Dura la vita del sequel cinematografico, o televisivo. Fratello minore di un primogenito perfetto, senza difetti, obbediente e impeccabile, le aspettative verso questo secondogenito si alzano, rafforzate da una convinzione illusoria che tutte quelle qualità già dimostrate dal primo nato, vengano reiterate dal secondo. Ma se è vero che tutti nasciamo speciali perché unici nel nostro genere, anche nei sequel inizia a svilupparsi una natura del tutto originale, simile ma mai uguale a quelle a lui precedenti.
Come sottolineeremo in questa recensione de L'Opéra 2, la serie creata da Cécile Ducrocq e disponibile su Sky, vuole mettere le cose in chiaro sin da subito: non è, e non vuole essere, una mera operazione di "copia e incolla" della stagione precedente. Bastano pochi minuti e le differenze che la distanziano dalla prima serie sono lampanti. Nessun pianto a squarciagola a riempire la sala prove; L'Opéra 2 fa la sua entrata nel mondo in punta di piedi, silenziosa, come le ballerine che immortala e restituisce con silente eleganza. Nessun terremoto a scuotere le vite delle sue protagoniste; nessun crollo emotivo che le spinge all'autodistruzione. Le prime puntate si susseguono con continui arabescque leggeri, impercettibili, in una salita verso l'alto che scaraventerà lo spettatore verso un'implosione di eventi apparentemente tranquilli, ma colmi di paure e fragilità.
L'Opéra 2: la trama
Il teatro dell'Opera di Parigi riapre le proprie porte, proponendo nuovi programmi, nuovi progetti, nuovi drammi e intrighi all'ombra del palcoscenico. La giovane Flora e l'ètoile Zoé tornano a volteggiare eleganti ripartendo praticamente da zero. L'uscita di scena di Sebastien (Raphaël Personnaz) ha causato molti problemi, ma ora la compagnia di ballo ha finalmente trovato una nuova guida, Diane Taillandier (Anne Alvaro). I ballerini si sentono estremamente motivati grazie alla sua presenza, ma qualcosa di nefasto inizia a farsi largo tra i corridoi del teatro, lasciando liberi di muoversi barlumi di fatica, difficoltà, pregiudizi e continue competizioni.
L'Opéra, la recensione delle prime quattro puntate: la vita tra cadute e passi in punta di piedi
Soffrire per uno, soffrire per tutti
Non più sguardi indagatori su singoli cigni neri nascosti all'ombra del cigno bianco: la macchina da presa adesso si allarga, raccogliendo i propri protagonisti in un racconto corale, quello di una compagnia dove l'ambizione personale si tramuta in un senso di minaccia, e di vessazioni che tutto prendono e tutto colpiscono. Nessuna ètoile è adesso pronta a rubare la scena e incanalare l'attenzione del proprio pubblico adorante su di sé; nel mondo de L'Opéra 2 tutto si apre, si àncora alla sofferenze dell'uno per moltiplicarsi ed elevarsi in quello di tutti. A differenza della stagione precedente, L'Opéra 2 danza in punta di piedi, senza strafare, si allena e si prende i suoi tempi per ballare con estrema sicurezza lasciando un segno profondo nello strato più invisibile del proprio pubblico.
Ciononostante, questo sostrato di tranquillità che cela un vulcano interiore sul punto di esplodere, rischia di annoiare lo spettatore, riducendo al grado 0 la sua soglia dell'attenzione. Nell'arco di quattro puntate, quello imbastito da Cécile Ducroq è un modello preparatorio pieno di aghi e fili che cuciono, tessono, per realizzare un finale di stagione che urla in un grido sordo, travolgendo con la sua forza d'urto l'anima e il corpo del proprio spettatore. Ci sarà un incidente; ci saranno offese, ricadute mentali, ma tutto ne L'Opéra 2 si convoglierà in scariche elettriche atte a tenere in vita un racconto lineare, che cammina lento, per poi lanciarsi in uno sprint finale dove il cuore batte forte e l'adrenalina si scarica con una forza improvvisa.
La danza del dolore nascosto
Lontana dal palco, la stella di Zoé (Ariane Labed) brilla di una luce sempre più debole. L'ètoile ambiziosa, disposta a tutto pur di combattere in nome del proprio talento, lascia spazio a quel mondo da prima tenuto nascosto all'ombra della sua personalità. Una presenza/assenza, quella della protagonista, che permetterà ad altre gambe di lanciarsi sul palco, e ad altri sguardi di squarciare il sipario invisibile che li separava dai propri spettatori. Sfruttando le potenzialità di un'espressività giocata in sottrazione, questi giovani danzatori ricevono adesso il ruolo di primi ballerini trascinando una sceneggiatura piena di silenzi dolorosi, e percorsi pianeggianti colmi di trappole e buche improvvise. Senza cadere nel psicologismo orrorifico di Darren Aronofsky e del suo Il Cigno Nero, la seconda stagione de L'Opéra raccoglie in eredità quel minimalismo introspettivo della stagione precedente per indagare a debita distanza gli attacchi (auto)-sabotatori che colgono inermi i protagonisti della serie tv ideata da Cécile Ducrocq. Una simbiosi tra palco e danza, cadute in scena, e ricadute psicologiche che si riverberano nelle performance dei propri interpreti. Ancora una volta a sorprendere è la capacità di Suzy Bemba di modellare la propria Flora su una naturalità disarmante, eliminando le distanze che la separano dai propri spettatori. È in quello sguardo fiero, mai basso, e sempre pronto a sfidare un sistema che chiede e non gratifica, che insulta e non accarezza, che la sua Flora incarna le aspirazioni e i desideri di una giovane ballerina frenata da sguardi e pregiudizi per il colore della propria pelle, o per una carriera iniziata troppo tardi.
Danza che ti vendichi
Gli specchi che restituiscono l'immagine riflessa di ballerini sorridenti sul palco, ma vuoti dentro, fanno la loro comparsa in maniera meno evidente rispetto alla stagione precedente. Una scelta non causale, ma nata in seno a quel desiderio di scrutare più da vicino il mondo della danza, sacrificando i mostri interiori per mostrare i diavoli sulla terra. E così, i fantasmi della protagonista che danzavano silenti circondandola di paure e timori, lasciano adesso spazio a un racconto più ampio, più umano, fatto di ferite interne, e cicatrici mal richiuse per insulti adolescenziali, o traumi mai superati. Una condivisione di emozioni e sofferenze che si allarga toccando e ferendo ogni membro del corpo di danza, tanto da influenzarne il suo perfetto funzionamento, come la rottura di un arto che compromette il movimento di tutto il fisico.
Quelle colte dalle orecchie dei danzatori, e riverberate da movimenti insicuri e sguardi brucianti di odio, sono maledizioni lanciate da una bocca come quella di Diane, che promette e non mantiene, distrugge ma non ricostruisce. Sono battute al vetriolo, parole masticate e sputate con puro narcisismo figlie di una personalità che Cécile Ducrocq tratteggia con profonda introspezione sulla carta, e l'attrice Anne Alvaro restituisce mefistofelicamente sullo schermo. Un gioco di complicità e perfetta interiorizzazione che fa di questa serie uno sguardo diretto e mai edulcorato dove il mondo della danza sporca il bianco del tutù con il rosso della vendetta, e il nero della delusione.
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Danze straordinarie di esistenze ordinarie
Affrancato dall'idea che lo schermo si faccia semplice finestra di esistenze straordinarie, lo spettatore sottovaluta la potenza innestata dall'ordinarietà di vite apparentemente normali. E quelle immortalate da L'Opéra 2 si mostrano effettivamente come sprazzi di una quotidianità colta quasi per sbaglio. Happening apparenti di esistenze verosimili, le sequenze raccolte in questa seconda stagione non vogliono puntare su virtuosismi spettacolari, quanto rivelare l'essenza di fantasmi inespressi di esistenze colte in punta di piedi e pronte a cadere nel baratro del sottopalco personale. E così dietro i lustrini, le piume e i riflettori, si nasconde in L'Opèra 2 un sottosuolo umano soffocato dalla rabbia, dalla cleptomania, dal desiderio e dal tradimento personale. Un saggio antropologico di fattura quasi documentaristica che fa di questa stagione un racconto letto a voce bassa, ma per questo ancora più accattivante e coinvolgente nel suo punto di massima disillusione, dove tutto trema, si sgretola, si lacera come pelle distrutta da vesciche dolorose.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione de L'Opéra 2, sottolineando come il ritorno dell'ètoile Zoe e del resto del corpo di ballo parigini confermi il suo essere un prodotto solido, verosimile e credibile. Le distanze tra mondo rappresentato e spettatoriale decadono, offrendo l'illusione di assistere a quotidianità reali di difficoltà reali.
Perché ci piace
- L'indagine sulle fragilità e i dolori che i ballerini riverberano nella danza.
- Le performance naturali degli attori.
- L'espressività degli interpreti giocata in sottrazione.
- Gli inserti danzati.
Cosa non va
- Una troppa linearità e "tranquillità" di racconto che vanno a caratterizzare i primi episodi.
- Certe situazioni del tutto eliminabili.