Da destra a sinistra, freneticamente, il vociare spaventato sorretto dai luoghi comuni e la fortificazione umana dietro ogni emozione. Si può ridere e sorridere di tutto, in fondo. Come? Prendendo in prestito la metrica della commedia, genere complesso per i suoi toni levigati ma pungente nella sua universalità di pensiero. E al centro de L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice (sì, il titolo è inutilmente ridondante, come si conviene spesso verso opere del genere arrivate in Italia) c'è proprio un universo racchiuso in un condominio. Un condominio con le sue finestre, le sue porte, i suoi corridoi. Un condominio con i suoi inquilini, in un fervido via vai di ospiti, ombre e personaggi. Le porte sbattono, gli spioncini si aprono. Spesso il cinema ha attinto dal cosmo condominiale, e anche Alain Guiraudie, che ha scritto il film con Laurent Lunetta, ipotizza il suo film all'interno di un palcoscenico (quasi) unico che, per propensione, si aprirà poi verso l'esterno.
Si apre come lo stesso genere che il regista mette in scena, sfruttando per opposizione toni e colori grigi: il dramma che nasce dalla commedia, la commedia che nasce dal dramma. Pensando espressamente a Renoir e ad Almodovar, riflettendo sulle nevrosi mondiali in un contesto quotidiano, rinchiuso in una stanza alternata sul mondo. Per questo, fotografando una situazione marcatamente odierna, L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice si concentra, nella sua leggerezza umorale che non rinuncia ad enfatizzare la paranoia (vero protagonista del film), sui cortocircuiti che affliggono anche indirettamente il pensiero contemporaneo. E lo fa attraverso un cinema istintivo, che esalta le persone ancora prima che i personaggi. Tutti diversi tra loro, ma anche riconoscibili in funzione della normalità non diversa da quella che contraddistingue il nostro vicino di casa.
L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice: la trama
Affievolendo i colori ma caricando i personaggi, non potrebbe esistere L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice senza la sua cornice, che detta i tempi e le svolte. Siamo nella piccola Clemont-Ferrand, nella Francia Centrale. Protagonista, il trentacinquenne Médéric (Jean-Charles Clichet) che si innamora di Isadora (Noémie Lvovsky), una signora di mezza età che di mestiere fa la prostituta e, per contrappasso, sposata con un marito estremamente geloso, e territoriale. Médéric scambia l'amore per la passione, e il sesso per amore, impegnandosi in una seduzione che avrebbe poco a che fare con le somme di denaro lasciate sul comodino. "Sono contro la prostituzione", le dice caandidamente. Tuttavia, la tranquillità generale viene alterata da un attacco terroristico, all'apparenza di matrice islamica.
Ma se il condominio è il palco del film, ecco arrivare Selim (Iliès Kadri), un arabo senzatetto. Nemmeno a dirlo seminerà una sequela di chiacchiere collettive all'interno del palazzo, anche da parte delle famiglie musulmane. Del resto, la polizia sta cercando un terzo co-responsabile, e tutto farebbe pensare che il fuggitivo sia Selim. Mentre il mondo brucia - letteralmente e metaforicamente - resta puro l'approccio vitale di Médéric, che accoglie l'arabo, provando a superare i sospetti, gli imprevisti e molti malintesi. Tra i vicini ficcanasi, un'atmosfera piovigginosa e l'ansia che cresce - di pari passo alla velocità del film - la vita di Médéric prenderà una piega complicata, che non avrebbe mai potuto immaginare.
La paranoia quotidiana
Tra peripezie svagate e una realtà accesa, Alain Guiraudie dichiara amore nei confronti dei suoi personaggi, come lo stesso Médéric implora l'amore di Isadora, accendendo gli eventi di un film costruito su un doppio binario: l'emotività e la paranoia. Intanto che l'occhio del regista si sofferma sull'unicità del quotidiano (Jean-Charles Clichet ha un phisique du role perfetto). Infatti, grazie ad un linguaggio raffinato ma schietto, L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice non risulta ostico, ma anzi efficace nella sua disamina contemporanea. Ecco, una sceneggiatura importante basata su una definita e voluta riconoscibilità (i vicini portavoce di indiretto razzismo, che poi potrebbero cambiare idea), mostrando gli effetti della paranoia dichiarata e latente.
Quella paranoia talmente radicata da sembrare naturale, complicata da estirpare in quanto avvolge il pensiero comune, la società e la politica. Del resto, se la commedia è l'obbiettivo del regista, Viens Je t'emmène diventa poi un'ottima e lucida digressione politica, che prende di mira quegli slogan elettorali e l'abuso degli ideali, sorretti da un facile populismo che infetta ogni libertà di pensiero. Del resto, non c'è nulla di più facile se non puntare il dito contro il "nemico comune". Non c'è nulla di più politico, se non mantenere la pressione verso "il cittadino" per mezzo della paura e della paranoia. In fondo è sempre e solo una questione di controllo. Ma il controllo non può spezzare il futuro. Un futuro inesorabile che corre verso di noi, come simbolicamente scritto e rappresentato nell'ultima e potente sequenza del film.
Conclusioni
Dietro un titolo italiano così prolisso, L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice nasconde una notevole e disinvolta traccia politica. Come scritto nella nostra recensione, il film è molto attuale, tra l'integrazione e la paranoia sociale che, spesso, alimenta il fuoco del razzismo più sommesso. Un grande Jean-Charles Clichet nel ruolo del "canonico" protagonista.
Perché ci piace
- Jean-Charles Clichet, dalla perfetta normalità.
- Un film molto attuale.
- Dietro i sorrisi, un messaggio sociale e politico.
Cosa non va
- Ha la tipica disinvolutra da commedia francese. O la si ama, o la si odia.
- Il titolo italiano.