal), ragazzina con un fratello ancora disperso in Africa, le cose cambiano: per la prima volta, dovrà guardare in faccia sé stessa.
Dalla parte dei sopravvissuti
E non è un caso che la macchina da presa di Daniel Espinosa, durante la prima parte, segua Almaz di spalle, senza inquadrarla quasi mai in primo piano. Il regista sfoca i personaggi circostanti, altera lo sfondo, pone la protagonista al centro di un percorso sospeso tra la terra e l'acqua (simbolo forte, tra l'origine e il cambiamento), senza mai lasciarla. Nevralgica, sostanziale, imprescindibile. Solo dopo, quando gli estremi si assottigliano, lo sguardo del regista sembra aprirsi, ammorbidendosi, accettando la conflittualità, e quindi esplicando le complicate ragioni di una donna in lotta per la sopravvivenza. Essenzialmente, Madame Luna, è un film di incubi, di scelte, di panorami desolati e desolanti, frutto di una voglia da parte del regista di cercare una sorta di redenzione, e una specie di accettazione rispetto al suo cammino.
Per questo, Espinosa, sposta l'attenzione verso la morale dell'istinto e della stessa sopravvivenza, ereditando (e proteggendo) le parole scritte dalla sceneggiatrice Suha Arraf, rifugiata palestinese, che ha firmato la storia insieme a Maurizio Braucci, autore di Gomorra. Uno script che, probabilmente, almeno nel finale, tende a squilibrare il centro, ma preserva una coerenza di racconto che apre alla speranza, e quindi al futuro. Dalle spalle agli occhi, dalla rabbia all'anima, i fantasmi e quel perdono, in nome di un cinema di puntualissima rilevanza. Una narrativa che sceglie di essere adulta e diretta, che predilige il punto di vista, senza la paura di portare in risalto una terra consumata dai conflitti e dalla violenza. Insomma, Madame Luna è cinema che sceglie consapevolmente cosa sia giusto raccontare. È cinema d'impegno, è cinema di posizione ed è cinema di realtà, dalla parte dei sopravvissuti, e di tutti coloro che non smettono di lottare per la propria dignità.
Conclusioni
Attuale, oscuro, reale: dietro una traccia crime, che si avvinghia lungo il finale, Madame Luna di Daniel Espinosa funziona nel suo approccio al tema, diretto e lucido nell'affrontare l'altro lato (quello vero) dei centri d'accoglienza per migranti. Una storia di sopravvivenza, di violenza, di desolazione, ma anche di speranza e di coraggio. Ottima la protagonista, stratificata e controversa, interpretata da Meninet Abraha Teferi.
Perché ci piace
- L'interpretazione misurata di Meninet Abraha Teferi.
- L'approccio al tema.
- L'attualità raccontata.
- La regia, presenta ma non invasiva.
Cosa non va
- La traccia crime funziona poco.