Lui solitario nella notte. Noi tutti insieme, di pomeriggio, davanti alla tv. Nonostante facesse "gran paura", noi ragazzini nati e cresciuti negli anni Ottanta non potevamo che rimanere lì impalati davanti al piccolo schermo, ammaliati dalle gesta dell'imperioso Uomo Tigre. Umano e felino, altruista con i bisognosi ma spietato con i malvagi, Naoto Date ci ha insegnato che lottare non significa solo alzare le mani, ma voltare le spalle al male, ribellarsi ad un'infanzia infelice e scorgere il bene nonostante tutto. Non è facile, non è indolore, ma bisogna farlo. A qualsiasi costo. Sostenuto da una morale edificante, L'uomo tigre è stato un cartone animato che ha fatto della violenza la sua cifra stilistica, ma mai il suo messaggio fine a se stesso. Perché le ferite, i pugni, il sangue, le lotte estenuanti esasperate dal rumore dei fendenti sono il prezzo da pagare per ridare agli altri quello che la vita non ha dato a te. È questo il punto di vista di Naoto, ragazzo cresciuto nella spietata Tana delle Tigri, fucina di grandi combattenti temprati a suon di addestramenti al limite del disumano. Lottatori forgiati nel corpo e deturpati nello spirito, poi "liberati" col ricatto e costretti a versare nelle casse dell'associazione metà dei loro introiti da wrestler.
E allora ecco una storia scandita da duelli infiniti, dove ad ogni incontro sul ring l'eroe doveva sopravvivere al suo stesso coraggio, alla sua scelta di ribellarsi all'estorsione di un'organizzazione criminale che non fa altro che rincorrerlo, bramando vendetta. Sono queste le premesse narrative di uno degli anime più celebri dei nostri anni Ottanta. "Nostri" perché in realtà L'Uomo Tigre è molto più anziano di quel che la nostra memoria ricordi; infatti il cartone animato è andato in onda per la prima volta sulla televisione giapponese tra il 1969 e il 1971, terminando il 30 settembre di quell'anno. Oggi, a 45 lontanissimi anni da questa data, celebriamo il mito di una grande icona televisiva con 10 curiosità. Ripercorreremo i suoni, le frasi, i luoghi, le ingenuità, per salire sul ring e provare a vincere il duello con il tempo che passa.
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1. Il manga, la carta e il sacrificio
Il sangue e il sudore di Naoto, prima di arrivare sul piccolo schermo, hanno impregnato pagine e pagine di manga. Succede nel 1969, quando in Giappone viene pubblicato il primo dei 15 albi che andrà a comporre la saga cartacea de L'Uomo Tigre. Il papà del wrestler tigrato è il fumettista Ikki Kajiwara, autore del celebre Rocky Joe e di tanti altri manga di stampo sportivo (boxe, baseball, calcio). Nonostante la vocazione "commerciale" delle sue opere, Kajiwara riversa nei suoi fumetti uno stile autoriale ben definito. Infatti, oltre ad una definizione dettagliata del contesto sociale (spesso decadente) in cui sono ambientate le storie, emerge anche un rapporto maniacale con la disciplina sportiva, sottolineato anche dai disegni dove anatomie e movimenti vengono esasperati. Insomma, il pallone ovale di Holly e Benji impallidisce dinanzi agli arti iper-elastici de L'Uomo Tigre.
2. È l'Uomo Tigre che lotta contro il male
Dopo ben 11 anni di attesa, l'anime arriva finalmente in Italia nel 1982, andando in onda in quelle meravigliose oasi televisive sperdute chiamate "tv locali". Il piacere di scovare grandi cartoni animati nelle periferie televisive, lontani dai canali canonici, è qualcosa che solo i nati tra gli anni Settanta e Ottanta conoscono bene e L'Uomo Tigre non fa eccezione, anche grazie ad una sigla memorabile, bigliettino da visita di ogni serie animata che si rispetti. I Cavalieri del Re, gruppo musicale a composizione familiare attivo dal 1981 al 2011 (a loro dobbiamo anche la sigla di Lady Oscar), hanno dato vita ad una canzone dove la semplicità del testo e il ritmo orecchiabile creano un mix trascinante sin dal primo ascolto. Figuriamoci dopo averla sentita almeno 105 volte (tanti sono gli episodi della serie). Per questo perdoneremo un grande bluff: il verso della tigre inserito in apertura e in chiusura è in realtà un ruggito di un leone. Ci consoleremo risentendo quell'emblematica frase finale che fa: "Ha tanti amici, è grande la bontà, ma col nemico non ha pietà".
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3. Tana delle Tigri: diventare uomini
Un'intera infanzia all'ombra delle ali della Fenice e della statua del Dio Diavolo. Ci sono due posti che hanno inquietato i bambini cresciuti negli anni Ottanta: l'Isola della Regina Nera e la terribile Tana delle Tigri. La prima ha temprato Phoenix de I Cavalieri dello Zodiaco, la seconda il nostro Naoto, ma entrambe ci hanno insegnato il prezzo di un addestramento disumano, logorante per il corpo e per la mente. Tana delle Tigri è un luogo, ma lo ricordiamo come se fosse un personaggio, con una personalità (crudele) tutta sua. Organizzazione criminale con richiami neanche troppo velati al nazismo e alle massonerie, situata da qualche parte tra le Alpi Bavaresi, Tana delle Tigri è covo folle, una palestra dove si nuota nel catrame e si lotta a mani nude con i leoni. È una madre che partorisce schiavi, una genitrice tentacolare che ti affligge con le sue richieste esigenti. Di sicuro un grande nemico, e sconfiggerlo non ha mai dato soddisfazione più grande.
4. Nel cuore e nei timpani
Quando parliamo di cartoni animati, il peso specifico del doppiaggio aumenta a dismisura, perché gli attori al leggio sono chiamati a forgiare le personalità e il carattere dei personaggi a cui prestano la voce. E a quelle voci ci si affeziona, a quelle voci associamo in maniera indelebile il suono di tanti pomeriggi. Nel caso del L'Uomo Tigre il doppiaggio (ottimo nei protagonisti, meno nelle comparse) ha subìto diversi scossoni proprio a causa della longevità della serie e della marea di personaggi che vi appaiono. Infatti tra la 26esima e la 52esima puntata le voci dei tre protagonisti (Naoto, Ruriko e Kenta) sono cambiate, dando allo stesso Uomo Tigre un timbro (quello di Oliviero Dinnelli) molto più maturo e adulto della voce originale. Ma è successo anche che la doppiatrice Liu Bosisio (la voce di Marge Simpson e volto di Pina Fantozzi nel primo film della saga) prestasse la voce a più personaggi o che nemici come Re Tigre e Re Giaguaro si ritrovassero con la stesso doppiatore (Diego Michelotti). Però, il premio "Voce Simbolo" lo diamo senza dubbio a Nino Scardina, doppiatore del mitico Mister X, l'uomo dal volto violaceo in abiti ottocenteschi, con una risata e un timbro malefico assolutamente indimenticabile.
5. I nemici (del buon gusto)
Indimenticabile come ognuna delle assurde facce dei nemici del nostro eroe, perseguitato da una serie di loschi figuri che sembrano appena fuoriusciti da una parata carnevalesca dedicata al cattivo gusto. Ogni puntata ci ha regalato uno strambo cattivone di turno, partorito dagli incubi del suo character designer e pronto ad ammazzare Naoto, ma soprattutto ad accecarci a furia di colori sgargianti, maschere orripilanti e costumi pronti a ridefinire il concetto di "imbarazzante". La caterva di villain scagliata contro l'Uomo Tigre, infatti, è composta da lottatori ispirati agli immaginari più disparati (e disperati): mostri dell'orrore, uomini primitivi, teschi, insetti. E poi l'assoluto colpo di genio: Mister No. Come direbbero le telecronache di altri sport: "Queste sono le immagini. Giudicate voi".
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6. Errare è umano...
La consistente mole di episodi non ha influito soltanto sui suoni del cartone, ma anche e soprattutto sui disegni stessi, pieni zeppi di imprecisioni, errori più o meno madornali e cose (o persone) pronte a scomparire e a riapparire all'occorrenza. Prendetelo come un gioco: guardate con molta attenzione un qualsiasi episodio de L'Uomo Tigre e qualcosa vi renderà perplesso. Sì, perché ci sono ricorrenti mani con sei dita, pantacollant che diventano mutandoni da un'inquadratura all'altra, sangue che scompare, numeri di targhe che cambiano, anatomie da incubo, volti trasfigurati. Insomma, la precisione non ha mai messo piede su quei ring.
7. Ma perseverare è diabolico
Prodotta nel 1981 e ambientata nove anni dopo la serie originale, Uomo Tigre II raccoglie la pesante eredità di Naoto e la mette sulle spalle di Tatsuo Aku, orfano e vecchio fan di Date. Ma i 33 episodi dell'anime-sequel non esaltano come in passato, così l'animazione e l'Uomo Tigre prendono strade diverse. Almeno sino al marzo del 2016, quando la Toei Animation annuncia Tiger Mask W, sequel del cartone originale previsto per questo autunno. Nella nuova avventura la figura eroica si sdoppierà, grazie alla storia di due amici wrestler divisi da Tana delle Tigri e disposti a combatterla dall'esterno e dall'interno. Ma poteva il cinema sottrarsi al fascino dell'uomo mascherato? Purtroppo no. Purtroppo perché il film Tiger Mask (uscito nel 2013) è un insulto a qualsiasi nostro ricordo, dove l'Uomo Tigre diventa un goffo cosplayer dei Power Ranger per colpa di un'assurda armatura. Al confronto Dragonball Evolution è divertente. Dobbiamo continuare?
8. Il vero Uomo Tigre
Molto più di un semplice successo televisivo, L'Uomo Tigre è stato un fenomeno sociale e di costume. Nel vero senso del termine. Sì, perché in Giappone c'è chi ha pensato bene di indossare davvero il mantello tigrato e l'iconica maschera per dare forma solida a quelle immagini in movimento. Sono state diverse le federazioni di wrestling a plasmare nuovi atleti sull'esempio dell'Uomo Tigre, ma ce n'è uno che merita tutto il nostro incondizionato rispetto: Satoru Sayama, ovvero il primo, originale Tiger Mask. Dopo aver girovagato tra Inghilterra e Messico, il wrestler giapponese decide di rilanciare la sua carriera e la sua immagine, così la sera del 23 aprile 1981 Satoru sale per la prima volta sul ring come Tiger Mask, vincendo al suo esordio uno dei più importanti incontri della sua vita. Per una questione di diritti di immagine, il suo nome cambierà poi in Super Tiger, The Tiger e Tiger King, tanti nomi per una vita dedicata al ring, piena di titoli e di riconoscimenti. Gli imitatori non mancheranno, ma lui dal gradino più alto del podio non lo toglierà mai nessuno.
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9. Commoventi emulazioni
E a proposito di imitazioni e di appassionati emulatori, è impossibile non citare una serie di donazioni benefiche anonime ispirate alle nobili gesta di Naoto, tutte rivolte a bambini orfani. In Giappone i casi sono stati tantissimi e spesso concentrati nel periodo natalizio. Quello più celebre è avvenuto nel dicembre 2010, quando qualcuno ha lasciato dieci zainetti nei pressi di un centro psicopedagogico. Questi zaini in pelle, impacchettati, infiocchettati a dovere e dal valore di circa 300 euro l'uno, sono oggetti particolarmente importanti nella cultura giapponese perché accompagnano i bambini durante tutte le scuole elementari. Ma abbiamo dimenticato l'aspetto più romantico dalla faccenda: questi doni erano accompagnati da un biglietto con su scritto "Per favore, donate questi zaini ai bambini". Firmato "Naoto Date", naturalmente.
10. Noi siamo Kenta
Chiudiamo la nostra carrellata nostalgica con una piccola ma significativa nota di merito nei confronti di questo cartone animato. Un anime che è riuscito a creare una perfetta identificazione del pubblico con i personaggi della storia, e lo ha fatto grazie ai bambini dell'orfanotrofio (Kenta, Gaboten, Yoshibo e gli altri). Proprio come i piccoli orfani, anche i giovani spettatori assistevano agli incontri dell'Uomo Tigre seduti davanti alla tv, accanto ai propri amici, tutti pronti ad incitare il loro idolo dinanzi ad uno schermo. Ecco, noi eravamo Kenta, e per quanto resti ancora da capire cosa spinga degli educatori a mostrare tanta violenza con tanta tranquillità, noi troviamo questa coincidenza vagamente romantica.