Lo strangolatore di Boston, la recensione: sbatti il mistero in prima pagina

La recensione de Lo strangolatore di Boston, il film di Matt Ruskin sul serial killer che sconvolse la città statunitense negli anni Sessanta, e la lotta compiuta a suon di articoli e indagini a opera di due reporter del Record-American: Loretta McLaughlin e Jean Cole.

Lo strangolatore di Boston, la recensione: sbatti il mistero in prima pagina

Il male fa paura perché è inaspettato: ti colpisce quando meno te lo aspetti, da persone innocue, ordinarie, insospettabili. Il male fa paura perché non ha luogo; attacca nel cuore di una strada affollata, o nel disordine di una stanza illuminata da una luce flebile. Il male fa ancora più paura se non ha un volto, un nome, un corpo da vedere e così annientare. E quello che si muoveva indiscreto tra le vie di una Boston degli anni Sessanta era davvero un male che faceva paura, perché inaspettato, senza luogo di azione e nome, ma con mani che stringono e che tolgono il fiato.

Come sottolineeremo in questa recensione de Lo strangolatore di Boston, il film scritto e diretto da Matt Ruskin, e disponibile su Disney+, respira a pieni polmoni quell'aria lugubre, pesante, di chi vive nella paura di sentire attorno al proprio collo, le mani del serial killer. In un periodo storico in cui lo stesso termine di "assassino seriale" non era stato ancora coniato, la mente di due donne hanno saputo muoversi, pensare, leggere gli indizi tra gli spazi di report confusionari, per collegare gli omicidi di vittime colpevoli solo del loro essere donne. Donne che denunciano, e donne che cadono: un cortocircuito innescato dalla mente di un serial killer tenuto nell'ombra, un fantasma che si aggira silenzioso, e per questo più temibile perché invisibile, inatteso, improvviso.

Lo strangolatore di Boston: la trama

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Lo strangolatore di Boston: Keira Knightley in una foto del film

Loretta McLaughlin (Keira Knightley), non ha niente di speciale: è una giornalista del quotidiano Record-American che si occupa di recensire piccoli elettrodomestici e oggetti della casa. Eppure Loretta ha uno spiccato senso critico e un occhio attento ai dettagli. E fu così che il caso volle che sia proprio lei, ancor prima della polizia, e dei suoi colleghi maschi, a trovare una correlazione tra gli omicidi del temibile Strangolatore di Boston. Mentre il misterioso assassino miete sempre più vittime, Loretta trova nella collega e confidente Jean Cole (Carrie Coon) il proprio braccio destro, ma a ostacolare il duo nelle loro indagini ci pensa il dilagante sessismo dell'epoca. Ciononostante, McLaughlin e Cole portano avanti la storia correndo un grande rischio personale, fino a mettere a repentaglio le loro stesse vite nel tentativo di scoprire la verità.

La parola è donna

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Lo strangolatore di Boston: Carrie Coon e Keira Knightley in una foto del film

Nessuna romanticizzazione, o temibile fascinazione per il serial killer. Ne Lo strangolatore di Boston Ruskin cambia le carte in gioco, modifica gli assetti di una narrazione che alla scena del crimine sostituisce la redazione di un giornale; al sistema patriarcale di uomini che colpiscono e che indagano, pone al centro della storia gli occhi che osservano, e le dita che battono su macchine da scrivere, di due donne per anni tenute nascoste in quella stessa ombra che avvolgeva l'identità dell'assassino. E così, Lo strangolatore di Boston va a inserirsi perfettamente in quella galleria di pellicole pronte a riporre le figure femminili nella loro giusta posizione: al centro della storia. Dopo Anche io - She Said ed Erin Brockovich la biografia giornalistica si spoglia di figure femminili pronte a comparire nel ruolo di vittime, o di mogli in apprensione per un marito in ritardo, per vestire l'abito del coraggio di due reporter pronte a dire e mostrare, rivelare e non dissimulare. Nessuna edulcorazione, nessun facile buonismo: Loretta e Jean si mettono al servizio di una verità celata, complessa, lontana da quel pietoso sentimentalismo affidato anacronisticamente a certi personaggi solo perché femminili. Non più canali di buoni sentimenti, le due protagoniste sono fiumi di parole pronte a denunciare, collegare, innescare un meccanismo di indagine pronto a sostituirsi a quello compiute dai canali ufficiali che lasciano sfuggire l'omicida, e aumentare le vittime.

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Quadro gelido di timori cittadini

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Lo strangolatore di Boston: una foto del film

Un quadro alla Hopper colorato di tinte desaturate, fumose, fredde, cromaticamente riflettenti il senso di angoscia di una Boston perennemente in tensione: ecco come si presenta visivamente Lo strangolatore di Boston. Fondato su un impianto cromatico figlio degli insegnamenti lasciati da David Fincher e dal suo Zodiac, il film di Ruskin traduce in linguaggio cinematografico quel male invisibile che si annida nel cuore di una città che corre, fuma, beve, (sopra)vive. A catturare esistenze che osservano, e occhi che impauriti scrutano, ci pensa la macchina da presa di Ruskin, che trova nella ripresa angolata, e nella potenza di un fuori campo che allude a qualcosa di misterioso, angosciante e pauroso, la propria valenza inconsciamente empatica. Un saggio sul gioco della pagina contro l'irrazionalità dell'istinto animalesco, tenuto in piedi da primi e promisi piani capaci di catturare l'umore di un momento, o la complessità di emozioni sopite, o incastrate nello spazio di un non detto. Senza che il desiderio di dare un volto all'assassino scaturisca in ossessione, Loretta e Jean sfidano comunque il sistema, perchè ligie al dovere, alla propria professione, e a quel senso di appartenenza a una comunità soprattutto femminile da difendere con l'unica arma in loro possesso: la parola.

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Parole sulla pagina, emozioni in sguardi

Boston Strangler
Locandina di Boston Strangler

Sono mani che strangolano contro mani che scrivono, quelle de Lo strangolatore di Boston. Un testa a testa messo in atto sul ring cittadino senza vincitori, o vinti. Le due protagoniste si ammantano di inchiostro; lasciano scorrersi addosso, tra gli strati più profondi dell'epidermide, testimonianze e confessioni indicibili; fotografano con la mente istantanee di scene del crimine che tanto vorrebbero dire, ma poco rivelano agli sguardi superficiali di poliziotti distratti. Quella de Lo strangolatore di Boston è dunque una componente umana forgiata dalla forza impattante di due performance composte, minimaliste e dal forte naturalismo come quelle costruite da Keira Knightley e Carrie Coon. Con attenzione millimetrica, le due si fanno sarte navigate, chiamate a cucire su di loro un abito intessuto di psicologie forti e caratteri autorevoli. Liberatasi da quella maschera di smorfie che ne appesantivano l'espressività interpretativa dai tempi di A dangerous Method, Keira Knightley fa della sua Loretta una donna che si muove in silenzio, lasciando che siano i suoi articoli a fare rumore. Sfruttando la potenza di una mimica facciale minimale, e una recitazione giocata in sottrazione, tra piccoli gesti e reazioni appena accennate, l'attrice riesce a far trasparire tutta la tempesta interiore che sconvolge dentro la sua Loretta. Uno schema performativo reiterato dalla sua co-protagonista, Carrie Coon, capace di atterrire il corollario di presenze maschili che la circondano con la potenza di battute al vetriolo masticate e poi rigettate con potenza.

Non docili, non sottomesse: semplicemente donne trattate e tratteggiate da Ruskin in egual modo dei loro colleghi maschi. Ecco la Loretta e la Jean de Lo strangolatore di Boston. Due donne che dal buio delle pagine di storia, ritrovano alla luce grazie a quelle parole da loro stesse pensate, stampate, lette e destinate a dare un nome e probabili identità allo Strangolatore di Boston.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione de Lo strangolatore di Boston sottolineando come il film diretto e scritto da Matt Ruskin (e disponibile su Disney+) riesca nell'intento di modificare gli assetti del tipico film thriller-biografico, per porre al centro della scena non più la figura del serial killer, ma le due giornaliste che hanno tentato con la forza della parola, di concludere il caso. Senza retorica, ma ancorandosi all'obiettività dei fatti, il regista e il resto del proprio cast, confeziona un'opera tanto impattante, quanto attuale.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.8/5

Perché ci piace

  • La potenza di una storia ancora attuale come non mai.
  • Le performance degli attori, in particolare del duo Keira Knightley-Carrie Coon.
  • Le inquadrature angolate che donano un senso di timoroso straniamento.
  • La fotografia fredda e desaturata.

Cosa non va

  • Il coraggio di osare ancor più su certe scelte registiche.
  • Un finale un po' troppo dispersivo.