In un'industria dominata dai cinecomic, Franco Nero ha voluto dire la sua raccontando la storia di un supereroe che coi fumetti non ha niente a che vedere. Il suo superpotere è disegnare le persone solo sentendone le voci, senza possibilità di vederle visto che è cieco dall'adolescenza. Ma c'è un altro superpotere che Franco Nero ha esercitato in occasione della sua seconda regia e che gli ha permesso di riportare Kevin Spacey al cinema, seppur in un piccolo ruolo.
Come rivela la nostra recensione de L'uomo che disegnò Dio, Franco Nero interpreta Emanuele, un artista non vedente che insegna disegno in una scuola serale di Torino gestita da un'associazione. Dato che è in cerca di una colf, la direttrice (Stefania Rocca) gli propone di ospitare provvisoriamente una giovane immigrata di nome Maria e la figlia dodicenne Iaia. Lui, dopo un'iniziale resistenza, accetta. Il legame tra i tre si rinsalda giorno dopo giorno finché un video in cui Emanuele disegna, diffuso su internet da Iaia, non diviene virale. Vista la sua prodigiosa abilità, la televisione si interessa a Emanuele e l'artista viene selezionato per partecipare a una sorta di talent show in un circo che potrebbe cambiare per sempre la sua esistenza, permettendogli di vincere una forte somma di denaro.
Il carisma di un divo
Per il suo ritorno dietro la macchina da presa, Franco Nero si circonda di un cast di stelle italiane e internazionali. Manca all'appello solo la moglie Vanessa Redgrave, inizialmente coinvolta nel progetto e poi sostituita da Faye Dunaway. Ma la presenza che desta maggiore curiosità è quella di Kevin Spacey, che Nero è riuscito a coinvolgere nel progetto interrompendo provvisoriamente l'esilio a cui il divo è stato sottoposto dopo aver dovuto affrontare una serie di accuse di abusi sessuali. Anche se la star di House of Cards è un bel gancio promozionale in realtà, ne L'uomo che disegnò Dio, Franco Nero rivendica il suo ruolo di protagonista assoluto. L'anziano attore è presente in quasi ogni scena e grazie alla complicità degli sceneggiatori Eugenio Masciari e Lorenzo De Luca sfrutta al massimo il suo carisma. Il suo artista cieco svetta, forte di battute a effetto e di una recitazione marcata, mentre il resto del cast è ridotto a semplici comparsate. Solo Stefania Rocca riesce a farsi spazio nei panni della volitiva Pola e accetta di buon grado anche qualche battuta sull'omosessualità del suo personaggio da parte del lapidario Emanuele.
A visione conclusa, l'impressione è che Franco Nero abbia creato L'uomo che disegnò Dio per assecondare l'urgenza di dire la sua sulla società contemporanea. Scorbutico e solitario, il suo Emanuele è privo di filtri. La cecità lo ha reso libero, ogni volta che apre bocca lancia strali contro ciò che, a suo parere, non va nel mondo. Se la prende con la tecnologia imperante, con la società dell'apparenza e dei valori effimeri, punta il dito contro arrivismo, falsità, bullismo e razzismo. Tanta carne al fuoco. Forse troppa. Il monologo a reti unificate che pronuncia nel finale gli permette di togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Nemmeno le forze dell'ordine vengono risparmiate dalla sua vis polemica, visto come viene trattato il commissario di Kevin Spacey. Così facendo, però, molti dialoghi risultano didascalici e semplici scambi colloquiali assumono il tono di proclami perdendo la necessaria naturalezza.
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La visione del mondo di Franco Nero
Superati gli 80 anni, Franco Nero sembra sentire l'urgenza di lanciare un messaggio e sfrutta una storia semplice piegandola ai suoi scopi. Si percepisce chiaramente che il punto di vista è quello di un uomo di un'altra generazione che, per quanto si sforzi di adeguarsi al mondo moderno, non lo comprende e non lo accetta fino in fondo. Da questo punto di vista spesso si ha la sensazione di guardare un film a tesi, una sorta di racconto morale ravvivato da una manciata di interpretazioni più o meno convincenti (se Franco Nero e Stefania Rocca sembrano credere profondamente ai propri personaggi, più perplesso appare Kevin Spacey, che sfoggia spesso un'espressione tra il divertito e l'indignato).
Il mondo sarà salvato dalla bellezza? Il regista Franco Nero sembra crederci fermamente e mette insieme un serie di eleganti immagini che fotografano una Torino maestosa e verdeggiante. Riprese aeree col drone, inquadrature studiate e raffinate simmetrie che svelano androni di antichi palazzi si susseguono per rappresentare l'ambiente in cui si muove Emanuele. Lo stile visivo curato ben si sposa col gusto artistico dell'anziano disegnatore, ma nel contesto generale risulta un tantino rétro. D'altronde fin dal titolo, la pellicola di Franco Nero denuncia la sua riflessione sulla spiritualità. Pur non essendo mai esplicitato, è chiaro che il dono che Emanuele possiede gli deriva direttamente da Dio come una sorta di compensazione per avergli tolto la vista. Le sue insistite nottate insonni alla finestra, con lo sguardo rivolto verso la luna, rappresentano il leitmotiv del film. I suoi disegni sono il tentativo di instaurare una comunicazione col mondo ultraterreno, anche se di fatto lo aiuteranno a creare legami umanissimi. Perché Dio lo si trova nel prossimo, e Franco Nero ce lo ricorda con trasporto.
Conclusioni
Alla sua seconda regia, Franco Nero confeziona un film a tesi, una sorta di racconto morale ravvivato da una manciata di interpretazioni più o meno convincenti, come rivela la recensione de L'uomo che disegnò Dio. Pur godendo della presenza di Kevin Spacey, Nero si ritaglia il ruolo di protagonista assoluto in una pellicola a tratti didascalica che ha lo scopo di incanalare la visione del mondo del regista.
Perché ci piace
- Il carisma di Franco Nero è inossidabile.
- La narrazione è spedita e interessante.
- Il ritorno di Kevin Spacey al cinema è un'ottima notizia...
Cosa non va
- ... anche se è sottoutilizzato e poco convinto del suo ruolo.
- L'esigenza di Franco Nero di dire la sua sul mondo rischia di rendere il film troppo didascalico.
- Tanti temi toccati appesantiscono la storia.