Avrebbe potuto seguire l'esempio di Smaug e starsene comodamente immerso nell'oro accumulato dalla sua trilogia e godersi il luccichio di un grande tesoro assieme alla gratitudine di milioni di spettatori. Invece, proprio come Thorin, il buon Peter Jackson ha preferito rischiare; ha lasciato la sua rassicurante montagna proprio nel momento del bisogno (l'abbandono del progetto da parte di Guillermo del Toro) per ributtarsi nella mischia della Terra di Mezzo a lottare contro orchi e troll, a ripercorrere con amore le vaste lande del mondo di Arda, dalle fertili terre elfiche sino alle aride montagne solitarie.
La trasposizione cinematografica de Lo Hobbit è stato un viaggio tutt'altro che inaspettato, proprio perché travagliato per anni, a causa di una produzione claudicante in cerca di un regista che ne prendesse le redini, e poi criticato quando, dopo la conferma del ritorno del re Jackson, è arrivata l'ufficialità di una nuova trilogia. Una questione di proporzioni, proprio come tra elfi e hobbit. Se Il Signore degli Anelli, dall'alto delle sue nobili migliaia di pagine, necessitava di una trasposizione cinematografica altrettanto sostanziosa, il piccolo Lo Hobbit, prima di due anni fa noto come fiaba per bambini lunga solo trecento pagine, sembrava troppo stiracchiato se immaginato in una nuova trilogia filmica.
Ora che anche questa grande avventura si è conclusa, è possibile sedersi ad una scrivania accanto al vecchio Bilbo e, tra un pezzo di pan di via e un po' di erba pipa, tirare le somme di questa scelta. Non sono mancati i difetti, su tutti la volontà di inserire una love story forzata e banale tra Tauriel e Kili (ma non dimentichiamo che anche Il Signore degli Anelli fu criticato per aver dato troppo spazio ad Arwen, personaggio che nel romanzo appare solo nelle appendici) così come un tono del racconto a volte troppo altalenante. Ma l'opera filologica di Peter Jackson, Fran Walsh e Philippa Boyens è servita anche ad arricchire la storia di Storia, ovvero curando la mitologia espansa della Terra di Mezzo (il rapporto tra nani ed elfi), assieme ad omaggi e citazioni visive (l'incombenza latente di Sauron su tutte) che non sono mai risultati semplici ammiccamenti fini e se stessi. Lo Hobbit, grazie ad un comparto visivo spinto oltre le attuali possibilità tecnologiche, ci ha regalato anche il miglior drago mai visto al cinema e messo ancora più in luce due grandi attori come Martin Freeman e Richard Armitage, capaci di affetti speciali.
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Certo, il confronto con la trilogia de Il Signore degli Anelli è stato forse ingiusto e ingrato - si tratta di opere con spirito e temi molto differenti - ma anche inevitabile perché le immagini di Aragorn e Frodo hanno creato un precedente insormontabile, dando una forma definitiva all'immaginario fantasy (dapprima esclusiva di romanzi e giochi di ruolo) anche nel mondo del cinema. Lo Hobbit non poteva possedere lo stesso, profondo respiro epico della prima trilogia, e in molti, quando in Lo Hobbit: un viaggio inaspettato hanno visto canticchiare prima la compagnia dei nani e poi persino il Grande Goblin, hanno storto il naso. Il cambiamento netto con il passato è stato confermato anche da un character design più eccentrico (pensiamo a Radagast) e da una fotografia meno realistica e più patinata. Non tutti hanno quindi accettato questo cambio di registro imposto da Peter Jackson, una virata necessaria invece a cogliere lo spirito del romanzo di J.R.R. Tolkien, più leggero e basato proprio sul tema della spensieratezza che, col procedere dell'avventura, viene messa alla prova e minata dal male del mondo.
Se Lo Hobbit: un viaggio inaspettato partiva (forse troppo) lentamente per poi dare il là ad un racconto appassionato e profondo, Lo Hobbit: la desolazione di Smaug, a tempo con i 48 fotogrammi al secondo, scorreva via veloce, cadenzato da un'azione molto frenetica, quasi bulimica. Infine Lo Hobbit: La Battaglia delle Cinque Armate si è dimostrato un ultimo capitolo solido, assai soddisfacente, impregnato di dramma e dilemmi etici ed epici; un grande film che, iniziando ad assumere toni più cupi, si ricongiunge alla perfezione con Il signore degli anelli - La compagnia dell'anello.
Ma ora, bilanci a parte, andiamo a ripercorrere, proprio come le tappe di un unico, grande (e forse ultimo) viaggio collettivo, i momenti più significativi ed emozionanti della trilogia de Lo Hobbit, certamente non un'epopea sul Bene contro il Male, ma una storia più intima sulle piccole scelte di ognuno e quindi basato su cosa è Giusto e cosa è Sbagliato. Un racconto lieve che forse, alla fine, narra soprattutto di quell'amicizia tra un nano e uno hobbit accomunati dal desiderio di tornare a casa.
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1. Il prologo
Familiarità, calore, colori, la musica di Howard Shore che sembra un abbraccio. L'inizio di Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato è un ritrovo tra vecchi amici mai dimenticati. Difficile trattenere l'emozione nel rivedere le verdeggianti colline della Contea, il grande Ian Holm nei panni di un Bilbo stanco di una lunga vita e soprattutto lo sguardo vispo e pieno di luce di un giovane Frodo, ancora inconsapevole di quello che dovrà affrontare in futuro. Il prologo del film emoziona grazie al ricongiungimento con personaggi amati più di dieci anni prima e al racconto di Bilbo che svela importanti retroscena sui rapporti diplomatici nella Terra di Mezzo. In pochi minuti impariamo a conoscere le ragioni della rivalità tra due popoli: i nani, fieri e testardi e gli elfi, altezzosi e, a loro modo, non meno orgogliosi.
2. Misty Mountains Cold
Dopo una prima mezz'ora scanzonata e ironica, è proprio una canzone a spezzare il ritmo del film, dando ufficialmente inizio al viaggio della nuova Compagnia di Thorin Scudodiquercia. L'atmosfera si fa di colpo solenne, le luci suffuse, immerse nel caldo focolare domestico di Casa Baggins. Thorin e gli altri dodici nani si uniscono in un unico grande coro che rievoca il terribile ricordo di Smaug alle porte di Erebor. Ma quello che brucia davvero è l'ardente desiderio nanico di riprendersi ciò che è loro di diritto.
3. La grandezza delle piccole cose
Gran Burrone è uno dei luoghi più simbolici e poetici della Terra di Mezzo, proprio perché è qui che, a seguito dell'indimenticato Consiglio di Elrond, venne fondata la Compagnia dell'Anello e Arwen giurò il suo eterno amore ad Aragorn. Ed è ancora una volta Gandalf, lungimirante come sempre, il deus ex machina dell'avventura, capace di sfidare il pregiudizio di Thorin conducendolo al cospetto di Re Elrond per chiedere il suo aiuto. Qui, dopo aver assistito alla riapparizione di un Saruman ancora "buono" (ma pur sempre inquietante), rivediamo anche la leggiadra Galadriel che, in una scena breve ma ricca di significato, si confida con lo stregone grigio. Uno scambio di battute che forse contiene una delle morali cardine del pensiero tolkieniano.
4. Indovinelli nell'oscurità
Mentre i tredici nani tentano la fuga dall'animata e chiassosa città sotterranea dei goblin, ancora più in basso, nell'oscurità, la luce bluastra di Pungolo illumina due grandi occhioni assai familiari. Lo sguardo perso e pieno di disperazione di Gollum riempie di nuovo lo schermo e ci riporta con la mente alle Due Torri, quando lo hobbit consumato dall'Unico Anello si manifestò la prima volta. La pelle livida e l'espressività multiforme di Andy Serkis sono ancora più esasperate che in passato e la ricomparsa dell'Anello del Potere, in tutto il suo peso, rende la scena piena di fascino. Il confronto dialettico tra Bilbo e Gollum è molto più teso di uno scontro fisico, perché mette in mostra i caratteri dei personaggi e svela le nobili origini letterarie del film attraverso dialoghi sopraffini. Una contesa fatta di parole che ne lascia ben poche al pubblico.
5. L' abbraccio tra Bilbo e Thorin
Appena sfuggiti all'attacco dell'orco albino Azog, spietato villain guidato da spirito di vendetta, la Compagnia si ritrova su una rupe dalla quale, in lontananza, si scorge la mitica Erebor. Ed è in questo momento, alla fine del primo film, che Thorin Scudodiquercia, salvato poco prima dal coraggio di Bilbo, si toglie la corazza e abbandona per un attimo tutta la sua diffidenza nei confronti dello hobbit attraverso un intenso e inaspettato abbraccio pieno di gratitudine e amicizia. Ritorna così lo stesso gesto d'affetto con il quale Jackson chiuse La Compagnia dell'Anello, tra le braccia di Frodo e Sam.
6. I ragni del Bosco Atro
La Desolazione di Smaug, fedele al suo spirito on the road, passa anche attraverso la fitta foresta del Bosco Atro. L'atmosfera clauostrofobica e asfissiante opprime Thorin e compagni, costretti a sfuggire all'attacco di un gruppo di ragni. Peter Jackson gioca con gli effetti sonori mentre stati allucinatori si alternano a sensazioni nauseabonde. Questo è un momento-chiave perché assistiamo ai primi condizionamenti psicologici che l'anello impone a Bilbo, di colpo violento e disperato. La prese di coscienza dello hobbit è drammatica, tutto grazie ad un eccezionale Martin Freeman.
7. La fuga nei barili
Una scena discussa ma assolutamente originale. Esasperata, spinta, forse eccessiva, ma capace di mettere in scena un ibrido tra esperienza videoludica e dinamiche da parco divertimenti. La compagnia nanica evade dal Reame Boscoso degli elfi silvani e lo fa dentro delle botti che scorrono lungo un fiume. L'azione è quasi una coreografia in cui si muovono digitalmente corpi e frecce, in uno scontro incrociato tra elfi, nani e orchi. E persino Bombur ha il suo momento di gloria.
8. I nani entrano ad Erebor
Giunti con tanta fatica alle porte della Erebor, i nani, ormai divisi, si riappropriano della loro dimora. Il momento toccante ha il sapore dell'impresa riuscita e l'entrata nella Montagna Solitaria catapulta lo spettatore dentro il mondo dei nani (come successe con Moria ne La Compagnia dell'Anello). Le forme, le luci e i colori rispecchiano tutta la cultura di un grande popolo e lo sguardo commosso di Thorin e Balin è anche il nostro.
9. Gandalf contro il Negromante
Al contrario di Saruman il Bianco, Gandalf il Grigio ha profondi sospetti sul ritorno del Signore Oscuro. Le forze del Male sono in crescita, sempre più organizzate e le voci un Negromante impongono allo stregone di recarsi a Dol Guldur per cercare risposte. L'ambientazione ricreata da Jackson è arida e spoglia, pulsante di oscura tensione. Gandalf appare come un messaggero del Bene che sta pian piano calando in una trappola molto più grande di lui. Ebbene, il Negromante si manifesta all'improvviso sotto forma di entità incorporea (e per questo ancora più inquietante) scagliandosi contro il mago che si oppone sino allo stremo delle forze. Ed è qui che la sagoma di Sauron (il cui nome viene pronunciato da un grande Ian McKellen) riappare per la prima volta, attraverso una scelta visivamente perfetta, ovvero come pupilla del grande occhio infuocato. Il Male è tornato e non è mai stato così bello da vedere.
10. L'incontro con Smaug
Ancora una volta un occhio, questa volta striato e ferino, appare sotto una montagna di monete d'oro e tesori. C'è voluta un'attesa lunga quasi due film perché una delle più tremende creature fantasy si mostrasse al pubblico. Il drago Smaug domina la scena attraverso una presenza scenica maestosa e un memorabile scontro, ancora una volta parlato, con Bilbo. Un drago parlante era un ennesimo rischio, ma la credibilità di Smaug proviene proprio dal contenuto delle sue parole (e dalla voce portentosa di Benedict Cumberbatch), piene di sarcasmo. Questo drago ha personalità, è borioso, pieno di sé e molto vendicativo. Seppur spezzettata dalle altre storylines, la lotta all'interno di Erebor è un'unica, grande sequenza fatta di azione e stati d'ansia, trappole e furbizia. E l'immagine di Thorin che si mantiene in equilibrio sul muso di Smaug resta di grande effetto.
11. Bard uccide Smaug
Il cliffhanger de La Desolazione di Smaug ha rappresentato un climax emotivo fortissimo. Smaug era fuggito da Erebor promettendo la devastazione di Pontelagolungo e di tutti i suoi odiati abitanti. Quello che il tremendo usurpatore di regni altrui non aveva calcolato era l'eroismo di un certo Bard, discendente di Girion, uomo semplice e carismatico con un'ultima freccia da scoccare. Così, tra fiamme e distruzione, Bard mira verso il punto debole del drago e, utilizzando suo figlio come appoggio, pone fine alla sua vita. La Battaglia delle Cinque Armate parte così, con un sussulto che aggancia lo spettatore alla poltrona.
12. Thorin: dalla pazzia al coraggio
Thorin è il grande eroe di questa seconda trilogia, una sorta di nuovo Aragorn (non a caso reso molto più "umano" da un aspetto meno tozzo e goffo degli altri nani) ma mosso da motivazioni molto diverse. Il suo non è un eroismo positivo e senza macchia, ma un dilemma morale dai toni quasi shakespeariani perché in conflitto contro il suo stesso sangue, vittima della stessa follia che aveva colto suo nonno Thror prima di lui. Mentre Thorin è rintanato nella sua gabbia dorata, la guerra infuria alle porte di Erebor ed è in questo momento che Peter Jackson dedica al principe nano un soliloquio splendido per forma e contenuti. Sotto di lui si muove il caldo desiderio del possesso, sibilante come l'ombra di un drago tentatore, dentro il quale il nano sprofonda. Ma quando sono i suoi stessi fratelli a rimproverare la sua inattesa codardia, Thorin rinsavisce e riemerge da Erebor per entrare in guerra ed essere acclamato dal suo popolo.
13. Il duello tra Thorin e Azog
In mezzo ad un'enorme battaglia in cui elfi e nani si ritrovano uniti contro un nemico comune, emerge un grande duello, una personale resa dei conti, promessa sin dal primo film. Azog il Profanatore e Thorin danno vita ad uno dei combattimenti più belli di sempre, fisico ed estenuante, con un passaggio particolarmente originale sotto i ghiacci sovraccarico di tensione.
14. La morte di Thorin
La morte di Boromir rimane senza dubbio un irraggiungibile addio, ma il saluto a Thorin non è poi così meno commovente. Il principe dei nani si spegne dopo aver consumato la sua vendetta, ma nei suoi occhi non c'è più ardore ma serenità, consapevolezza di aver riconquistato il suo onore e una definitiva redenzione. Ed è toccante la purezza ingenua con la quale Bilbo non si capacita della sua morte, invitandolo a guardare le aquile che, proprio come nel finale de Il Ritorno del Re, sorvolano la scena.
15. Ritorno alla Contea
Andata e ritorno. Era questo il primo titolo assegnato all'ultimo capitolo della nuova trilogia. Bilbo è partito per un'avventura che lo ha cambiato per sempre e fa ritorno nella sua amata Contea con un fardello pesante in tasca come nel suo animo. Le ultime immagini delle vallate hobbit ci ricordano che quella beata spensieratezza sta per finire, nella storia di Bilbo come in quella del cinema, che sta per salutare (forse) per sempre la Terra di Mezzo. Poi, un salto temporale ci riporta ad un vecchio Bilbo che sta per ricevere la visita di Gandalf. Così Lo Hobbit si ricongiunge alla perfezione con Il Signore degli Anelli mentre il mago si avvicina a Casa Baggins per bussare. Una porta sta per aprirsi, ma in realtà un'altra si sta chiudendo per sempre.