L'Inghilterra non è tenera con gli immigrati, come conferma la recensione di Listen, pellicola anglo-portoghese presentata in anteprima nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia 2020. Meno ironico di Cat in the Wall, che toccava temi in parte simili, Listen racconta le difficoltà di una famiglia portoghese impegnata a sbarcare il lunario mentre cresce tre figli, una dei quali, Lu, affetta da sordità. Tra impieghi umili e precari, espedienti ai limiti della legalità e piccoli furti, Bela e Jota sopravvivono nell'East end londinese finché non subiscono l'intervento dei servizi sociali inglesi a causa di un malinteso con l'insegnante di Lu.
In un'edizione in cui a strappare giudizi positivi sono soprattutto le registe, alla regia di Listen troviamo la portoghese Ana Rocha De Sousa che, dopo aver costruito una carriera da attrice di tutto rispetto in Portogallo, ha seguito le orme dei suoi personaggi trasferendosi in Inghilterra per studiare regia. Ed è interessante, nella prima parte di Listen, lo spaccato descritto proprio dal punto di vista degli emigrati. Pur conoscendo la lingua inglese, Bela e Jota sono isolati, chiusi nel loro appartamento di periferia senza nessun sostegno. Le famiglie sono lontane, la comunità diffidente o del tutto assente. Il senso di solitudine e disperazione attanaglia la pellicola contrapponendo l'indifferenza della società al calore familiare, seppur in un quotidiano costellato di difficoltà.
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La povertà è il peggior nemico
Dopo aver dipinto il quadro iniziale, Ana Rocha De Sousa entra nel vivo della storia raccontando una vicenda che le sta particolarmente a cuore e che riguarda la legislazione che regola l'intervento dei servizi sociali inglesi in caso di sospetti maltrattamenti di minori. Alla regista, figlia di un giudice, interessa soprattutto scandagliare le pieghe della legge dimostrando che non tutto è bianco o nero. Per un malinteso, Bela e Jota finiscono nelle maglie della giustizia e rischiano di perdere i loro figli per sempre. Capiscono così di dover sfruttare quella stessa giustizia a loro vantaggio forzando un meccanismo apparentemente irreversibile nato per proteggere i minori. Ma è davvero sempre così?
Là dove la lunga durata sembra diventata la norma, Listen va controcorrente proponendo un dramma familiare in 73 dolorosi minuti. Il tutto grazie a una narrazione essenziale e al giusto cast. Nel ruolo di Bela, madre amorevole e battagliera, troviamo un volto noto, quella Lúcia Moniz che, pur senza sapere una parola d'inglese, fa innamorare Colin Firth in Love Actually. Ruben Garcia interpreta il marito Jota, padre passivo che troverà, però, lo spunto giusto per uscire dal drammatico impasse in cui si trova la sua famiglia. In ruoli di contorno tutti volti giusti, attori capaci di recitazione naturalistica in tono con la tensione drammatica che si respira dall'inizio alla fine del film. Un plauso per la piccola Maisie Sly, attrice in erba realmente non udente qui al suo esordio.
Una narrazione efficace
Nel suo debutto al lungometraggio, Ana Rocha dimostra di avere un buon controllo della drammaturgia. Poche scene, in Listen, sono superflue e anche i momenti di quotidianità in cui poco o niente sembra accadere ci forniscono la misura delle difficoltà quotidiane vissute da Bela e Jota in un paese in cui il welfare non funziona come dovrebbe e la povertà diventa una colpa. A livello di tono, Ana Rocha sceglie la cupezza come tratto distintivo. Listen si distingue per il permanere di una tensione drammatica che non si allenta mai, che ci aiuta a immedesimarci con le disavventure di Bela e Jota e con la depressione di una madre privata dei propri figli fino a opprimerci. L'apice della pellicola è forse anche il momento più retorico, la tirata di Bela in tribunale per convincere il giudice a ridarle la figlia. A emozionarci più dello straordinario è l'ordinario, quella quotidianità dolente raccontata con piglio neorealista dai gesti più che dalle parole. Perché l'amore di una madre è un urlo nel silenzio di miseria e ingiustizia.
Conclusioni
La nostra recensione di Listen evidenzia i pregi di un convincente esordio da parte dell'attrice portoghese Ana Rocha De Sousa, qui alle prese con una storia familiare davvero cupa. Alla regista preme indagare il funzionamento della giustizia inglese e dei servizi sociali in un piccolo dramma neorealista lucido ed equilibrato, ma dai toni decisamente oppressivi che, alla lunga, si trasmettono anche al pubblico.
Perché ci piace
- Ben diretto, recitato, un esordio da ricordare. Chi ama il cinema realistico e le atmosfere alla Ken Loach non rimarrà deluso.
- La narrazione essenziale non presenta mai momenti di stanca o superflui.
Cosa non va
- Il tono eccessivamente cupo, alla lunga, opprime lo spettatore, privo di spiragli.
- Uno dei momenti chiave del film, la testimonianza di Bela in tribunale, è anche il più retorico.