Il titolo originale dell'ultimo film diretto da Roman Polanski sembra comporre un trait d'union tra l'opera in questione, l'attuale clima sociopolitico imperante a livello globale, e giocoforza lo sguardo personale del regista in merito a qualcosa con cui egli stesso ha convissuto nel corso dei decenni: l'accusa. J'accuse lo scrisse Émile Zola nel suo celebre articolo in difesa di Dreyfus, pubblicato nel 1898. E lo riprende Roman Polanski dal romanzo di Robert Harris per il suo nuovo film che si concentra proprio sull'esilio coatto del Capitano di Stato Maggiore Albert Dreyfus, condannato per alto tradimento dalla Corte Marziale. Ribattezzato in Italia con il titolo L'ufficiale e la spia, il film del regista polacco ha ottenuto il Gran Premio della Giuria all'ultima Mostra del Cinema di Venezia.
Sulla giostra dei giochi di potere, in L'ufficiale e la spia salgono i protagonisti di un altro manifesto autorevole del cinema di Roman Polanski, connesso perfettamente alle caratteristiche preponderanti e inscindibili delle sue opere. L'accuratezza dei dettagli storici e la puntualità millimetrica della sceneggiatura si legano ad un contesto narrativo che accresce la sensazione di soffocante insostenibilità, alla quale ci ha abituati in parecchie circostanze il regista polacco. La battaglia di Albert Dreyfus - di cui abbiamo parlato nella nostra recensione de L'ufficiale e la spia - ha in primo piano l'integerrimo e onesto Georges Picquart (Jean Dujardin). Nominato capo del controspionaggio, Picquart si accorge ben presto di quanto interessi, intrighi e arrivismi non si fermino dinanzi a nessuno.
La filmografia di Roman Polanski è ricca di titoli che hanno in comune degli elementi che ricorrono frequentemente nei suoi film. Sin dagli esordi, Polanski ha cercato di affinare un determinato linguaggio a lui riconducibile pur cambiando epoca storica, genere, personaggi e narrazioni. In occasione dell'uscita nelle sale de L'ufficiale e la spia, cerchiamo di suddividere alcuni dei principi fondamentali che contraddistinguono il cinema di Roman Polanski, in gran parte funzionali alla continua alternanza tra i ruoli all'interno delle varie narrazioni.
Spazi interni e claustrofobia
Una delle caratteristiche tanto care a Roman Polanski è l'intensificazione dell'angoscia dei protagonisti attraverso un utilizzo calibrato della messa in scena. Gli spazi intorno ai personaggi dei suoi film si rivelano spesso claustrofobici e rispecchiano in toto le inquietudini e le costrizioni alle quali sono sottoposti. Questo particolare utilizzo delle location è riscontrabile sin dagli esordi. Nel sorprendente esordio del 1962, Il coltello nell'acqua, Polanski costringe i tre protagonisti all'interno di un piccolo microcosmo rappresentato da una barca, sulla quale si esasperano i caratteri e i rapporti fra i personaggi, una coppia di coniugi annoiata e uno sconosciuto autostoppista. In generale è piuttosto risaputa la tendenza di Polanski a sfruttare gli interni per meglio accrescere quell'opprimente sensazione ossessiva e maniacale che conduce verso un'escalation di tensione sia i personaggi che gli spettatori. Ciò accade in film come Carnage, dove lo splendido spartito drammaturgico di Yasmina Reza si dipana chirurgicamente anche grazie all'ambientazione soffocante di un appartamento piccolo borghese.
Un appartamento è anche il luogo nel quale vive una demoniaca gravidanza Rosemary (Mia Farrow) nel capolavoro horror del 1968, Rosemary's baby - Nastro rosso a New York. Un regista 'casalingo' sontuoso - si pensi al logorante interrogatorio di Paulina (Sigourney Weaver) al dottor Miranda (Ben Kingsley) in La morte e la fanciulla, completamente ambientato in casa - e un amore smodato per un'impostazione teatrale, riscontrabile in molti suoi racconti sul grande schermo, tra cui Venere in pelliccia, dove l'erotismo sadomasochista viene liberato proprio sopra il palcoscenico di un teatro.
Giochi di ruolo
Un altro elemento ricorrente nel cinema di Roman Polanski è l'approfondimento psicologico dei protagonisti. Un'esplorazione alla quale il regista si avvicina costruendo una relazione quasi sempre frontale con i personaggi a disposizione. Polanski scava negli istinti più biechi, nelle ambiguità morali e nelle debolezze degli esseri umani. Anche quando i personaggi sono costretti a fare i conti con sé stessi, come l'instabile Catherine Deneuve di Repulsione o come il giovane Trelkowski de L'inquilino del terzo piano, persi tra immaginazione e realtà. Polanski gioca con i sessi e li mette a confronto, in un teatrino che di frequente nasce con sorrisi di convenienza per seguire successivamente una deriva spogliata di ogni formalità e viva di soli istinti. Escalation incalzanti in film come Cul de sac, dove un gangster (Lionel Stander) si rifugia in un castello abitato da un'altra coppia di coniugi tediati dalla quotidianità, proprio come in Il coltello nell'acqua. Polanski si dimostra avvezzo all'ambivalenza e al mistero intorno ai ruoli dei personaggi e i richiami al cinema di Alfred Hitchcock fanno capolino qua e là, come ne L'uomo nell'ombra, con Ewan McGregor che interpreta il giovane ghostwriter dell'ex primo ministro inglese, laddove la tensione si alimenta attraverso un climax costante e oscuro.
Mix di generi
Difficile identificare Roman Polanski attraverso un solo specifico genere che simboleggi appieno il suo cinema. Sin dagli albori della sua carriera, Polanski ha dimostrato di essere un giovane cineasta interessato ad esplorare ogni tipo di racconto e nel corso dei decenni ha arricchito il proprio bagaglio di meravigliose incursioni in varietà differenti, talvolta mescolandole nello stesso film. Nei film odierni non è raro imbattersi in storie che fondano registri differenti di frequente all'interno dello stesso arco narrativo. Quando Polanski iniziò a lavorare nel mondo del cinema questo tipo di fusione non era così frequente. Ecco perché alcuni dei suoi film, già dagli anni '60, si esprimono attraverso diversi generi che si mescolano anche all'interno della stessa storia. Il 1967 è l'anno in cui Roman Polanski gira Per favore, non mordermi sul collo. Un titolo importante sia per la sua carriera che per la sua vita privata: conosce la sua futura moglie, Sharon Tate, proprio durante le riprese del film, dove l'attrice interpreta Sarah, della quale s'infatua proprio il personaggio interpretato da Polanski, Alfred.
Per favore, non mordermi sul collo è uno dei primi esempi di horror-comedy, in grado cioè di aggiungere degli inserti comici e leggeri in un contesto che originariamente dovrebbe risultare tetro e spaventoso. Negli anni Polanski scopre di poter esprimere il suo punto di vista sperimentando nuovi linguaggi, talvolta all'interno dello stesso film, tra i quali spicca molto spesso la componente grottesca e talvolta farsesca delle sue opere. Dal mystery horror di Rosemary's baby - Nastro rosso a New York al noir di Chinatown così come il thriller Frantic con Harrison Ford; Polanski non disdegna nemmeno le incursioni nel passato e nella letteratura classica, come il dickensiano Oliver Twist o un ritorno in epoche tormentate da lui stesso vissute in prima persona, come ne Il pianista, probabilmente uno dei suoi titoli di maggior successo. Fascino e seduzione sono piuttosto frequenti, così come le sue muse, con le quali incarna le torbide tentazioni dell'essere umano. Che si attinga da Shakespeare o da Leopold von Sacher-Masoch, Polanski ha dimostrato nutrito interesse intorno ai rapporti interpersonali e all'ambiguità arricchita dalla tensione sessuale, latente o meno, in diversi suoi film. I giochi di ruolo e le atmosfere claustrofobiche si accompagnano all'audace e costante tentativo di Roman Polanski di sperimentare un cinema dai risvolti imprevedibili e spiazzanti. Tutto questo anche attraverso una commistione di generi che nobilitano ulteriormente il lavoro di uno registi più versatili della storia del cinema.