In pochi si aspettavano che Shortbus, il nuovo film di John Cameron Mitchell, parrucca e anima del fondamentale Hedwig - La diva con qualcosa in più, trovasse una distribuzione in Italia: nessun nome di richiamo nel cast, tanto sesso esplicito (non simulato) e un target difficile da definire. Eppure, la BIM ha avuto il coraggio di scommettere sulla nuova fatica del geniale regista americano e venerdì 24 novembre distribuirà il film in ben sessanta copie. Ma avrebbero potuto essere almeno cento, stando a quanto dichiarato dal portavoce Valerio De Paolis, se alcuni esercenti non si fossero rifiutati di proiettare il film, considerato alla stregua di un comune porno. Fra questi i multisala, troppo timorosi di vedere la locandina di Shortbus accanto a quelle dei film più classici che ben si sposano con i gusti domenicali delle famiglie, ma il rifiuto è venuto anche da quegli esercenti che sono soliti proiettare film d'autore. Ci sembra superfluo commentare questa assurda decisione, ci basti solo dire che siamo profondamente orgogliosi e ancora gonfi di emozione per aver visto uno dei film più intensi ed illuminanti degli ultimi anni. A guidare il suo Shortbus in Italia è lo stesso regista John Cameron Mitchell che, durante la conferenza stampa romana, esprime con decisione il proprio punto di vista su sesso, politica e vita ai tempi della tecnologia.
Com'è nato il film?
John Cameron Mitchell: All'inizio il film non era che una pura forma d'esercizio. Ho visto tanti film europei con sesso non simulato, ma erano tutti film negativi, in cui il sesso veniva visto come un trauma o come la conseguenza di un trauma. Credo che il sesso sia una cosa più complicata, un qualcosa che va oltre la semplice eccitazione o la negatività. Nel fare il film avevo bisogno che gli attori fossero coinvolti attivamente nella stesura della sceneggiatura, perciò abbiamo prima fatto il cast e poi pensato a scrivere il copione, e sono passati due anni e mezzo prima dell'inizio delle riprese. In questo percorso persone che erano coinvolte all'inizio sono andate via, altre sono salite a bordo con noi in corso d'opera. Abbiamo avuto tempo per discutere i confini dei personaggi, non avevamo alcuna fretta perché era difficile mettere insieme i finanziamenti e un film così insolito era difficile da finanziare. Alla fine ce l'abbiamo fatta e abbiamo portato a casa il film con un budget di due milioni di dollari.
Quali sono state le sue fonti di ispirazione nella lavorazione del film?
John Cameron Mitchell: Sono cresciuto negli anni Settanta e, ovviamente, i film di quegli anni mi hanno influenzato molto, anche se molti di essi li ho visti solo nel decennio successivo. Una fonte di ispirazione per me è stata sicuramente Pier Paolo Pasolini con la sua esplorazione del sesso, della politica e dell'amore, ma anche col suo mix di stili diversi. Altri film ai quali mi sono ispirato sono stati Ai cessi in tassì di Frank Ripploh e Un chant d'amour di Jean Genet.
Cosa rappresenta per lei il sesso?
John Cameron Mitchell: Il sesso, come la musica, è un linguaggio universale, un veicolo attraverso il quale esprimiamo le nostre emozioni. Nel film non si dice che il sesso libero ci salverà, ma che il buon sesso ci aiuterà e questo implica il rispetto e la possibilità di tornare a guardarsi negli occhi. Una donna di trent'anni che non ha un orgasmo o un ragazzo che rischia di spezzarsi il collo per infilarsi in bocca il suo pene è qualcosa che va oltre il sesso, e riguarda tanti altri aspetti del nostro essere.
Questo film è molto diverso dall'immagine conservatrice che abbiamo dell'America di oggi. Com'è stato accolto il film dagli americani?
John Cameron Mitchell: A New York il film è uscito un mese fa ed è stato accolto come un film newyorchese à la Woody Allen, senza suscitare grandi controversie. Questo perché i conservatori, in questo periodo, sono impegnati a spiegare i propri scandali e non hanno tempo di mettere bocca in altre questioni. Inoltre, i conservatori sono diventati più sofisticati e si sono resi conto che se parlano troppo di un film la gente corre a vederlo.
Trova che in Europa ci sia una differente cultura religiosa e del senso del peccato che fa vivere il sesso in maniera diversa rispetto all'America?
John Cameron Mitchell: Quando parlo di negatività nei film che parlano di sesso non mi riferisco, naturalmente, solo a quelli europei. Basta pensare a Ken Park o Bully di Larry Clark, a The Brown Bunny di Vincent Gallo e a Battaglia nel cielo del messicano Carlos Reygadas. Non so perché questi film, dove il sesso non è finto, ma reale, presentino questa profonda negatività. Forse un po' è dovuto allo scoppio dell'AIDS. Fino agli anni Ottanta c'erano film che contenevano sesso, poi dopo l'esplosione di questa terribile malattia c'è stata una specie di moratoria di questi film in Occidente. Penso che i registi, attraverso le loro opere, affrontino i propri demoni, proprio come succede a me, ma non so perché per loro l'umorismo e la speranza siano una specie di anatema.
I personaggi di Shortbus sono tutti esseri umani ai margini, estremi. Perché questa scelta?
John Cameron Mitchell: Il sesso ordinario è noioso da guardare, a meno che tu non ti stia masturbando. La maggior parte dei film pornografici sono brutti, mentre il dramma richiede il conflitto. Molto del sesso del film non è soddisfacente, è problematico. Abbiamo cercato di togliere tutta la parte dell'erotismo per arrivare al cuore dei problemi dei personaggi. Tutti i protagonisti del film si sentono soli, alienati, disperati, ma cercano di creare una connessione tra di loro, di comunicare con altre persone. Non sono, certo, persone ordinarie, comuni, ma pur essendo insoliti, dei veri e propri freak, non sono poi così distanti da quelli che ci stanno intorno tutti i giorni.
Uno dei protagonisti, James, assomiglia al personaggio di Joe D'Alessandro di Andy Warhol. E' voluta questa somiglianza?
John Cameron Mitchell: E' buffo perché l'attore che interpreta James idolatra Joe D'Alessandro e ha realizzato un photo call per la rivista Interview proprio interpretando il suo ruolo. Il personaggio che interpreta in Shortbus, però, è venuto fuori da un lavoro di improvvisazione, e non penso che D'Alessandro ne sarebbe stato capace. Il suo ruolo è, invece, più ispirato al Jonathan Caouette, il regista di Tarnation, un film che racconta la sua vita attraverso i filmini che egli stesso ha girato negli ultimi venti anni. Io l'ho aiutato a finirlo e penso sia un film davvero bellissimo. Il lavoro di Jonathan, che in Shortbus fa un piccolo cameo, ci è stato di grande ispirazione.
Nel film c'è il personaggio di un ex sindaco di New York che ammette di non aver fatto abbastanza durante lo scoppio dell'AIDS. Da dove nasce un simile personaggio?
John Cameron Mitchell: Rudolph Giuliani, quello che era il sindaco di New York fino a qualche tempo fa, ha fatto di tutto per fermare la vita notturna, il sesso e il ballo, arrivando a dichiarare illegale il sesso fatto in piedi perché avrebbe portato alla danza. Per lui l'11 settembre è stata una vera svolta, perché prima d'allora era estremamente impopolare. Per quel che riguarda il sindaco del film, girava voce che ci fosse stato un sindaco che aveva affrontato il problema AIDS in maniera sbagliata e abbiamo voluto giocare con questa situazione.
Il locale Shortbus, che da il titolo al film e nel quale sono ambientate buona parte delle scene, esiste davvero?
John Cameron Mitchell: Il locale del film è ispirato a diversi locali di New York, soprattutto ad uno chiamato CineSaloon, un locale dove si proiettavano anche dei film. In posti come questi ci sono regolarmente eventi artistici, si beve e poi a tarda sera c'è la parte dedicata al sesso. C'è questo fascino del "sesso, politica e arte" come parte integrante della vita quotidiana. Un mio amico aprirà proprio la settimana prossima un locale ispirato a Shortbus che si chiamerà Unisex.
Qual è per lei il messaggio principale del film?
John Cameron Mitchell: Sono cresciuto in un ambiente molto conservatore, protestante e questo film è stato un duro colpo per i miei genitori. Per me invece è stata una liberazione sotto vari aspetti. Nel film c'è qualcuno che dice "è come essere negli anni Settanta, ma con meno speranza". Oggi c'è una profonda disillusione, si crede molto meno nell'utopia e in occidente si è d'accordo che questa non sia più possibile. L'unico che ci crede ancora forse è solo Bush. Nel film c'è un approccio pragmatico alla speranza. Noi che abbiamo realizzato Shortbus siamo ottimisti, ma preoccupati. Quello che ci chiediamo è: saremo soli o non lo saremo? Da molti punti di vista, New York, dopo l'11 settembre e sotto Bush, è piena di persone disilluse, lo spirito è stato schiacciato e c'è un diffuso senso d'impotenza. Io mi sono dato molto da fare durante l'ultima campagna elettorale per cacciare Bush e sono rimasto profondamente disilluso quando è stato rieletto, non riuscivo a credere a ciò che stava accadendo. Il mio non si può certo definire un film politico, ma la visione politica è implicita. Quando c'è stato il black-out a New York, una situazione che ho ripreso nel mio film, non c'è stato nessun atto di violenza nella città, sembrava un festival medievale al momento del raccolto. Tutti eravamo convinti che fosse un altro attacco terroristico, ma poi quella notte si è trasformata in un'esperienza bellissima e indimenticabile. Per la prima volta si sono incontrate persone che vivevano nello stesso palazzo senza essersi mai rivolta la parola. Il mio non è un film pornografico, ma è un film sull'armonia.
La tecnologia nel film è un elemento di grande solitudine. Pensa che sia così anche nella vita reale?
John Cameron Mitchell: C'è molta tecnologia che ci dice che esiste per aiutarci a connetterci tra noi e nel film c'è parecchia tecnologia, ma funziona male e alla fine esplode. L'utilizzo della tecnologia ha portato al degrado della cortesia e dell'onestà. La gente usa la tecnologia solo per nascondersi, per fare del sesso dietro uno schermo, ma quando la rete fallisce si ha un black-out, si riscoprono cose che non sapevamo e si ritrova un forte senso di cortesia. Questo è quello che è successo in quella situazione e a lungo termine ciò potrebbe succedere anche al nostro sistema di energia.
Shortbus è stato presentato fuori concorso all'ultimo Festival di Cannes. Qualcuno dice che sarebbe potuto figurare tra i film in competizione, ma alla fine si è preferito lasciarlo fuori. Perché?
John Cameron Mitchell: Non ci hanno mai spiegato il perché, ma in fondo è molto rilassante essere fuori concorso, perché le pressioni sono minori. E poi c'è sempre qualcuno che si chiede "perché non è in concorso", mentre se fosse passato in competizione sarebbero venuti fuori i coltelli. E' duro per i grandi registi dover soddisfare grandi aspettative, ed è meglio essere il brutto anatroccolo che poi diventa la sorpresa. Il film è stato proiettato a mezzanotte e mezza e devo confessare che durante la proiezione mi sono addormentato, ma mi sono risvegliato con una standing ovation.