L'attesa è giunta al termine. I fan di Peter Jackson e dell'opera di J.R.R. Tolkien possono rituffarsi nell'universo mitico della Terra di Mezzo, ritrovando vecchi e nuovi eroi, a dieci anni di distanza dalla conclusione della trilogia miliardaria e pluripremiata che ha condotto il regista neozelandese nell'Olimpo delle star. Lo Hobbit: un viaggio inaspettato è giunto nei cinema italiani il 13 dicembre; coronamento, questo, di un lungo percorso costellato da ritardi, problemi produttivi, avvicendamenti al timone di regia (Guillermo del Toro si è tirato indietro "costringendo" il produttore Peter Jackson a rimettersi in sella, per la gioia degli estimatori della prima trilogia), una lunga e complessa lavorazione e - notizia recente - la messa in cantiere di un The Hobbit numero tre. In questi ultimi dieci anni le tecniche di ripresa e di post-produzione hanno vissuto un sostanziale balzo in avanti con l'avvento del 3D e la Weta Digital, divisione della compagnia fondata da Jackson nel 1993 specializzata nello sviluppo e nella realizzazione di effetti speciali digitali, ha fornito un contributo sostanziale. Alla Weta Digital si deve la realizzazione del fantastico pianeta dei Na'vi di Avatar, gli incredibili primati de L'alba del pianeta delle scimmie, l'universo coloratissimo di Le avventure di Tintin: Il segreto dell'unicorno e naturalmente la Terra di Mezzo e le sue magiche creature. Ma Weta Digital parla anche italiano. A poche ore dalla release di Lo Hobbit: un viaggio inaspettato abbiamo intervistato Luca Fascione, uno dei talenti italiani in forza allo studio dal 2005 col ruolo di rendering research lead, che ci ha parlato del suo contributo all'attesa pellicola di Jackson e della sua esperienza cinematografica agli antipodi.
Luca, che atmosfera si respira a Wellington in questi giorni?
Purtroppo non ho molto tempo per verificare com'è la situazione in città, ma posso dirvi che l'attesa per Lo Hobbit è enorme. Nell'atrio dell'aeroporto è stata posta un'installazione realizzata dai colleghi di Weta Workshop. Chi entra trova degli enormi salmoni e un gigantesco Gollum che si sporge all'interno per afferrarli. Per la città si vedono ovunque bandiere con su scritto "Benvenuti nella Terra di Mezzo" e c'è persino un mercatino in cui vendono oggetti ispirati al mondo di Tolkien.
Sono nato a Pisa e mi sono laureato in matematica a Roma. Quello che ho cercato di fare è stato conciliare la mia passione per i numeri e la tecnologia con quella per il cinema. Il mio primo lavoro è stato Valiant a Londra, un lungometraggio animato a cui hanno lavorato circa 180 persone. Sul set ho conosciuto uno dei supervisori della Weta Digital che mi ha proposto di seguirlo in Nuova Zelanda insieme ad alcuni colleghi. Sono arrivato nel febbraio 2005 per lavorare a King Kong, poi c'è stata una breve parentesi alla Pixar e dal 2007 mi sono definitivamente trasferito a Wellington.
Di cosa ti occupi direttamente?
Il gruppo di ricerca della Weta Digital di cui faccio parte è diviso in tre settori: ci occupiamo di simulazione fisica, di rendering e di virtual studio. Tra le varie direzioni di ricerca c'è lo studio dei materiali, necessario per permetterci di realizzare creature digitali sempre più accurate. Ci concentriamo sulla creazione della pelle, dei capelli, dei peli e delle piume degli uccelli, come quelle delle aquile che vedrete in The Hobbit. Per Le avventure di Tintin: Il segreto dell'unicorno abbiamo realizzato un nuovo modello per creare i capelli del protagonista. Dopo King Kong eravamo piuttosto ferrati su capelli e peli scuri, mentre in Tintin, sia per il personaggio principale che per il cane Snowy, siamo ripartiti da zero. I capelli chiari sono molto più impegnativi di quelli scuri e Tintin, in particolare, ha un tono di rosso che cambia moltissimo a seconda della luce perciò abbiamo dovuto trovare il modo di rendere il colore in modo consistente nonostante le variazioni di angolo ed illuminazione.
E nel caso di The Hobbit: Un viaggio inaspettato?
Nel film di Jackson vi sono molte creature pelose e il mio dipartimento ha fornito parte del software usato per ottenere il loro look. Ai tempi della trilogia de Il signore degli anelli la Weta Digital è stata una delle prime compagnie a utilizzare in larga scala le 'digital doubles', controfigure interamente digitali. Tra i nani de Lo Hobbit, tutti dotati della loro brava controfigura digitale, molti hanno i capelli rossi quindi noi ci siamo occupati dei software con cui rendere sul grande schermo la loro pelle, i loro vestiti e naturalmente chiome e barbe. Guardando il loro aspetto capirete che ci è voluto un po'. Ma questa è solo una parte del lavoro. Un'altra branca della ricerca è l'ottimizzazione del rendering. Noi ci occupiamo di mettere a punto metodi che riducano il tempo di renderizzazione di un film e la quantità di memoria richiesta per rendere più veloce ed efficiente la fase di postproduzione. PantaRay, il software che abbiamo realizzato con Nvidia Research per Avatar, serve proprio a questo e con un'estensione di quel sistema abbiamo creato le ombre sfumate di Le avventure di Tintin: Il segreto dell'unicorno. Un altro esempio è il sistema di resa della pelle: avviato su Avatar, molto evoluto per Tintin, e ulteriormente affinato per gli ingegneri del Prometheus di Ridley Scott. Anche la loro pelle è stata piuttosto delicata da realizzare, perché si tratta di creature aliene la cui epidermide trasparente somiglia parecchio al silicone che, con la sua alta trasparenza, non è certo un materiale facile da rendere.
Non è così frequente come si potrebbe pensare. Se da un lato è parte integrante del nostro lavoro essere in continuo contatto con il regista, che in un certo senso è il nostro cliente, è facile immaginare come questo non significhi che tutti i dipendenti di Weta Digital incontrino i registi con cui lavoriamo. Per la natura del lavoro alcuni dipartimenti finiscono per essere in contatto molto più diretto con registi e attori di altri. Ad esempio il gruppo di motion capture ha continuamente a che fare con il cast dei film, nel caso de Lo Hobbit, e prima per Il signore degli anelli, con Andy Serkis, l'interprete di Gollum, che ormai alla Weta è di casa. Tornando al partecipazione del regista, nel caso di un grosso film come Lo Hobbit, lungo l'arco di un anno o più di lavorazione, gli incontri partono al ritmo di un paio di volte la settimana, e si vanno intensificando fino ad arrivare a parecchie ore al giorno negli ultimi mesi.
Un altro personaggio creato in motion capture è Smaug. C'è molta curiosità tra gli appassionati. Puoi anticiparci qualcosa?
Posso solo dire che avrete delle sorprese. Smaug è interpretato da Benedict Cumberbatch, un attore di grande talento. Per adesso, purtroppo, non si vedrà granché. Per avere una visione completa del drago sarà necessario attendere The Hobbit: The Desolation of Smaug.
Nelle interviste Peter Jackson non si definisce un fan della tecnologia, soprattutto nel privato, eppure i suoi lavori hanno contribuito enormemente allo sviluppo degli effetti digitali. Quale è realmente il suo approccio?
Peter ha un rispetto enorme per i collaboratori tecnici. Oltre che con lui, mi è capitato di lavorare su film diretti da Steven Spielberg e James Cameron. Tre autori che hanno tre approcci completamente diversi sia verso il fare cinema che verso l'uso della tecnologia digitale. Spielberg è interessato soprattutto a raccontare le sue storie. La tecnologia digitale, per lui, è uno dei molti mezzi a disposizione per realizzare la sua narrazione. Nonostante il suo coinvolgimento con lo studio Dreamworks SKG (di cui è fondatore con Katzenberg e Geffen), Le avventure di Tintin: Il segreto dell'unicorno è stato il suo primo film realizzato in tecnica interamente digitale e alla fine ha dichiarato in varie interviste che il risultato gli è molto piaciuto. Cameron, invece, è molto più coinvolto dall'aspetto tecnico ed è molto competente, così sul set prende parte in prima persona alla soluzione di problemi tecnici di vario genere. Se nei primi anni questo significava occuparsi di questioni di ingegneria meccanica, negli ultimi tempi si è interessato ai vari aspetti del fare cinema in digitale e come molti sanno ha disegnato varie cineprese stereo.
A proposito di innovazioni tecnologiche, si è tanto parlato della scelta di Peter Jackson di girare The Hobbit a 48 fotogrammi al secondo. Tu cosa ne pensi?
Come è facile immaginare, la scelta di Peter ha coinvolto anche noi piuttosto direttamente. Col 3D e i 48 fotogrammi al secondo, un minuto di The Hobbit equivale a 4 di King Kong, senza contare l'accresciuta complessità in termini di creature e ambienti). Con 48 fotogrammi al secondo invece di 24 l'immagine appare molto più definita, diminuisce il motion blur, si ottiene un'estetica in qualche modo più vicina a un documentario e in questo modo ogni piccolo dettaglio è in evidenza. Questo comporta un carico di lavoro molto più alto per il dipartimento del trucco (che già su un film come questo è molto numeroso) perché minime imperfezioni magari nell'attaccatura di una maschera prostetica o una parrucca sono molto più evidenti e devono essere tenute sotto strettissimo controllo per tutto il tempo delle riprese. In generale credo che questa sia la direzione giusta per il cinema, ma ci vorrà parecchio tempo per abituarsi. All'inizio la maggior nitidezza risulta strana, è necessario che il nostro occhio si adatti, ma ci sono già alcuni autori che auspicano di arrivare a 60 frame al secondo o più. Gli spettatori sono divisi, c'è chi dice che sembra che abbiano tagliato via il fondo del cinema e aperto una finestra su un teatro. Io penso che questo maggior realismo giovi molto al 3D. Il problema, semmai, è più un fatto di educazione. Siamo abituati ad associare l'alto frame rate a contenuti realizzati direttamente per la televisione e in presa diretta, modalità di lavoro che fino a tempi relativamente recenti è stata caratteristica delle produzioni di budget meno elevato. Da una decina d'anni a questa parte le cose sono ovviamente cambiate, ma fino alla fine degli anni Novanta era pratica comune realizzare produzioni televisive di alto budget su pellicola (con un processo simile a un normale film, e quindi ottenendo anche un'estetica piuttosto simile) ed è questo che ci ha portato all'attuale stato di cose.
Al momento lo studio ha due grossi progetti in ballo. Il primo, naturalmente, è The Hobbit. Abbiamo terminato di dare gli ultimi ritocchi a Lo hobbit: un viaggio inaspettato in tempo per la premiere di Wellington e a breve inizieremo a lavorare su The Hobbit: The Desolation of Smaug. L'altro progetto riguarda L'uomo d'acciaio di Zack Snyder, che concluderemo presto. Uno dei costumi del personaggio interpretato da Russell Crowe è un'armatura molto complessa che abbiamo realizzato interamente in digitale. Per queste scene Crowe ha recitato con il volto truccato normalmente, ma indossando una calzamaglia grigia invece del costume di scena e noi abbiamo provveduto a 'vestirlo' in postproduzione. Anche in The Hobbit abbiamo fatto interventi di questo tipo. In numerose sequenze del film gli ambienti sono interamente digitali o quasi. Al giorno d'oggi è relativamente comune, per questo tipo di film, che nei fotogrammi arrivati dalla produzione ci sia solo un attore (in qualche occasione magari grande poche decine di pixel) e noi dobbiamo aggiungere in post produzione ambienti e creature che andranno poi a costituire la maggioranza del fotogramma. La magia del digitale, come lo facciamo a Weta Digital.