C'è qualcosa di nefasto, ombroso che balla in punta di piedi alle spalle dei ballerini di danza classica. Un cigno nero che si annida tra le piume del cigno bianco. Ambizione, sfinimento fisico e psicologico, unghie rotte e sudore misto a lacrime: sono tante e diverse le sfumature di un universo tanto elegante quanto deteriorante per delle anime fragili e sensibili. In quei corpi esili, scorre un sangue che ribolle di passione, talento e un tocco di egoismo che li eleva in alto, in salti acrobatici, portando i danzatori classici a sviare ostacoli e rivali pronti a tutto pur di ottenere un ruolo in prima fila. Un universo dicotomico, di purezza mista a sangue, che trova un posto tra i palinsesti televisivi di Sky grazie a L'Opéra, serie francese disponibile dal 12 marzo 2022. Qui troviamo una componente umana fatta di sguardi e gambe che crollano sul peso del passato e di cadute da cui non ci si è mai veramente rialzati, una forza attrattiva che prende e fa danzare l'occhio dello spettatore nello spazio di un ambiente intaccato da ambizione e masochismo. Come sottolineeremo in questa recensione delle prime quattro puntate de L'Opéra, l'universo seriale si fa sguardo indagatore privo di filtri mostruosi per rivelare un senso di realismo di corpi che ballano e anime che si crogiolano nel proprio inferno personale.
L'OPÉRA: LA TRAMA
All'Opéra di Parigi si vive un gioco di ambizione e consapevolezza del proprio talento. Se l'etoile Zoe fa di tutto per mantenere il proprio ruolo di prima ballerina, nonostante l'astio nei suoi confronti da parte del giovane e nuovo direttore, la nuova arrivata Flora tenterà di tutto per passare dall'ombra delle riserve alla luce delle prime file. Tra quelle delle due protagoniste, altre piccole storie faranno capolino, rendendo più umano e curioso un universo così apparentemente lontano e intoccabile come quello della danza classica.
TETTI SUL MONDO E PARETI CLAUSTROFOBICHE DI ANIME GIOVANI E FRAGILI
Vertiginosi ed emozionanti, i tetti dell'Opéra di Parigi si prestano alla vista come palcoscenici del mondo su cui camminare con passi attenti per non cadere e toccare il fondo. I tetti dell'Opèra sono per i giovani ballerini un portale diretto su un senso di libertà sottratto loro tra le pareti del teatro. Ma nel mondo di Zoe non c'è più spazio per tetti e finestre sul mondo esterno. Per una donna soggiogata dalla propria ambizione, sospinta dal desiderio di rimanere in alto, l'ambiente a lei destinato è claustrofobico, chiuso, fatto di pareti di casa, di spazi angusti, di sgabuzzini trasformati in sale da prova, e banconi di bar su cui ritrovare l'elisir di una felicità effimera pronta a scomparire nell'arco di una sbronza. Chiusa in se stessa, e schiacciata dal peso delle aspettative proprie e altrui, l'ètoile lascia spazio alle proprie debolezze, a fragilità e aspetti interiori che rendono il personaggio interpretato da Ariane Labed concreto e reale.
Grazie alla propria performance, l'attrice attiva un processo di umanizzazione restituendo vizi e virtù di una danzatrice chiamata a restare sulla cresta dell'onda. Labed scava a fondo nella psicologia di Zoe, ne interiorizza i suoi demoni traducendoli nella forma di una mimica facciale mai caricata, ma giocata in sottrazione. Ottimo anche Raphaël Personnaz nei panni del direttore Sébastien, una commistione di ambizione mefistofelica e tenue fragilità pronta a rivelarsi nello spazio di uno sguardo basso e granitico. A sorprendere tutti è però la freschezza di Suzy Bemba che nei panni della riserva Flora incarna le aspirazioni e i desideri di una giovane ballerina frenata da sguardi e pregiudizi per il colore della propria pelle. Flora si fa dunque portavoce delle ingiustizie espresse a mezza voce rivolte a quella seconda generazione di immigrati che, nonostante la piena cittadinanza francese, ancora sentono il peso delle discriminazioni a scapito del talento.
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STELLE FULGIDE E STELLE CHE SI SPENGONO
Cigni bianchi e cigni neri, personalità pure e di talento che combattono con i propri demoni interiori a passo di danza. Senza cadere nel psicologismo orrorifico di Darren Aronofsky e il suo Cigno Nero, e nemmeno nelle luci psichedeliche di visioni alienate da sostanze stupefacenti del poco riuscito Birds of Paradise, L'Opéra gioca sul minimalismo introspettivo e linearità del racconto per analizzare gli attacchi (auto)-sabotatori che colgono inermi i protagonisti della serie tv ideata da Cécile Ducrocq.
Un'indagine introspettiva orientata sulla componente umana che si ripercuote nella decisione di relegare nel fuori campo elementi caratterizzanti il mondo della danza come quelli degli specchi: la forza riverberante di portali riflettenti pronti a chiamare a sé, fino a renderli visibili, i demoni annidati nella mente dei ballerini, vengono qui sostituiti dalla loro controparte fisica, reale. La regia di Ducrocq vive di primi piani e inquadrature ristrette sui volti dei propri protagonisti. Un gioco di dettagli che compongono un collage di umana fattura, attraverso il quale lo spettatore può percepire e condividere paure e sentimenti della propria controparte seriale. Ecco dunque che a muoversi silente nel corso dell'opera si sente lo spettro del pregiudizio pronto a sminuire il talento per una pelle più scura; c'è poi il terrore di cedere sul peso di un corpo che non risponde per l'età che avanza e per un infortunio mai superato; c'è l'ansia di una sfida con un direttore che non crede più nel talento della propria Étoile: c'è, insomma, una giostra di sguardi e sospiri, cadute e pianti, chiamate e riserve, abbandoni e ritorni che rafforza una serie che vuole lasciarsi alle spalle il mondo della finzione per raccontare quello della realtà. Una montagna russa che risente dell'influenza filmica e seriale di fattura francese, interessata alle reazioni umane nei confronti degli sgambetti della vita piuttosto che alla messa in scena di incubi sotto forma di effetti speciali.
Una ricerca della straordinarietà nell'ordinarietà della vita, e dell'ordinarietà in vite solo apparentemente straordinarie, per mostrare come dietro anche le luci della ribalta si nasconda il buio del male di vivere intessuto di timori e paure, slanci masochisti e crolli psicologici. Il tutto filtrato da un naturalismo capace di porre lo spettatore al centro dell'azione e farlo sentire parte integrante della storia, occhio che spia, testimone privilegiato, voyeur dal buco della serratura che assiste allo scorrere di una e più esistenze. Esistenze colte in punta di piedi e pronte a cadere nel baratro del sottopalco personale. Ascesa e caduta che l'Opéra ha saputo immortalare e ora pronta a continuare a narrare nei successivi episodi.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione delle prime quattro puntate di L'Opéra sottolineando quanto quello qui proposto si presenti come un prodotto solido, reale e umano. Le storie intrise di realismo colpiscono l'attenzione dello spettatore innescando quel processo di immedesimazione che pronta ben presto alla fidelizzazione.
Perché ci piace
- L'indagine posta sull'aspetto umano.
- Le performance degli attori.
- La psicologia resa attraverso la mimica facciale.
- La regia giocata su primi piani.
Cosa non va
- Una fotografia anonima.
- Presenza di momenti morti prima di interessanti punti di svolta.