Lo sguardo che uccide
"Mi piace soprattutto prendere il pubblico alla sprovvista. Dargli la sensazione di trovarsi su un terreno famigliare e poi brutalmente, senza preavviso, violentarlo."
Brian De Palma
Lo si nota fin dall'inizio: una carrellata a rallentatore che mostra uno spogliatoio femminile, la musica di Pino Donaggio, una ragazza sotto la doccia, tranquilla; poi, improvvisamente, l'orrore. Carrie scopre in modo traumatico le prime, ritardate mestruazioni, il suo volto si fa terrorizzato e le compagne la scherniscono, perché lei è la tipica collegiale timida, impacciata e beffeggiata da tutti. Il film è, ovviamente, Carrie -Lo sguardo di Satana, del 1976, il primo adattamento cinematografico di un romanzo di Stephen King, che sancì un fondamentale interesse nei confronti dello scrittore del Maine, ma soprattutto un enorme ed insolito successo commerciale per Brian De Palma. Si trattava di un horror giovanile, provvisto di una rara profondità, e dunque per nulla paragonabile ai tanti teen-movie attualmente presenti sul mercato. Oggi è considerato un classico e un caposaldo del suo genere, sebbene di veramente terrificante e angosciante ci sia la sola, ultima parte. Per il resto si tratta di un film drammatico, che ha come tema principale l'emarginazione e l'azione discriminatoria portata avanti dagli studenti, il disinteresse dei grandi e in particolare della scuola, come evidenzia l'imbarazzante incapacità del preside in una scena, ma non mancano esempi di sensibilità, come quello dell'insegnante di ginnastica, che informa l'ignara Carrie sulla sessualità femminile, e la giovane Sue Snell, che, pentita per il disumano comportamento, perpetrato nei riguardi della compagna, convince Tommy Ross, il suo ragazzo, ad invitare Carrie al ballo di fine anno. Uno sguardo, dunque, al mondo giovanile, pieno di malignità, di indifferenza, incoscienza e difficoltà nell'essere accettati. Ad aggravare la condizione di Carrie, è la madre, accecata dal fanatismo religioso, descritto in modo assai estremo, ma con un velato approccio comico. La interpreta, in modo straordinario, Piper Laurie, che ottenne una nomination agli Oscar, come la stessa Sissy Spacek (Carrie), anche lei bravissima, per l'espressività, l'insicurezza e la timidezza (accentuate dall'aspetto esteriore, con quei lunghi capelli a coprire il volto, gli occhi piccoli e impauriti, le lentiggini) che trasmette al suo personaggio. Altri elementi rilevanti, come il potere della telecinesi e l'indovinata colonna sonora, talora tenera e toccante, completano la caratterizzazione di Carrie e ne fanno un'icona del cinema horror. Il rapporto madre-figlia è qui un rapporto di disperata subordinazione. Appropriata anche la scelta della casa in cui le due vivono, uno scenario cupo, semibuio, di una religiosità inquietante. La sceneggiatura, molto fedele alle vicende narrate nel romanzo di King, eccetto la parte finale, mette da parte l'elemento soprannaturale, per concentrarsi, come già detto, su tematiche di impronta drammatica. Completano il cast i cattivi John Travolta l'anno seguente sarà la volta de La febbre del sabato sera) e l'altezzosa e antipatica Nancy Allen. Entrambi collaboreranno nuovamente con De Palma in Blow Out. Come al solito, la regia di De Palma è superba, in particolare raggiunge la perfezione tecnica e crea molta tensione nella scena della festa di fine corso. Carrie verrà incoronata reginetta della scuola, un momento magico per lei, in cui finalmente si sentirà accettata dalla gente, ma solo per poco. Un brutale scherzo causerà la sua vendetta. Carrie passerà dal ruolo di vittima a quello di carnefice, e malgrado ciò il pubblico continuerà a fare il tifo per lei, un aspetto che rafforza l'originalità di questa pellicola. L'esito, per niente rassicurante, sarà un vero e proprio gioco al massacro. La scena conclusiva, da infarto, è molto simile a quella di Vestito per uccidere.