Li incontriamo sulla terrazza dell'Hotel Sofitel, a due passi da Villa Borghese, tra un cappuccino e un succo d'arancia, ospiti del Festival Rendez-vous che ogni anno, dal 2000 ad oggi, porta il meglio del cinema d'Oltralpe a Roma e in altre città italiane. Stiamo parlando di Benoît Delépine e Gustave Kervern, i registi di Saint amour, la commedia on the road con protagonisti Gérard Depardieu e Benoît Poelvoorde presentata fuori concorso nella selezione ufficiale di Berlino66.
Jean (Gérard Depardieu) è un allevatore di tori vedovo che ogni anno, con il figlio Bruno (Benôit Poelvoorde), partecipa al Salone Internazionale dell'Agricoltura nella speranza di portarsi a casa il premio principale. Se il primo riversa nel lavoro tutte le sue attenzioni per cercare di riempire il vuoto dell'assenza della moglie, l'altro, ormai insofferente a quel mondo, si rifugia nel vino e nella disperata ricerca di una donna alla quale abbandonarsi. Jean, nel tentativo di ristabilire un dialogo con quel figlio ormai adulto ma dalle caratteristiche fanciullesche, decide di intraprendere con lui un "pellegrinaggio", con tanto di mappa alla mano, delle strade dei vini, accompagnati da un giovane tassista sui generis. Al progredire dei chilometri consumati, ogni tappa del loro viaggio, tra parentesi surreali ed incontri illuminanti, servirà ad accorciare le distanze tra i due uomini in una commedia dai contorni dolce-amari come le nuance di uno dei tanti vini stappati durante il loro tour tra le campagne francesi.
Il mestiere dell'attore
Gérard Depardieu, Benôit Poelvoorde, Michel Houellebecq. Nomi di rilievo del cinema e della letteratura internazionali. Com'è stato ri(trovarsi) sullo stesso set?
Benôit Delépine: Per noi sono tutt'altro che star! Sono persone con le quali abbiamo un rapporto umano e con le quali abbiamo già lavorato insieme anche in situazioni piuttosto rocambolesche. Li vediamo come degli esseri umani un po' fragili.
Gustave Kervern: Solitamente si dice che i grandi attori facciano i capricci. In realtà loro sono dei personaggi naturalmente rompiballe (ride n.d.r.). Hanno dei caratteri molto forti e questo ha fatto sì che ogni tanto ci fossero delle tensioni durante le riprese. Ma a noi questo tipo di personalità piacciono, anche se bisogna ammettere che non siano facili da pilotare.
B.D.: Certe volte li abbiamo portati a lavorare in situazioni estreme, come la scena in cui Benôit Poelvoorde spiega i dieci gradi dell'ubriachezza. L'abbiamo girata cronologicamente, dall'inizio alla fine in un motel squallido e alla fine della giornata, visto lo stile molto realistico del film, Benôit era ubriaco fradicio. Lui non riguarda mai i suoi film, quindi non sappiamo neanche se sia consapevole che l'abbiamo filmato mezzo nudo.
Tra sequenze rubate e una colonna sonora emozionale
Le sequenze filmate al Salone Internazionale dell'Agricoltura hanno un taglio "documentaristico", sembrano rubate. Quanto tempo avete impiegato per filmare e con quali difficoltà?
G.K.: Quelle riprese sono state impegnative. Abbiamo impiegato tre anni per ottenere l'autorizzazione. In totale dovevamo girare venti minuti di film e ci abbiamo messo tre giorni. All'inizio avevamo il permesso di girare solo scene mute e da quello dipende lo stile documentaristico. Riprese sicuramente molto difficili ma, in un certo senso, anche stimolanti. Gérard Depardieu e Benôit Poelvoorde sono due attori molto noti quindi appena la gente li vedeva iniziavano a fare fotografie e noi riuscivamo al massimo a fare un minuto di riprese. Dovevamo interrompere tutto e nasconderli per poi riprendere. Oltretutto Depardieu era stressatissimo perché odia la folla mentre Poelvoorde si perdeva dietro tutti gli stand di vino. Sono stati giorni umanamente molto tesi.
Saint Amour è una sorta di road movie dove però il paesaggio non ha un ruolo centrale...
B.D.: Sì, essendo un road movie sulla strada dei vini avremmo potuto mostrare molti più paesaggi ma abbiamo fatto una scelta diversa, quella di concentrarci sui personaggi, in particolare su quelli femminili che sono molto importanti in questo film, piuttosto che sui luoghi. Questa è una pellicola diversa rispetto a quelle fatti in precedenza nelle quali c'erano più inquadrature fisse con controcampo che davano un aspetto più pittorico. Qui, invece, abbiamo cercato di concentrarci sui volti e sulle emozioni dei personaggi.
Nel film la figura femminile è centrale, in un certo senso salvifica. Un aspetto emotivo che si rintraccia anche nella colonna sonora.
B.D.: Nei nostri film spesso ci sono personaggi solitari che in qualche modo riescono a cavarsela e ad uscire da questa solitudine grazie a vie di fuga ed escamotage che possono essere dei più vari. Per quanto riguarda Saint Amour volevamo dimostrare che la via di fuga e, in un certo senso, di redenzione, era l'amore. E Sebastien Tellier che si è occupato della colonna sonora questo l'ha capito appena ha letto il copione, scrivendo dei pezzi ancor prima che noi iniziassimo a girare. È riuscito a ricreare quell'atmosfera sentimentale e ha anche avuto il coraggio di farlo perché viene da un'impostazione musicale prettamente elettronica.
C'è un'inquadratura con protagonista Céline Sallette mentre cavalca un cavallo nei pressi della Tour Eiffel dai contorni onirici.
G.K.: Si, come ne Il trono di spade! (ride n.d.r.)
B.D.: Era un'immagine che volevamo inserire da tempo in un film ma non occupandoci di fantasy non era così facile da realizzare.
La crisi della commedia
Come lavorate in fase di scrittura?
G.K.: Abbiamo qualche difficoltà logistica. Benôit vive in campagna e io a Parigi, quindi cerchiamo di parlare tantissimo tra di noi prima di passare alla stesura vera e propria del copione, dagli attori al tema principale del film e alla sua conclusione.
B.D.: Odiamo le riscritture. Se devi riscrivere una sceneggiatura quindici volte ti viene talmente la nausea che non hai nemmeno più voglia di girarlo il film. Preferiamo averlo già tutto in testa prima ancora di iniziare a scriverlo ma ovviamente questa tecnica richiede del tempo. Per Saint Amour ne abbiamo parlato un paio anni prima di buttare giù la sceneggiatura e lo stesso vale anche per il nostro prossimo film.
Durante la presentazione qui a Roma de La corte, Fabrice Luchini, ha definito la Francia un paese triste e pessimista dove l'umorismo è diventato meccanico, privo della necessaria rottura con il reale. Qual è la vostra opinione?
B.D.: Sì, penso che questa crisi ci sia ma non solo in Francia. Un mio caro amico, ex disegnatore di Charlie Hebdo, Siné, ha ottantasei anni e non sta molto bene(*). Prima di andarlo a trovare in ospedale ho cercato qualche dvd comico da portargli ma ha fatto molta fatica a trovare dei titoli. Questo secondo me perché le commedie sono molto difficili da realizzare e, paradossalmente, perché la critica è molto più dura rispetto ai drammi.
(*) È s comparso a Parigi lo scorso 5 maggio (n.d.r.)