Non abbiamo timori ad ammetterlo: Lost è stata una serie televisiva epocale. Non solo perché, all'epoca della sua messa in onda, ha dato vita a un vero e proprio fenomeno televisivo (e non solo) capace di sfruttare appieno i forum online dove gli appassionati si confrontavano sugli sviluppi narrativi e cercavano di trovare le risposte alle loro domande e non solo per l'essere riuscita a rivoluzionare il modello televisivo broadcasting al pari, se non in maniera superiore, di quanto fece Twin Peaks a inizi anni Novanta. Se parliamo di serie epocale è perché Lost è ancora oggi una serie ricordata e citata, merito anche di un finale che non ha soddisfatto completamente tutte le aspettative (ma, ve lo diciamo subito, noi lo troviamo bellissimo) e che continua a essere discusso. Approfittiamo degli oltre dieci anni dalla sua conclusione per provare a fare il punto sul *finale di Lost: è ancora incompreso come lo era allora? È stato rivalutato? Lo riteniamo ancora il finale perfetto per una serie che ci ha appassionato con le sue teorie, le sue domande e le sue aspettative?
"Dobbiamo tornare indietro!"
Ci sono opere che, anche se non si riguardano spesso, sono ben presenti nella nostra memoria come se fosse qualcosa che abbiamo visto poco tempo fa. E forse, proprio per questo, tendiamo a non rivedere mai: sarà per mantenere il ricordo perfetto della prima visione o per paura di vedere con occhi diversi qualcosa che rischia di non appassionarci più come una volta. Oppure queste opere che ci hanno coinvolto così tanto non le rivediamo più proprio per l'indescrivibile delusione che ci hanno lasciato una volta arrivati ai titoli di coda. Nel caso di Lost, come in tutte le opere che diventano pietre miliari col tempo (se ci pensate è successo anche con Il trono di spade e la sua divisiva ottava stagione), possono valere entrambe le cose. Siamo onesti: ogni volta che una serie ci carica di così tante aspettative, le reazioni verso il finale sono tra le più disparate. E certo, non si può dire che Lost non avesse caricato di aspettative ogni spettatore fedelissimo alle avventure di Jack, Kate e Sawyer e ai misteri dell'isola. Anzi, Lost viveva di domande irrisolte, di misteri che racchiudevano al loro interno altri misteri, di eventi inspiegabili a cui si tentava di dare una spiegazione che sembrava non soddisfare mai del tutto. Si arrivava al punto che, come i personaggi della serie, eravamo davvero immersi e perduti nella rete di connessioni e di misteri a cui dovevamo rispondere. Forse anche un po' troppo: semplici botole e laboratori segreti lasciarono spazio sempre più a una deriva sci-fi con viaggi nel tempo, elementi mitologici, reincarnazioni e presenze divine risultando indigesti a molti degli spettatori. Eppure, nonostante tutto, ancora oggi ripensando a Lost sentiamo nella nostra memoria l'entusiasmo con cui ci si appassionava alle vicende, l'attesa spasmodica con cui dovevamo convivere per una settimana tra un episodio e l'altro, la foga nel voler parlare con qualcuno e condividere ipotesi e spiegazioni. Così, quando ripensiamo a Lost ci sentiamo un po' come Jack alla fine della terza stagione: fuori dall'isola, ma con la necessità e il desiderio di ritornarci.
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"Si vive insieme, si muore soli"
Al di là dei misteri, della mitologia, delle ingarbugliate trame dedicate ai personaggi, a guardarla da lontano, di cosa parla Lost? Potremmo dire che si tratta dello scontro interiore che ogni personaggio è costretto ad affrontare: una nuova presa di coscienza, una redenzione, il superamento di un lutto, fare pace con i suoi fantasmi e i suoi traumi. Tutti i personaggi di Lost sono personaggi che iniziano un percorso di rinascita o, per fare un gioco di parole, di ritrovamento. Non sono perduti in quanto smarriti in un'isola misteriosa (e questa è la prima grande incomprensione di un certo tipo pubblico troppo legato alle vicende terrene e superficiali che la serie metteva in scena), ma smarriti dentro di sé stessi. Gli eventi eccezionali e a tratti fantastici che accadono, a partire dall'incidente aereo, servono a creare in loro una consapevolezza e una possibilità di rinascita individuale. L'isola è il vero e proprio motore (a partire dalla quarta stagione pure letterale) di questo loro percorso interiore di auto-analisi. Non è un caso che fin dalla prima stagione, sebbene in maniera molto più leggera rispetto alle ultime stagioni, ci siano misteri incredibili e inspiegabili (Locke che non ha più bisogno della sedia a rotelle è il primo vero shock) che hanno a che vedere con una dimensione "altra". Tutto voluto, perché il vero cuore di Lost sta nel conflitto tra due visioni del mondo: l'uomo di scienza, rappresentato da Jack, e l'uomo di fede, rappresentato da Locke; la razionalità e la logica contro l'inspiegabile e la natura. Un conflitto che non solo coinvolge i percorsi dei personaggi e il loro tentativo di ricostruirsi, ma anche lo spettatore che deve decidere se accettare queste svolte narrative e alcuni dei misteri lasciati senza risposta (per quanto in Lost tutto avrà una risposta, seppur non sempre precisa e dettagliata) o rimanere fermo sulla propria visione logica e quadrata. Il messaggio di Lost, un messaggio di cambiamento e un invito ad ampliare i propri punti di vista, di accettare l'inspiegabile e accoglierlo, è reso perfettamente attraverso l'evoluzione del personaggio di Jack. "Si vive insieme, si muore soli" è il suo motto. E Lost ha reso al meglio l'essenza di condivisione, di comunità, di umanità del vivere immersi tra altre persone.
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"Nessuno muore da solo"
L'umanità dei personaggi di Lost è un altro aspetto che ha reso la serie memorabile e che, d'altro canto, ha dato la sensazione che spesso e volentieri girasse a vuoto. Ci sono molti personaggi nell'isola di Lost, chi più importante chi meno, ma ognuno ha i suoi pregi e i suoi difetti, ognuno è tridimensionale e totalmente umano. Impossibile, scorrendo i volti e i nomi, non ricordarli con una punta di nostalgia, come se stessimo ricordando delle vere persone e non dei personaggi appartenenti alla finzione narrativa. Grazie anche alla presenza dei flashback che, puntata dopo puntata, raccontavano il passato dei personaggi donando loro una nuova luce con cui vederli e seguirli, noi spettatori abbiamo imparato ad accettarli con tutte le loro caratteristiche e le loro indecisioni che spesso e volentieri li facevano tornare indietro nei loro passi, rivivere vecchie situazioni (è il caso di Charlie), involverli. Eppure è proprio in questi percorsi labirintici che sta la grandezza dei personaggi, è in queste imperfezioni che l'empatia colpisce più forte noi spettatori tanto che, nel finale, ci sembra di abbandonare una grande famiglia. E, come una grande famiglia, gli stessi personaggi si aspettano tra loro prima di oltrepassare le porte dell'Aldilà. Il motto di Jack si trasforma: si vive insieme e si muore insieme. Una delle più grandi incomprensioni del finale di Lost è dettato da quelle immagini finali sui titoli di coda che mostrano l'aereo distrutto sulla spiaggia fortemente volute dalla rete televisiva e, in realtà, non volute dai creatori della serie che hanno lasciato intendere che tutta la serie fosse una specie di sogno, l'isola una sorta di purgatorio e i personaggi fossero tutti morti nell'incidente aereo. Non è così. Come ha modo di spiegare al meglio il padre di Jack nella scena finale, tutto quello che abbiamo visto lungo il corso delle sei stagioni è accaduto davvero. La chiesa in cui tutti i personaggi si ritrovano nel finale è un luogo "mentale" creato apposta per ritrovarsi dopo essere morti. Noi assistiamo al punto di vista di Jack, essendo il nostro protagonista iniziale (la serie si apre con il suo risveglio), entrato in quel posto ultraterreno dove il tempo non ha importanza perché è appena morto nell'isola dopo aver sconfitto l'Uomo in Nero sotto le sembianze di Locke e dopo aver passato il testimone come custode a Hugo. Ma è bene sottolineare come quella scena finale avvenga al di fuori della cronologia lineare della serie: è un passaggio dalla vita alla morte che i personaggi compiono insieme, per celebrare la loro unione e quello che hanno passato insieme, un periodo - quello nell'isola - che li ha resi ciò che sono diventati, che li ha rinnovati.
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"Andare avanti"
Nel 2010, per di più in una serie broadcast ben distante dall'autorialità a cui siamo abituati adesso grazie alle piattaforme streaming e alle pay tv premium, un finale del genere era sicuramente qualcosa di inaspettato: troppo spirituale e autoriale in una serie che, sotto le leggi della televisione a largo consumo e in un'epoca dove non si era abituati a questa tipologia di prodotto seriale, si era forse dilungata risultando imperfetta come i suoi protagonisti. Dobbiamo ritornare al discorso iniziale, al fatto che una delusione vissuta in diretta possa forgiare un giudizio che, nel corso del tempo, si può ammorbidire. Cambiano i tempi, cambia la tv e, come fossimo un personaggio di Lost, cambia il nostro modo di vedere le cose. Siamo dell'idea che Lost non sia una serie perfetta, ma che sia una serie straordinaria, capace di appassionare come pochi altri prodotti televisivi, capace di invecchiare lentamente e risultare fresca e coinvolgente anche a distanza di un decennio. E crediamo che il finale, così particolare e che richiede un vero e proprio atto di fede dallo spettatore che deve entrare in questa dimensione spirituale, sia la vera ciliegina sulla torta. Un finale che mai come oggi risulta perfetto e attuale. Un finale che ci rassicura sui percorsi pieni di ostacoli, rimorsi, passi indietro e indecisioni che affrontiamo dentro di noi, che ci invita ad accettare i misteri e l'assenza di risposta, che ci tranquillizza sulla paura di morire ("Tutti muoiono prima o poi, Jack") e ci ricorda quanto sia importante vivere insieme ad altre persone, per quanto diverse possano essere da noi.