C'è un mondo nascosto che vive nello spazio di una pista da ballo. Microuniversi interiori in cui il peso delle fragilità, di fratture interne, ricordi dolorosi, o aspirazioni celate, si muovono al passo di danza, coperti da strati di make-up, o abiti più o meno appariscenti.
Come sottolineeremo in questa recensione di Love Club, quelli che respirano dentro e fuori il locale gestito da Luz sono storie che paiono sconfinare dallo spazio-tempo di un episodio. Sono esistenze che sanno di verosimiglianza, di possibile realtà; un prestito dal mondo extra-televisivo, ridotto nello spazio di una puntata a bagliore fattibile di una vita immaginata nell'universo della fantasia. Come attimi di realtà immortalati per sempre su stralci di pellicola e riguardati all'infinito, cosi le vite di Luz, Tim, Rose e Zhang si elevano a barlumi di esistenze che respirano di fantasia, attecchendosi alla probabile realtà.
Love Club: la trama
Luz è la proprietaria del locale sotto sfratto, Love Club; una donna intraprendente, che combatte fino all'ultimo non solo per salvare il proprio locale, ma anche per recuperare un rapporto scricchiolante con la madre e con una ragazza che lei stessa ha tradito. Tim è un immigrato di seconda generazione in perenne lotta con la propria salute mentale, tematica, questa, complessa da narrare perché considerata ancora da molti un tabù. Fragile e mossa da traumi di un passato ancora vicino, Rose non trova il coraggio di esibirsi su un palco, nonostante le sue incredibili doti di cantante, ereditate e condivise con il padre, morto da tempo. Per racimolare qualche soldo ha deciso pertanto di intraprendere un altro lavoro, come quello di cam girl. Zhang, dirigente di banca, benestante, non è solito frequentare locali queer come il Love Club; ciononostante il suo sogno è quello di esibirsi come drag queen. Liberi, eppure ancorati a troppi pregiudizi e innumerevoli stereotipi, sono loro i protagonisti di Love Club, racconto in quattro episodi intriso di tematiche delicate, e prese in prestito da una società come quella contemporanea che aspira a essere sempre più libera, aperta, inclusiva.
Dare vita a mondi reali
Pare un incantesimo, una magia, quella di rendere visibile, quasi tangibile e per questo credibile, ciò che prima era solo un segno nero su un foglio bianco. E quella compiuta da Silvia Di Gregorio, Bex Gunther e Denise Santoro, grazie alla macchina da presa di Mario Piredda è davvero una magia tutta italiana. Le loro penne si tingono di umanità, di sentimenti veri, delicati, di schiaffi che atterriscono e coraggio che fa rialzare a testa alta: partendo dalla comunità LGBTQ+, le loro menti creano e ampliano vizi e virtù, debolezze e vigore comuni all'intera umanità. Complice una scrittura attenta, mai banale, ma nata sulla spinta di una meticolosa lettura della nostra contemporaneità, chiunque si può identificare nelle dinamiche personali - e allo stesso tempo universali - di questi personaggi.
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Un apostrofo rosa tra spettatore e personaggio
Debitrice dell'operato di Gaspar Noé e del suo Love la distanza che si viene a creare tra spettatore e personaggio in Love Club si riduce così fino al grado zero, permettendo una completa assimilazione e identificazione spettatoriale con le esistenze portate sul piccolo schermo. Un processo naturale, quello della serie di Prime Video, reso ancora più possibile dalla naturalezza delle performance offerte dagli esordienti Veronique Charlotte, Alessio Lu, Ester Pantano, Rodrigo Robbiati. Non solo presta-corpi di storie tracciate su pagine di sceneggiatura, gli interpreti colgono ogni sfumatura di un maelstrom umorale che prende e colpisce l'interiorità più celata di uomini e donne chiamati ad affrontare il peso dei pregiudizi, e delle auto-recriminazioni.
Seguendo una struttura antologica dove ogni episodio è un mondo a se stante, ma allo stesso tempo collegato agli altri (proprio come le esistenze che scorrono indipendenti sul sentiero della vita, per poi ritrovarsi a muoversi corpo a corpo, pelle a pelle, nello spazio del Love Club) al proprio spettatore vengono fornite tutte le informazioni necessarie per instaurare un rapporto privilegiato con i quattro protagonisti, vantando la conoscenza di sentimenti, emozioni ed eventi tenuti nascosti al resto del mondo.
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Zone d'ombra in spazi colorati
In un mondo apparentemente sempre colorato, illuminato da luci stroboscopiche e abiti brillanti, ecco che per magia le tonalità in Love Club si indeboliscono, perdono di saturazione, lasciando che a dominare lo spazio di un'inquadratura sia soprattutto una lotta intestina tra ombre e luci, le stesse che vivono nel privato dei propri personaggi. E così, ogni tentativo di accecare lo sguardo da parte di neon brillanti, viene ostacolato da una penombra sempre più minacciosa e vorace, pronta a fagocitare tra le sue brame esistenze in bilico tra aspirazioni, libertà personali, e pregiudizi altrui. Uno scarto cromatico che reduplica quello interno di anime in combutta, e qui chiamate a farsi portavoce di sogni in formato umano di una società che desidera farsi sempre più aperta e inclusiva, libera e comprensiva; un tentativo di liberarsi da ancore sociali forgiate dalla forza del pregiudizio secolare che Love Club tenta di rendere esplicite, nonostante i limiti imposti da mentalità obsolete, chiuse, appannate da paura e incomprensioni.
Non solo saggio sulla comunità LGBTQIA+, Love Club è un manifesto sulla libertà di amare, tanto gli altri quanto se stessi. Un'unione di corpi come un'accettazione implicita tra il proprio passato e il proprio presente, tra fragilità e compromessi, mentre tutto si illumina, nonostante il buio circostante, nonostante le ombre dilaganti.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Love Club sottolineando come la serie in quattro puntate firmata Prime Video riesca a partire da tematiche LGBTQIA+, per poi estendersi alla trattazione di argomenti più intimi e personali facilmente condivisibili con il proprio pubblico. Forte di una scrittura mai banale, ma intelligente e capace di parlare alla nostra contemporaneità, Love Club è una mano che invita alla visione, mentre corpi si uniscono e fragilità si condividono.
Perché ci piace
- La fotografia desaturata, perché improntata sulla lotta tra ombre e luci.
- Le performance naturali dei giovani attori.
- La sceneggiatura intelligente e attenta all'attualità.
- La durata degli episodi.
Cosa non va
- A volte certi eventi, o momenti delicati, richiedevano maggior tempo di trattazione.
- La regia in alcuni punti poteva essere più dinamica.