Le mani stringono, le mani uccidono. Le dita si fanno strumenti di morte, armi lasciate libere di agire da uomini senza volto, colpevoli senza nome. Eppure, tra le strade di una Boston anni '60 intrisa di paura e tensione, due donne hanno deciso di sfruttare il potere della parola per fermare la scia di omicidi che colpiva una quotidianità che scorre ignara di tutto. Gli articoli comparsi sul Boston Record American e firmati da Loretta McLaughlin e Jean Cole tornano a essere materiale cinematografico, ribaltando il punto di vista della narrazione offerto già dal film del 1968 con protagonista Henry Fonda, per rileggere la storia da chi di quel caso ne è stato portavoce.
Quella de Lo Strangolatore di Boston è tuttavia una storia di cui molti sanno ma solo superficialmente. Tanti i misteri che ancora avvolgono una vicenda piena di interrogativi, ed è proprio partendo da queste lacune che il regista Matt Ruskin ha affidato le fasi iniziali della propria opera: "Crescendo a Boston era impossibile non essere a conoscenza di tale caso, sebbene in maniera molto superficiale. È stato solo quando ho iniziato a interessarmi al caso che ne ho veramente compreso la portata sociale, complici anche gli articoli firmati da Loretta e Jean, le prime che hanno colto le analogie e i collegamenti tra i vari omicidi. Ho pensato pertanto che fosse giusto e doveroso narrare finalmente questa pagina di cronaca nera attraverso il loro punto di vista".
Jean e Loretta: il recupero della loro memoria storica
In effetti Lo strangolatore di Boston è un film in cui gli uomini fanno da corollario a un continuo sostituirsi di letture, indagini, osservazioni compiute dalle due protagoniste. Nata e cresciuta in Inghilterra, Keira Knightley non sapeva nulla di tale caso; tutto ciò che ha appreso lo ha recepito leggendo lo script. Ma è soprattutto "il punto di vista prescelto per la narrazione, ossia quello delle due giornaliste, e il fatto che siano state proprio loro a portare alla luce tale storia" la motivazione finale che l'ha spinta ad accettare questo progetto.
"La cosa che invece mi ha particolarmente scioccato", aggiunge l'altra protagonista Carrie Coon, "è il fatto che per quanto queste due donne abbiano portato avanti le indagini con un'integrità professionale più unica che rara, non vengano mai citate nel contesto di questo caso".
Già perché ciò che hanno compiuto Jean e Loretta è qualcosa di doppiamente straordinario. Non soltanto hanno permesso la continuazione delle indagini, ma hanno anche sfidato i limiti imposti dalla società degli anni Sessanta che voleva le donne adatte solo a certe tipologie di professioni, o alla trattazione di determinati argomenti. "Ciò che ho apprezzato del film di Matt" aggiunge a tal proposito Carrie Coon "è il modo in cui ha affrontato le storie professionali delle due protagoniste, intrecciandole alla loro sfera privata. Vengo dal Midwest; mia mamma era infermiera e le mie nonne rispettivamente insegnante e casalinga. Erano queste le opportunità che la società offriva alle donne al tempo. Quella che ha compiuto Jean per diventare giornalista è stata una vera e propria lotta, il che fa del nostro film e in particolare dell'interesse morale di Matt verso tale racconto, un'opera pienamente femminista".
Cambiare il punto di vista della storia
Carrie Coon lo ha sottolineato egregiamente: è infimo lo spazio dedicato a Loretta e Jean nella cronache giornalistiche. Vien da sé chiedere al regista Matt Ruskin quali ricerche abbia compiuto e se sia stato effettivamente così difficile reperire le informazioni sul caso. La risposta è lapidaria: "Confermo tutto, sono pochissime le informazioni reperibili su Loretta e Jean. Una delle due figlie di Jean aveva un profilo Facebook e lì trovai una foto che la immortalava abbracciare una mia vecchia amica. Venne fuori che era sua mamma e sua nonna era proprio Jean! È solo attraverso questi collegamenti se sono riuscito a scoprire qualcosa di più su di lei e Loretta".
Quello trattato da Lo strangolatore di Boston è solo l'ultimo tassello di un genere che sta prendendo sempre più piede come quello del true-crime. Sebbene sviluppato partendo da un punto di vista del tutto divergente, si insinua anche nel film di Ruskin un timore condiviso circa la possibile spettacolarizzazione del dramma, ma anche della romanticizzazione della figura del seriale killer. Un fattore, questo, su cui lo stesso regista ha meditato a lungo e che lo ha portato alla scelta di "narrare questa storia filtrandola dalla prospettiva delle giornaliste rispetto a quella canonica del killer, o del detective come di solito avviene nei tipici film hard-boiled".
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Uomini forti, uomini soli
A rappresentare il modo in cui la società giudicava l'operato delle due reporter è sicuramente il personaggio di Chris Cooper. Direttore editoriale e volto del giornalismo del tempo, quello creato dall'attore è "un uomo che non era mai completamente interessato a quel caso. Ho iniziato una ricerca personale anche riguardante la terminologia, e la gerarchia che viveva all'interno di quel sistema giornalistico, aiutato da una vecchia firma del Boston Globe, Eileen McNamara. Quello che mi ha colpito particolarmente dello script è la risposta che Loretta diede al 'non sono nessuno' del mio personaggio riferito alle donne uccise. 'Quelle sono le persone che leggono il tuo giornale' è una risposta netta, decisa, capace di far cambiare il punto di vista anche al mio Jack e che dimostra il tipo di atteggiamento che vigeva al tempo nei confronti delle donne".
Per una controparte maschile che ostacola, per poi aiutare l'operato delle due reporter, vi è un altro personaggio, come il detective Jim, che da antagonista si dimostra sempre più indispensabile nella lotta all'identificazione dello strangolatore di Boston. Dopotutto, come sottolinea il suo interprete, Alessandro Nivola: "Jim pare scocciato che il dipartimento di polizia sembri disinteressato non solo al caso, ma anche a sfruttare le tecnologie moderne offerte dalla psicologia forense. Ecco dunque il motivo per cui Jim compie quello che per lui è un passo disperato, come quello di incontrarsi con Loretta e discutere del caso. Jim viene probabilmente da una famiglia di poliziotti quindi aiutare una giornalista che faceva passi avanti rispetto al corpo di polizia lo poteva mettere in cattiva luce. Ma lui accettò comunque. C'era qualcosa che legava i due, una sorta di ossessione per il caso che li spingeva a ritrovarsi, incontrarsi così da unire le forze e porre fine a quella scia di sangue".
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Storia disumana per un film umano
Se è vero che il motivo che ha spinto Chris Cooper a far parte di questo progetto è il suo essere un film dalla forte caratura umana (cosa che avviene sempre meno, perché il business è cambiato") il modo con cui Keira ricorda i momenti sul set sembrano confermare quanto appena detto dal suo collega: "È stato bellissimo passare del tempo tutti insieme, ma in particolare con Carrie. Anche lei è mamma di due bambini, quindi bastava guardarci negli occhi per capire quanto assonnate fossimo e/o quanto poco avessimo dormito". Un legame e una chimica che è andata a influenzare positivamente la loro performance, riverberando sullo schermo quella complicità vigente anche al di fuori della cornice cinematografica. Ma se entrambe le attrici, madri e moglie impegnate dentro e fuori dal set, hanno saputo cucirsi addosso questi ruoli è soprattutto grazie alla chiarezza della sceneggiatura. "Fino a sette anni fa creare un personaggio dal nulla era un gioco da ragazzi per noi" confessa Carrie Coon, "adesso ci affidiamo totalmente alla buona scrittura di uno script perché impegnate come siamo non abbiamo la forza e il tempo per prepararci".
Mamme, lavoratrici instancabili, ma soprattutto donne pronte a farsi veci di altre donne: è un gioco di specchi continuo, Lo strangolatore di Boston: un universo tra dramma e orrore, realtà e angoscia, pronto a lasciarvi senza fiato. Dal 17 marzo su Disney+.