La più grande e importante "mini-major" di Hollywood, la Lionsgate, ha iniziato a offrire ai suoi dipendenti americani un programma di buonuscita volontaria e pensionamento anticipato come risposta all'attuale contrazione nel settore dell'intrattenimento e dei media. Una notizia, questa, che arriva a una settimana di distanza da quelle che hanno visto la Disney annunciare, in America, il licenziamento di 300 dipendenti in un'iniziativa di "riduzione dei costi" e la Paramount Global intenta a una manovra anche più drastica che ha tagliato il 15% della forza lavoro americana.
I co-CEO della major, George Cheeks, Chris McCarthy e Brian Robbins, avevano già affermato settimane fa che la compagnia mirava a raggiungere i 500 milioni di dollari di risparmio annuale e i licenziamenti sono un elemento chiave per l'ottenimento di questo obbiettivo. Conseguenza, questa, della fusione fra Skydance e Paramount avvenuta a luglio con un'operazione azionaria che, tenendo conto del valore della prima stimato a 4,75 miliardi di dollari, ha creato una realtà con un valore d'impresa pari a 28 miliardi di dollari.
Il caso Lionsgate: il magro botteghino non avrebbe colpe
L'aggiornamento sulla situazione della Lionsgate arriva in un momento in cui il mantra degli addetti ai lavori è "Teniamo duro e arriviamo al 2025" considerato che la contrazione del mercato è evidente: esaminando la situazione nordamericana, si registra una diminuzione dell'11,5% rispetto al 2023 e del 26,2% rispetto al 2019 e al pre-pandemia (via Box Office Mojo). Dopo i graduali recuperi degli ultimi due anni, gli intoppi della pipeline produttiva causati dal doppio sciopero dello scorso anno, quello degli attori e quello degli sceneggiatori, era chiaro che si sarebbe creata una situazione del genere dovuta, anche, alla scarsità di prodotti cinematografici e all'assenza di un fenomeno paragonabile al Barbenheimer del 2023.
In mezzo a questa parziale ecatombe che ha fatto seguito agli anni della rinascita post-Covid guidati dal fenomeno Top Gun: Maverick prima e da Barbie e Oppenhiemer poi, c'è il 2024 della Lionsgate che non sta brillando, ma che, specie negli ultimi mesi, è stato caratterizzato da una serie non indifferente di flop come il reboot de Il Corvo, Borderlands, The Killer's Game e Never let go. Fallimenti che, stando alla compagnia, non avrebbero influenzato la strategia di "accompagnamento volontario alla porta" offerto ai dipendenti - anche se è davvero difficile pensare che non abbiano avuto un ruolo. In un memo ufficiale inoltrato ai dipendenti, Jon Feltheimer, CEO di Lionsgate, spiega che:
Stiamo offrendo ai dipendenti Lionsgate con sede negli Stati Uniti un programma di buonuscita volontaria e pensionamento anticipato che ci permetterà di adattare la nostra forza lavoro a un contesto aziendale di cambiamento.
Il "contesto di cambiamento aziendale" citato dal CEO ha a che fare con la separazione da Starz, il canale televisivo a pagamento che, fra le varie serie, ha dalla sua la celeberrima Outlander, e la fusione, risalente a dicembre 2023, con la piattaforma di contenuti media eOne, acquistata dalla Hasbro.
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I fallimentari incassi di Borderlands e Il Corvo
Che Borderlands e Il Corvo non fossero film nati sotto alla proverbiale "buona stella" si era intuito da un pezzo. Il primo, nonostante sia basato su una saga videloudica abbastanza conosciuta - ma siamo comunque ben distanti dalla fama gigantesca di un The Last of Us o, soprattutto, Super Mario - era stato annunciato per la prima volta dalla Lionsgate nel 2015 con Leigh Whannell (L'uomo invisibile) collegato alla regia. Cinque anni dopo, nel 2020, il progetto si è finalmente messo in moto con Eli Roth dietro alla macchina da presa. Uscito ad agosto del 2024, il lungometraggio ha fallito clamorosamente su tutti i fronti, critico e, soprattutto, commerciale incassando solo 32,9 milioni di dollari in tutto il mondo (ne è costati, a seconda delle stime, 110 o 120 milioni).
Col nuovo adattamento del fumetto di James O'Barr invece, le cose erano rese ancor più complicate dall'impossibilità di evitare il confronto con Il Corvo del 1994 diretto dall'australiano Alex Proyas con Brandon Lee nei panni di Eric Draven. Una pellicola diventata un cult istantaneo per via della tragica scomparsa del suo protagonista avvenuta sul set per colpa di un incidente con una delle pistole di scena e per l'indimenticabile estetica dark resa ancora più incisiva dalla presenza, nella soundtrack del lungometraggio, di band come The Cure, Nine Inch Nails, The Jesus and Mary Chain, Pantera e Rage against the machine (d'altronde Proyas arrivava proprio dal mondo dei videoclip).
Il rilancio del Corvo venne annunciato per la prima volta nel 2008 con Stephen Norrington alla regia. Col passare degli anni il progetto è passato nelle mani di altri registi come Juan Carlos Fresnadillo, F. Javier Gutiérrez e Corin Hardy con interpreti quali Bradley Cooper, Luke Evans, Jack Huston e Jason Momoa collegati, di volta in volta, al ruolo che fu di Brandon Lee.
Alla fine tutto si è concretizzato con la pellicola diretta da Rupert Sanders (Biancaneve e il cacciatore, Ghost in the Shell) e Bill Skarsgård in quelli di Eric Draven. Nei mesi che hanno preceduto il suo arrivo nei cinema, la nuova iterazione è stata osteggiata via social in ogni modo dallo stesso Alex Proyas. È lecito pensare che anche senza il "boicottaggio" di Proyas, che ha comunque specificato di un'occasione di non avere nulla di personale verso Skarsgård o Sanders ma solo di ritenere Il corvo qualcosa d'intoccabile anche e soprattutto per rispetto della memoria di Brandon Lee, difficilmente non sarebbe risultato il disastro commerciale che, di fatto, è stato.