Ogni nuova serie Netflix è ormai un evento, in particolar modo se si tratta di un nuovo capitolo della collaborazione con la Marvel. E non perché tra piccolo e grande schermo si senta la mancanza di nuovi supereroi, ma semplicemente perché dopo le due stagioni di Daredevil - e noi ci aggiungiamo anche quel gioiello spesso incompreso di Jessica Jones - è evidente che il Marvel Cinematic Universe può uscire solo arricchito da questi nuovi format da 13 episodi che sono in grado di regalarci personaggi complessi e affascinanti quanto, e forse più, quelli degli Avengers.
Ma limitare l'efficacia e l'importanza di questi show Netflix paragonandoli ai cinecomics sarebbe sbagliato e controproducente, perché la vera forza di show come questo Luke Cage è proprio nel riuscire ad andare oltre i confini del genere action e puntare ancora più in alto, verso i grandi cable drama dell'ultimo decennio. Laddove Daredevil unisce all'azione e alle arti marziali il legal drama e Jessica Jones sposa il noir con il thriller psicologico, lo show di Cheo Hodari Coker - già produttore di Southland e NCIS: Los Angeles nonché sceneggiatore del biopic musicale Notorious - tenta una strada diversa, forse ancora più ambiziosa e, per la prima volta in casa Marvel, anche attiva da un punto di vista sociale e politico.
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"Il mondo è pronto per un uomo nero antiproiettile"
"The world is ready for a bulletproof black man". Così Coker ha presentato lo scorso luglio le prime immagini del suo show al ComicCon di San Diego, una frase che decontestualizzata potrebbe apparire addirittura buffa, ma che in questo 2016 ancora segnato dalle proteste del movimento Black Lives Matter e, purtroppo, anche da troppe morti di giovani di colore per mano delle forze dell'ordine, assume un significato completamente diverso. Tutto questo dolore e questa volontà di cambiare è presente in Luke Cage, che non a caso non del tutto a sproposito fu anche definito come "il The Wire della Marvel", ma non per questo il personaggio interpretato dall'ottimo Mike Colter va visto come un paladino dei neri contro le ingiustizie dei bianchi, ma semplicemente un eroe di tutti: "Il Captain America di Harlem" qualcuno lo definisce ad un certo punto, e sebbene un po' controvoglia, lo stesso Luke sembra rendersi conto che il paragone non è poi così azzardato.
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Ben più azzardato è invece il paragone di cui sopra, quello con il capolavoro poliziesco della HBO: The Wire ancora oggi rappresenta quanto di meglio la TV sia riuscita a regalarci ed è evidente che non si può pretendere da uno show come Luke Cage la stessa complessità, la stessa cura dei dettagli e lo stesso approfondimento nei personaggi. C'è però la volontà di raccontare la vita di strada, quella di Harlem in questo caso, con lo stesso sguardo imparziale e non è infatti un caso che anche qui venga data grande importanza non solo ai poliziotti che cercano di ripulire il quartiere ma anche a tutti quelli che, spesso loro malgrado, spacciano, trafficano armi e a volte rubano e ammazzano per sopravvivere.
Way Down In the Hole
Così come in The Wire però la critica sociale partiva dalla periferie (dai "Projects", le case popolari americane) per poi arrivare fino alle classi politiche, alle istituzioni e ai media, lo stesso avviene qui con l'inserimento di cattivi che non sono dotati di superpoteri o di grandi ambizioni ma semplicemente sono parte integrante del sistema che da sempre governa e avvelena Harlem. Il vero cattivo è quasi Harlem stessa, o almeno quella parte del quartiere che non fa nulla per migliorare la propria situazione e per ribellarsi.
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D'altronde lo stesso Luke Cage diventa un eroe nel momento in cui decide che non può continuare a vivere a capo chino come ha fatto negli ultimi mesi (dopo essersi lasciato alle spalle Hell's Kitchen dopo gli eventi di Jessica Jones) e soltanto con l'aiuto e la spinta di tutti coloro che gli sono vicino (la "solita" meravigliosa Claire Temple di Rosario Dawson, ma anche le ottime new entry Henry "Pop" Hunter di Frankie Faison o la Misty Knight di Simone Missick) accetta il suo ruolo e finalmente agisce.
C'era una volta la Blaxploitation
Il personaggio di Luke Cage era stato creato negli anni '70 nel bel mezzo del boom del genere blaxploitation e, sebbene lo stile del nuovo show sia molto diverso dai film che avevano fatto la fortuna di gente come Pam Grier, Melvin Van Peebles o Richard Roundtree, non mancano richiami alle pellicole dell'epoca o ad alcune caratteristiche del fumetto (l'acconciatura, la tiara, la battuta Sweet Christmas, etc etc) ricordate, con grande ironia ed intelligenza, in flashback o in situazioni che incredibilmente riescono davvero ad unire l'azione più spettacolare a scene dal mood completamente differente.
Un'importanza fondamentale, ben più che in altri show e film Marvel con la sola eccezione forse di Guardiani della Galassia, la assume la colonna sonora che in Luke Cage è assolutamente strepitosa e perfettamente coerente con quanto raccontato: molte volte si tratta di performance "live" (nei primi episodi compaiono Faith Evans, Jidenna, D-Nice e molti altri) all'interno di locali al centro della trama, in altre occasioni l'utilizzo è più classico ma non per questo meno riuscito. D'altronde, Coker ha spesso collaborato con prestigiose riviste musicali quali Vibe o Rolling Stones ed è un grande esperto di hip hop. Ma oltre che nelle musiche, anche nei dialoghi e nelle scenografie non mancano riferimenti alla musica black, come nel caso dell'enorme ritratto del rapper Notorious B.I.G. che campeggia nell'ufficio di uno dei villain. E anche qui nulla è lasciato al caso.
E ora qualcosa di completamente diverso. O forse no.
Se però da quanto detto finora potrebbe sembrare che Luke Cage sia qualcosa di molto lontano da quanto Marvel e Netflix ci avevano finora abituato, va detto che per molti aspetti non è affatto così: la struttura narrativa è infatti molto simile a quanto già visto finora, con un episodio quasi completamente dedicato ad un lungo flashback, un altro (il terzo) che racchiude una complessa e spettacolare scena d'azione, e in più ci sono riferimenti al Marvel Cinematic Universe e alle serie del canale con tante altre trovate che risulteranno familiari agli spettatori più fedeli. Nonostante questo però colpisce, e d'altronde succede anche con alcuni film Marvel, come pur essendo molto simile sotto certi aspetti la serie riesca a mantenere stile e caratteristiche davvero uniche e di come l'intero progetto riesca a miscelare i generi così bene.
Inutile dire che più andiamo avanti e più cresce la curiosità di capire come sarà The Defenders, lo show che metterà insieme tutti gli eroi finora visti più Iron Fist che ancora deve debuttare. Ancor più considerando che, così come le due serie precedenti, già adesso ci troviamo davanti ad uno show corale, considerato quanto spazio viene dato a tutti i personaggi secondari. E infatti succede spesso, proprio come accadeva allo stesso Luke in Jessica Jones, che le tante new entry finiscono addirittura con il rubare la scena a Colter che però, va detto, è assolutamente perfetto nel rendere l'apparente calma e tranquillità di un uomo indistruttibile chiamato ad affrontare decine di nemici, ma anche quel carisma e quel fascino di chi sa sempre il fatto suo. Anche con le donne.
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Ma, come dicevamo, i comprimari non sono da meno: finora abbiamo citato Faison - a cui spetta un personaggio bellissimo, quello del mentore e del padre spirituale - e la detective Mercedes "Misty" Knight che come look sembra davvero provenire da un film anni '70 ma che ricorda, per molti versi, l'indimenticabile e tostissima Detective Kima di The Wire (e quando ad un tratto, in un piccolo ruolo, appare l'attrice Sonja Sohn che la interpretava, il cerchio è completo), unica donna in un mondo fatto di e per uomini. Ma a questi dobbiamo aggiungere quantomeno il Cornell "Cottonmouth" Stokes ottimamente interpretato da Mahershala Ali (recentemente nominato all'Emmy per un'altra serie Netflix, House of Cards) e la cugina Mariah Dillard affidata ad una delle attrici black più talentuose e premiate degli ultimi decenni, Alfre Woodard: di entrambi i personaggi preferiamo non raccontare nulla e lasciare invece che sia lo spettatore a gustarne l'evoluzione; lasciateci solo dire che bucano lo schermo e si dimostrano all'altezza degli altri "cattivi" a cui Netflix ci ha abituato.
Perché nonostante rientri volutamente in molti schemi già visti sul piccolo e grande schermo, Luke Cage ha comunque il pregio di riuscire a sorprendere grazie a vari twist narrativi ed un affascinante rovesciamento nelle sequenze d'azione: perché il protagonista non è un esperto di arti marziali, non è veloce e scattante e non utilizza nessun tipo di arma, ma semplicemente avanza, lento e inesorabile verso il suo obiettivo, il che rende le pur spettacolari sequenze d'azione qualcosa di differente da quello a cui siamo abituati.
Lo stesso in fondo vale per la serie, che non parte in modo esplosivo, si prende anzi i suoi tempi per approfondire l'ambiente che racconta e i tanti personaggi che la compongono, ma quando colpisce lo fa con forza e diventa irresistibile.
O, quanto meno, questa è l'impressione che abbiamo ricavato dopo aver visto i primi sette episodi, perché ammettiamo candidamente che dal resto della stagione - considerati i twist e i cliffhanger che gli autori hanno gentilmente disseminato nell'ultimo episodio rilasciatoci - davvero non sappiamo cosa aspettarci. E non potremmo esserne più felici.
Movieplayer.it
4.0/5