Con l'approdo alla terza stagione (appena conclusa) il mondo pare essersi accorto di Mad Men, serie sublime ma con seguito di nicchia, nonostante l'incetta di premi prestigiosi che riceve di stagione in stagione. Eppure, al di là di un maggiore clamore, specie negli States, per le vicende di Draper e soci, nulla è cambiato (fortunatamente) nella serie di Matthew Weiner che si conferma miracolosamente in una terza stagione assolutamente impeccabile.
Avevamo lasciato la seconda stagione con barlumi di un nuovomondo che fatica ad affermarsi. Un mondo in cui la gerarchia sociale e il maschilismo danno segni di cedimenti e il mondo rischia il collasso per la crisi con Cuba. Ma soprattutto avevamo lasciato La Sterling&Cooper nella mani degli inglesi, con Herman "Duck" Phillips traghettatore segreto, Roger Sterling alle prese con un divorzio e Don Draper riaccolto in famiglia da Betty che gli confessa di essere in cinta di un terzo figlio.
Successi che gli forniscono ancora quell'aurea di intoccabilità che sperimenta il declino a causa soprattutto del rapporto che instaura con Conrad Hilton che segna la perdita della sua libertà, con la firma coercitiva del contratto con la Sterling&Cooper e l'indurimento della sua linea che lo porterà al licenziamento di Salvatore e alla dura reprimenda di Peggy.
Ma Draper è soprattutto costretto a fronteggiare la definitiva crisi con Betty, innamorata di un altro uomo e venuta a conoscenza del passato segreto del suo lavoro, in uno dei confronti più toccati e penetranti che gli show televisivi possano annoverare, con un Jon Hamm mastodontico. Una crisi che inizialmente sembra governabile che ma che si dimostra irreparabile nel season finale, dove con un episodio di rara perfezione, diretto da Matthew Weiner stesso, gli autori segnano la fine del sogno della Sterling&Cooper e un nuovo inizio, in una stanza di albergo, con Draper costretto a pregare l'odiato Roger Sterling, ma anche Penny che gli rinfaccia di considerarla il suo cagnolino e perfino Pete Campbell, per alimentare un nuovo miraggio. Ma l'immunità, quella coltre di protervia e imperscrutabilità è andata ormai perduta, nell'ammissione stessa delle sue necessità e della sua volontà di essere ancora un pubblicitario. Ma è stata ovviamente anche la stagione di Betty che sconta la definitiva perdita di quella felicità acritica e da cartolina che già da molto le stava stretta. Stanca del comportamento del marito, depressa dalle incombenze domestiche e dalla perdita del padre si innamora di un altro uomo che la vuole sposare. Ma è una Betty ormai sopraffatta dal suo percorso; algida e depressa, incapace di esprime affetto anche verso i suoi figli, che comanda a bacchetta senza passione.
Grande lavoro di scrittura anche su Pete Campbell la cui meschinità piccolo-borghese perfettamente bilanciata nella figura della moglie, viene mitigata da un approfondimento della sua psicologia, tale da farne il personaggio di contatto col mondo reale; il portatore di qualche valore autentico, come nella scelta di non partecipare al matrimonio della figlia di Sterling, nel giorno successivo alla morte del Presidente Kennedy. Non è un caso, che quando si chiude il cerchio lui è dentro e i suoi colleghi no (con l'esclusione di Harry Crane in realtà più per la sua centralità narrativa come addetto al settore televisivo, che per il carisma del suo personaggio) omaggiato del titolo sulla targa per la sua capacità di guardare avanti.
Come ovviamente la sublime Joan che ha lasciato tutti un pò più vuoti quando ha abbandonato a metà stagione l'agenzia, seguendo il fallimentare percorso di un marito, semplicemente sbagiato per una donna della sua personalità e sensibilità, che sembra riavvicinarsi a Sterling sempre più annoiato e disincantato, ma capace di costruire un rapporto più profondo, proprio con la sua ex amante. E Peggy, naturalmente i cui parallelismi con la figura di Don si fanno più sfumati, nel fuoriuscire di una personalità ambiziosa e sorprendente, capace di trasferirsi a Manhattan e di finire nel letto di Duck (che medita ancora vendetta, cercando di incorporare lei e Pete in una nuova agenzia) rifiutandone però l'offerta di abbandono della Sterling&Cooper, nonostante i contrasti con Draper.
Infine il volto nuovo di Archie Whitman, amministratore tipicamente british che conquista con il tempo un suo spazio e un ruolo decisivo sull'ultima svolta. La terza stagione ci immerge ancora una volta nel quotidiano di personaggi apparentemente distanti con una maestria da lodare senza remore. Mad Men è una serie miracolosa perchè racconta la società americana e quel cambiamento definitivo di rotta, apostrofato sempre con un pò di retorica dall'immagine della perdita dell'innocenza, senza didasclalismi o enfatismi di nessun tipo, ma sorreggendosi su una scrittura ineguagliabile per profondità e sottigliezza. Non c'è nulla di più errato nel vedere in Mad Men solo una serie elegantemente fredda, protetta sotto il tetto di un formalismo algido e perfezionista, perchè al di là della sublime confezione, oltre il fascinoso cotè da meledramma sirkiano, oltre la sublime compostezza stilistica, o la ricercatezza scenografica, c'è un mondo di personaggi e di tematiche che travalica il filtro della fiction e del voyerismo e sedimenta nel cuore dello spettatore. Mad Men non urla e non prende posizione; osserva e tratteggia senza avere mai fretta. Si prende i suoi tempi ma arriva sempre al punto, con lucidità e anche ardore, capace di raccontare una situazione o un personaggio attraverso un' occhiata o un dettaglio, forte di un fuori campo che lascia spesso senza fiato. Basta un sospiro, uno sguardo rubato, uno squillo di telefono, un vaso spaccato o una scatola finalmente aperta. E quando, dopo aver fatto i conti con la società che gli si pone davanti e le meschinità dei suoi personaggi, li rinchiude in una stanza di albergo ad inventarsi il futuro, si ha come la sensazione di essere tornati di nuovo a casa. Nella Sterling-Cooper-Draper-Crane-Campbell.