Ogni forma espressiva ha bisogno dei grandi artisti, di quei talenti che la prendano per mano per condurla su vie inusuali e meno battute. Il mondo dell'animazione occidentale in molti, troppi, casi si mantiene su sentieri sicuri e rodati, e anche quando azzarda, lo fa tra i margini di strade già percorse. Per questo abbiamo bisogno di vedere gli autori puri cimentarsi con la tecnica, usarla senza lasciarle il sopravvento, farla propria e piegarla alle proprie esigenze ed il proprio modo di raccontare una storia. Non è frequente, ma quando accade è probabile che il risultato sia quantomeno meritevole di interesse.
Wes Anderson si era cimentato con l'animazione in stop motion già nel 2009, con quel Fantastic Mr. Fox che dimostrava quanto bene potesse adattarsi un film animato a riprodurrei vezzi, spirito e creatività del cinema del regista. E si ripete a quasi dieci anni di distanza con un nuovo lavoro realizzato con la medesima tecnica che ancora una volta, dopo Grand Budapest Hotel, ha aperto il festival del cinema di Berlino, accolto da un soddisfatto applauso al termine della proiezione riservata alla stampa, in attesa di presentarsi al pubblico della kermesse tedesca accompagnato da una folta rappresentanza del suo cast di doppiatori.
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Can che abbaia... in inglese
L'isola dei cani può vantare un cast vocale impressionante, che raccoglie nomi di altissimo spessore per dar voce ai suoi protagonisti a quattro zampe, da Bryan Cranston a Bill Murray, Jeff Goldblum, Liev Schreiber, Tilda Swinton e Scarlett Johansson. Ma se i personaggi canini comunicano tra loro in inglese (la porzione di storia che sarà presumibilmente tradotta in italiano quando il film sarà doppiato per l'uscita nelle nostre sale a maggio), i protagonisti umani parlano giapponese e vengono, a seconda dei casi, tradotti con sottotitoli o altri tipi di traduzione, o lasciati senza alcun tipo di intervento, rendendoli volontariamente incomprensibili sia allo spettatore che ai cani.
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Giappone, ultima frontiera
Un espediente che ha senso nella costruzione narrativa messa in piedi da Anderson e i suoi co-autori, che ci porta nel contesto di un Giappone venti anni bel futuro, in cui la crescita fuori controllo della popolazione canina porta all'esplosione di una patologia e costringe il sindaco della città di Megasaki a prendere una decisione drastica: l'espulsione dei cani per effetto di un decreto, esiliandoli su un'isola-discarica che diventa L'isola dei cani. In questo contesto i cani fanno quello che hanno sempre fatto: di riuniscono in piccoli branchi e lottano per dividersi le poche risorse e sopravvivere, finché un giorno non precipita sull'isola un piccolo aereo a motore guidato da Atari Kobayashi, orfano affidato al sindaco di Megasaki, un ragazzino di 12 anni alla disperata ricerca del proprio cane esiliato sull'isola. Poco a poco, Atari riesce a conquistare la fiducia del piccolo branco che lo soccorre, partendo con loro in un difficile viaggio per ritrovare l'amico a quattro zampe perduto da mesi.
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Fedele alla tradizione
Pur essendo per stile, impostazione e costruzione un vero film di Wes Anderson, L'isola dei cani attinge alla duplice tradizione in cui si inserisce. In primo luogo si mantiene con forza nei canoni dell'animazione stop motion, affidandosi ad essa ben più di quanto abbiamo visto negli ultimi tempi in altre produzioni che hanno fatto ricorso abbondantemente ad integrazioni CGI per rendere più ricco, e moderno, l'impianto visivo. Tutto, o quasi tutto, quello che vediamo su schermo è stato ripreso facendo uso di modelli di varia natura, anche laddove si mettono in scena effetti come fumo o esplosioni, al più componendo l'immagine con diverse riprese per evitare di costruire in scala modelli che sarebbero stati proibitivi come costi e spazi.
In secondo luogo sono evidenti i richiami a tanto cinema nipponico, animato e non solo: c'è Hayao Miyazaki, c'è Akira Kurosawa, ci sono in generale suggestioni, tempi e approcci di un mondo visivo e narrativo che Wes Anderson dimostra di saper usare come ispirazione, senza snaturare o deformare l'estetica e la poetica che ha dimostrato di possedere nel corso degli anni.
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Animazione politica
Quel che c'è di diverso, o semplicemente più incisivo e a fuoco che in passato, è il messaggio politico. Con L'isola dei cani, Wes Anderson usa il contesto della società futuristica giapponese, e la comunità di cani relegata sull'isola, come una metafora del mondo che ci circonda. Usa, insomma, il cinema fantastico in cui si va a collocare per indagare la società contemporanea: fascismo, intolleranza, violenza, discriminazione e xenofobia imperversano in quello che è evidentemente rappresentato da un mondo di spazzatura dal quale gli eroi a quattro zampe devono trovare una via di fuga. Il film più politico ed allo stesso tempo più creativo, perché Isle of Dogs spinge con decisione sul pedale della creatività, accompagnando l'abbondante dose di fantasia che la storia porta con sé all'usuale ironia dell'autore, che lo rende una visione brillante e piacevole a dispetto della cupezza di fondo che la storia evoca.
Movieplayer.it
4.0/5