Si aggiunge un nuovo tassello al complicatissimo mosaico della vita di Lupin III, il geniale e funambolico ladro gentiluomo creato negli anni '60 dal mangaka giapponese Monkey Punch e ormai entrato nell'immaginario collettivo.
Praticamente in contemporanea con l'uscita originale è ora disponibile su Prime Video la miniserie in sei episodi Lupin Zero, in cui facciamo la conoscenza con un Lupin appena dodicenne. Ecco la nostra recensione.
Così piccolo e già così delinquente
Nel Giappone del dopoguerra un ragazzino particolarmente esuberante passa le giornate escogitando piccole truffe e prendendosi gioco dei suoi compagni e dei professori. Il suo nome è Lupin, viene da una famiglia agiata ma ha un carattere ribelle e attaccabrighe. Casualità vuole che incontri un altro studente la cui reputazione è addirittura peggiore della sua: un tipo solitario dal passato misterioso e l'atteggiamento spavaldo di nome Jigen.
Quando Lupin assiste a una rissa tra Jigen e un gruppo di teppisti, che Jigen risolve mettendo addirittura mano a una pistola, Lupin decide di voler fare a tutti i costi conoscenza con questo strano e pericoloso soggetto.
Il primo approccio non è dei migliori: per Jigen, che ha avuto una vita difficile, trascinato in giro per il mondo da un padre che lo ha reso praticamente un criminale in erba, Lupin è poco più di un ricco e viziato idiota.
Ma anche Lupin nasconde un segreto: è il giovane nipote e possibile erede spirituale di Arsene Lupin, il più famoso ladro del mondo, addestrato dal nonno nell'arte del furto e dotato di un'intelligenza e di un'agilità fuori dal comune.
Tuttavia il giovane Lupin è sempre più insofferente nei confronti delle aspettative della sua famiglia, ed è deciso a farsi strada nel mondo alle sue condizioni. Per questo ha deciso che Jigen è il compagno perfetto per le sue scorribande, e inizia a trascinarlo in avventure sempre più folli e sconsiderate.
Col passare del tempo il legame tra i due ragazzi diventa più saldo e profondo.
Lupin e Jigen imparano a fidarsi sempre più l'uno dell'altro e ad apprezzare i rispettivi pregi e difetti, fino a dar vita a una coppia di avventurieri che, per quanto giovani, sono capaci di dar filo da torcere a chiunque.
Lu-Lu-Lu-Lupin
Per quanto il personaggio sia diventato, nei suoi quasi sessant'anni di vita, quasi un archetipo immediatamente riconoscibile, la storia di Lupin III è incredibilmente complessa e le sue caratteristiche mutevoli e inafferrabili quasi quanto lui.
Dalla sua primissima incarnazione nelle strisce a fumetti degli anni '60, dalle connotazioni molto adulte e beatnik, fino alle versioni più comiche e slapstick (come la versione "giacca rosa), attraverso trasposizioni anche in live action, Lupin III ha saputo conquistare, assieme al suo gruppo di amici/complici/avversari, un posto d'onore nell'immaginario pop degli ultimi anni, tanto da sopravvivere anche alla scomparsa del suo creatore.
Se con gli anni le notizie sulla natura stessa del ladro gentiluomo si sono succedute e accavallate, anche con palesi contraddizioni (incluso il colpo di scena visto in una delle ultime serie, in cui abbiamo scoperto che quello che abbiamo sempre creduto fosse il suo volto è in realtà una maschera), mancava in effetti una cronaca dei suoi esordi nel mondo del crimine, appena accennata nei capitoli "Confessions" del manga originale.
Prendendo spunto da quei pochi capitoli, il regista Daisuke Satō e lo sceneggiatore Ichiro Okuchi, hanno optato per una riscrittura rispettosamente filologica del personaggio, mantenendo intatto lo spirito anticonformista e profondamente ribelle dell'originale, tanto dal non farsi scrupoli a mostrate, contestualizzandole, scene in cui i due protagonisti poco più che adolescenti bevono, fumano e si danno a bagordi e imprese che farebbero probabilmente inorridire molti benpensanti contemporanei.
Anche lo stile grafico, con il character design di Asami Taguchi, che come il regista aveva già avuto modo di confrontarsi con il mito di Lupin III in altre serie, è praticamente una copia carbone dello stile della primissima e storica serie animata, con tanto di giacca verde indossata dal protagonista alla fine della miniserie e a coronamento della sua trasformazione da semplice ragazzino a Lupin III.
Se però lo sviluppo dell'amicizia tra Lupin e Jigen è decisamente ben raccontato e fa da motore dell'intera serie, il carattere dei due personaggi non evolve: quando li conosciamo sono già, in spirito se non nell'aspetto, il pistolero taciturno e il geniale sbruffone che abbiamo imparato ad amare negli anni.
Anche il design di Lupin risulta, purtroppo, poco incisivo e privo di mordente, appiattendolo su un'estetica shonen (inclusa una folta e poco caratteristica capigliatura) che fa trasparire solo raramente il sorriso beffardo e l'alternanza tra espressioni buffe e risolute che sono uno degli elementi più caratteristici del personaggio.
Proprio questa ricerca dell'aderenza al canone originale è probabilmente anche un limite di questa miniserie che risulta sì molto godibile per chi già conosce e ama i personaggi, aggiungendo tasselli interessanti al loro passato. Ma se lo scopo era anche avvicinare nuovi spettatori alle avventure di Lupin, purtroppo il bersaglio in questo caso non è stato colpito: la serie è infatti troppo legata al passato per risultare appetibile, e probabilmente addirittura comprensibile, ai giovani spettatori.
Discorso diverso invece per il doppiaggio originale, con Tasuku Hatanaka a dar voce a Lupin e Shunsuke Takeuchi a Jigen: entrambi i doppiatori svolgono egregiamente il loro compito, reggendo bene il carico di aspettative nel confronto con i loro illustri predecessori. Resta da vedere se anche il cast italiano sarà all'altezza delle gloriosi voci del passato, da Roberto Del Giudice a Sandro Pellegrini.
Due menzioni d'onore per chiudere, infine. La prima alla strepitosa colonna sonora, in tutto e per tutto in linea con le sonorità jazz degli anni '60, opera di Yoshihide Otomo. Coerenti con quest'operazione di "recupero filologico", anche l'opening Afro Lupin e l'ending Lupin III Theme Song II sembrano prese di peso da una macchina del tempo. Un plauso anche alla scelta di mantenere il focus solo su Lupin e Jigen, sugli elementi di riconoscimento che li hanno resi dei miti (il cappello, la giacca verde, le rispettive armi...) e di non essere caduti nella trappola di introdurre forzatamente anche gli altri elementi del gruppo, da Goemon a Fujiko e Zenigata, cosa che avrebbe reso questo prequel un pasticcio sconclusionato e non canonico.
Conclusioni
Nel valutare Lupin Zero, come abbiamo visto nella nostra recensione, non si può prescindere dal sottolineare l'evidente sforzo di fedeltà e rispetto filologico compiuto rispetto alle primissime incarnazioni del personaggio, dal manga originale di Monkey Punch alla prima e storica serie animata. Se da una parte questo farà la felicità degli appassionati di vecchia data, che ritroveranno qui i principali elementi mitici, sia estetici che caratteriali, di Lupin e Jigen, d'altro canto ha il difetto di dare alla miniserie un aspetto decisamente antiquato e poco comprensibile per gli spettatori più giovani. Ma per chi è cresciuto e ha amato le imprese di Lupin III, e soprattutto la sua carica ribelle e sovversiva tipicamente anni '60, questi sei episodi rappresentano una piacevolissima sorpresa e l'occasione per scoprire qualcosa di più su questo eccezionale personaggio.
Perché ci piace
- Design e impostazione generale che omaggiano il passato in modo coerente.
- Ottima colonna sonora.
- Ben raccontata la nascita del sodalizio tra Lupin III e Jigen.
Cosa non va
- Il personaggio di Lupin è esteticamente non all'altezza dell'originale.
- Troppo legata al passato per risultare appetibile anche per un nuovo spettatore.