Faceva caldo quel giorno di settembre quando la notizia iniziò a circolare. Gocce di sudore correvano lungo le fronti di chi, con curiosità, si immergeva tra i pixel del proprio smartphone per scorrere le parole che annunciavano l'arrivo sul piccolo schermo di M. Il figlio del secolo, tratto dal primo volume della trilogia a opera di Antonio Scurati. Saranno i tempi che corrono, ma una domanda ha iniziato sorgere spontanea e riempire la mente e la bocca di molti: "ma c'è proprio bisogno di una serie su Mussolini?.
La risposta è stata data dagli stessi sceneggiatori nel corso dell'incontro di presentazione di M. Il figlio del secolo all'interno del fitto programma della 17.esima Festa del Cinema di Roma. "Non vogliamo stilare un racconto politico" sottolineano Stefano Bises e Davide Serino, "anche perché troppa elucubrazione circa i modi su come fare un racconto fa male al racconto stesso. Il risultato che ne conseguirebbe è che non c'è più racconto. Quello su cui abbiamo posto la nostra attenzione è stato lasciare fuori le ideologie, anche perché un giudizio su tale personaggio è stato già emanato dalla Storia. Il pensiero finale circa questo racconto, e per esteso su tutto ciò che ne è correlato, sarà lasciato allo spettatore".
La serialità che verrà
Sembra quasi paradossale e ucronico parlare di un qualcosa che ancora non c'è, che vive tra gli spazi di parole lasciate impresse sul foglio di un pc. Lo ammette con ironia anche il regista designato a tradurre in realtà le pagine di Scurati, Joe Wright, il quale con innocenza ammette "non so sinceramente cosa potervi raccontare, anche perché non ho girato niente". Ciononostante quello che traspare da queste piccole anticipazioni è un lavoro di grande rigore e serietà compiuto da ogni singolo componente all'interno di un team che aspira a regalare al pubblico un'opera coinvolgente, trascinante, unica, proprio come il romanzo da cui è tratta.
Unione di linguaggi
Certo, dobbiamo aspettare ancora un po' per raccogliere gli sforzi e rilevare se quanto promesso da questo incontro abbia o meno trovato una propria corrispondenza sul piccolo schermo. Suddiviso in otto episodi, ma concepito - come ha sottolineato lo stesso Wright - "come un unico film", M. arriverà sulle frequenze di Sky il prossimo anno. Saranno sei i mesi di lavoro che vedranno coinvolti ogni membro della troupe per realizzare una serie di produzione internazionale, ma totalmente recitata in lingua italiana. Una scelta coraggiosa, questa, soprattutto per un regista come Wright che non parla italiano, ma che di certo non gli ha precluso di accettare con interesse questo progetto. "Vi posso spiegare il perché non mi sia tirato indietro davanti a questa sfida, soprattutto linguistica, in due modi. La prima spiegazione la rubo ad Alfred Hitchcock, il quale diceva che il dialogo non è altro che un suono fra gli altri, qualcosa che esce dalla bocca delle persone, i cui occhi raccontano la storia per mezzo di espressioni visive. Sono le immagini che parlano per me, più che le parole e la lingua. La seconda risposta si rifà a una mia esperienza personale. Ero da solo in una stanza di albergo a New York per presentare un film che, ahimè, non ha riscosso successo. In quella settimana non ho visto molta tv, se non la prima stagione di Gomorra e l'ho trovata di una scrittura incredibile. E da qui capite bene il perché io abbia voluto lavorare con chi quei dialoghi li ha scritti". Ma ad aiutare Wright a superare la barriera linguistica non è solo il proprio team tecnico, lo stesso che circonda il regista anno dopo anno e che comprende molti italiani (tra cui il montatore Valerio Bonelli), ma anche il coinvolgimento dello stesso Luca Marinelli. "Mi fido molto di Luca" ha affermato a tal proposito il regista circa "un attore che trovo molto linguistico e vocale".
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L'involuzione umana
Seguendo lo stesso periodo storico tracciato da Antonio Scurati nel romanzo, la serie verterà su un giovane Mussolini che dalle fila socialiste finisce per fondare, nel 1919, i fasci di combattimento, passando poi alla Marcia su Roma del '22, per concludersi con il delitto Matteotti nel 1924-25. Non una scelta casuale, questa, ma decisa a mostrare quello che è stato non solo il primo passo per M. nel campo della dittatura, ma anche e soprattutto il momento in cui l'uomo si trasforma in Duce, raccogliendo tra le mani il potere e, con esso, il destino dell'Italia. Come hanno voluto evidenziare gli stessi sceneggiatori, Stefano Bises e Davide Serino, quello che comparirà sullo schermo sarà "un Mussolini meno noto, che non ha ancora assunto quell'iconografia consegnata poi ai posteri, raccontato senza omissioni, o censure". Ne consegue una serie complessa, la storia di una trasformazione da uomo a dittatore, da socialista a mostro (la stessa già affrontata da Bellocchio in Vincere), ma che ancora - ricordiamolo - non c'è. Già, perché le riprese di M. Il figlio del secolo inizieranno tra tre settimane (quindi verso metà novembre) negli studi di Cinecittà. Un'impresa produttiva complessa, che vede l'unione delle forze di, SKY, la The Apartment di Lorenzo Mieli e Pathé. Un abbraccio di più visioni, nazioni e punti di vista per raccontare una pagina di Storia spesso dimenticata, o addirittura mai studiata, perché è solo assimilando e comprendendo il nostro passato che si possono evitare gli errori e gli ostacoli nel presente.
Joe Wright: la cinepresa che riscrive le parole
Ci sono registi che fondano la propria immaginazione sulla forza di parole modellanti universi nuovi e inediti. E ce ne sono altri che, sfruttando la bellezza di pagine scritte da altri, creano mondi comunque nuovi, ma fedelmente simili a quelli di partenza. Sono registi che senza tradire il cuore da cui traggono ispirazione, sfruttano appieno la propria forza iconoclasta per lasciare libera la propria fantasia, e il proprio stile autoriale, e donare un nuovo punto di vista a queste storie. All'interno di questo ristretto novero di registi, a farsi sempre più largo è il nome di Joe Wright, autore non solo capace di dar vita a romanzi classici come Orgoglio e Pregiudizio, Anna Karenina, o il musical Cyrano, (senza dimenticare l'adattamento struggente di Espiazione) ma rinnovando il costrutto narrativo attraverso messinscene originali ed eleganti. Quella di Wright è una cinepresa che riscrive pagine altrui con la forza della propria immaginazione; a metà strada tra le pagine di storia con la S maiuscola, e quella di un autore come Scurati, la macchina da presa del regista inglese adesso è chiamata a tradurre visivamente passaggi complessi, eventi ombrosi. Una regia, la sua, che "non vuole imporre la propria visione, ma lascia che sia l'opera a rivelarsi per quello che vuole essere". Così come il Winston Churchill de L'ora più buia si è mostrato per le sue fragilità, le stesse che lo hanno detronizzato da quell'immagine iconica di perfezione e santità, non sorprende se con M. Il dittatore lasci spazio a quell'aura nefasta nascosta dietro a un allure di mascolinità. La stessa che - come afferma Wright - "ha perpetrato l'idea di M come uomo e dittatore che stabilisce una relazione di empatia e seduzione rispetto alla massa. Proprio per capire una figura cosi complessa bisogna comprendere la sua involuzione. Ciononostante credo che qualcosa circa la mascolinità che si è imposta nella vita e nel volere di M. mi abbia fatto pensare al mio senso di mascolinità, a cosa mi piace e cosa no. È un personaggio carismatico e interessante, M., ma che nasconde un vuoto al suo interno, una falla di cui molto sarà rivelato man mano che lavorerò sulla serie".
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Creare il mostro
Sebbene le riprese di M. non siano ancora iniziate, la serie vive ed esiste tra le pagine della sceneggiatura. La stessa sceneggiatura che ha permesso a Wright di entrare nel progetto. Ma qual è stata la sua prima reazione finita la lettura dei primi due episodi? "Onestamente? Ho pensato 'ehm no..., forse no'. Ma il fatto è che sono sempre stato affascinato da quel periodo. Anche per questo non appena mi viene data la possibilità, la accetto. Per me non è solo lavoro; accettare di trattare un periodo come quello del primo Novecento diventa per me anche sintomo di apprendimento. Il mio non è solo dirigere, ma immergermi completamente nell'opera e del suo tempo storico, senza imporre il mio punto di vista, ma lasciando che la narrazione si racconti da sola. Studio, faccio ricerche, prendo queste occasioni come metodo di formazione perché mi sono accorto che ho molte lacune circa quel periodo e mi piace sempre scoprire qualcosa in più. Progetti come questo sono per me delle spinte ulteriori per studiare, analizzare i vestiti, o la velocità con con cui si parlava al tempo, reiterando lo stesso modus operandi che ho seguito per Orgoglio e Pregiudizio, o Espiazione".
Un interesse particolare circa la lingua da non sottovalutare, soprattutto nei termini di un personaggio come M. fortemente intenzionato alla nazionalizzazione del paese. "In Inghilterra" afferma Wright, "gli attori giungono a Londra da tutte le parti del paese per studiare e per recitare con quella che è denominata la RP - _Received Pronunciation - che nessuno parla veramente nella vita reale. In M. voglio che la gente parli con l'accento del posto da cui proviene, perché è questo ciò che voglio, la perfetta adesione con la realtà, altrimenti non si capirebbe il forte tentativo compiuto da M di unire, soprattutto sul fronte linguistico, l'Italia_". Partendo da questa breve presentazione, M. Il figlio del secolo si presenta pertanto nei termini di un'operazione volta alla verosimiglianza, all'adesione storica, compiuta affidandosi anche alla commistione di vari generi e alla portata impattante delle immagini sulle quali, e con le quali, raccontare la storia: "l'altro giorno stavo parlando con Guillermo Del Toro che mi raccontava come spesso metta in conflitto generi diversi per vedere cosa riesce a tirarne fuori. Ecco, è proprio questo il mood espressivo a cui aspirerò, un un'unione tra un techno-live show esteticamente astratto, e un film gangster alla Scarface - Lo sfregiato di Howard Hawks".
Il backstage della storia
Un giudizio è già stato già emanato, sia verso il periodo che M. andrà a trattare, che anche e soprattutto circa quella figura ingombrante che l'ha caratterizzato. Quella intrapresa dagli sceneggiatori si è presentata pertanto come una doppia sfida: da una parte hanno tra le mani un'opera conosciuta e apprezzata, come quella di Scurati. Dall'altra la Storia, conosciuta o meno, da trattare con i guanti ma restando fedeli alla sua resa reale. Quello che ne deriva, come ricordato anche dagli stessi sceneggiatori, è stato ritrovare tra le pagine di Scurati "l'idea dell'autore di vedere la storia dalla parte di chi non l'aveva mai vista. Vien da sé che la prima domanda che ci siamo posti è stata quella riguardante il modo attraverso cui trasformare quel continuo scambio di voci che tanto contraddistingue il libro in un racconto fluido, trascinato in primis da M sia in qualità di personaggio, che di materiale audio-visivo. Ogni pagina è stata letta, senza tradirne il senso, sebbene qualcosa sia sempre stato sacrificato per rendere tutto comprensibile. In particolare, ci siamo focalizzati sulla costruzione della dittatura, tra ascese, cadute, e continui sliding doors che hanno permesso da una parte a Mussolini di governare l'Italia, e dall'altra al paese di non sbarazzarsi di lui, perché ignaro della portata di un'epoca che sta cambiando. I tagli sono inevitabili, soprattuto ai danni di quegli elementi superflui alla costruzione del racconto, ma dovevamo compierli, altrimenti non avremmo trovato quel giusto equilibrio di toni che andavamo cercando. Non mancherà certo il rapporto con la violenza, tra necessità di praticarla e volontà di ripudiarla. Ne deriva una continua lotta interiore all'interno di questo personaggio di due parti agli antipodi e che vanno a incarnare (insieme ai personaggi che lo circondano) anime dicotomiche e fondanti il Fascismo. M voleva essere amato, e l idea che questa adesione non fosse libera ma generata dalla violenza lo destabilizzava".
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Conoscere la storia per vaccinarsi per il futuro
Quella di Antonio Scurati è un'opera monumentale, composta da grandissime scene che si presentano perfettamente allo schermo. Un'opera su un personaggio "carismatico", ma indubbiamente ingombrante da trattare, soprattutto visti i tempi che corrono. La responsabilità di maneggiare un personaggio del genere deve sentirsi costantemente; aleggia ovunque, tra i tasti del computer, nella sala di scrittura, sul set. Separare il giudizio politico non è semplice, ma quello qui inseguito è il concetto di Storia, senza scadere in nessun tipo di finzione. Se c'è un elemento trainante all'interno di un'opera come questa, scevra di censure è - come vogliono evidenziare gli sceneggiatori - la sorpresa da parte del pubblico di trovare autonomamente degli elementi di contemporaneità tra i raccordi del passato. "Il pubblico è intelligente, sa cogliere da solo se vi sono dei collegamenti tra il proprio tempo e quello che scorre sullo schermo". Un pensiero comune a cui Stefano Bises e Davide Serino vogliono aggiungere che "il nostro unico approccio possibile è quello di non essere giudicanti, o moralisti, altrimenti una materia così non la puoi trattare, finisci a dar vita a un racconto che non serve a nulla. M. È soprattutto un racconto sulla distruzione della democrazia attraverso la democrazia. Di esempi del genere ne abbiamo avuti, e ne continuiamo ad avere continuamente nel mondo, tanto ieri, come oggi.
I programmi scolastici spesso arrivano per il rotto della cuffia a questi eventi, anzi a volte non li affrontano nemmeno, quindi ben vengano opere come queste per dar voce a eventi sanguinari e alla restituzioni di un periodo storico che ieri come oggi è fondamentale conoscere. Perché conoscere queste storie fa anticorpi per non ammalarsi nel prossimo futuro".
M. Il figlio del secolo arriverà su Sky in otto episodi il prossimo anno.